La storia di Nik

10 Febbraio 2021 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Qualche giorno fa dibattevo in una trasmissione televisiva con una esponente del Pd che con voce feroce a un certo punto, per voler dimostrare il suo assunto delle famiglie come luogo di violenza, affermava che bisognerebbe fare molti controlli in questo senso per “togliere i figli” a chi non li cresce secondo i loro criteri democratici e gender fluid. Mi si è ghiacciato il sangue e allora per riscaldarlo di nuovo ho pensato alla storia di Nik.

Nik era un bambino di sei mesi quando le assistenti sociali che la pensavano come quella esponente del Pd ottennero l’ingresso in casa delle forze dell’ordine che tolsero lui e la sorella Elisa di tre anni dalla custodia di mamma Kaempet e papà Federico. Quando qualche mese dopo nacque la terza sorella, Stella, fu sottratta alla madre subito dopo il parto e dichiarata “adottabile” con sentenza emessa in nome del popolo italiano, dal tribunale dei minori istigato dall’ideologia di quella esponente del Pd.

Era il 1997 e i tre figli di Federico Scotta vennero portati via con l’accusa per il padre di pedofilia. Siamo nell’ambito dell’inchiesta sui “diavoli della bassa modenese”, diventata caso nazionale solo vent’anni dopo grazie al lavoro del giornalista Pablo Trincia con un podcast che ti uccide dentro per le verità che rivela, noto a moltissimi con il titolo: Veleno. Federico Scotta non viene solo accusato dalla piccola Elena, viene anche incarcerato e trascorrerà undici anni in carcere marchiato tra i detenuti con il peggiore tra i reati, la pedofilia. Tutto questo prima che Elena ammettesse di essersi inventata tutto. I bambini tolti ai genitori sono stati sedici in quell’ondata. Dopo i tre degli Scotta toccò a Marta, figlia di Francesca Ederoclite. Lei non riuscì a reggere e per il dolore tre mesi dopo si lanciò da una finestra uccidendosi. Il presunto capo della presunta setta dei riti satanici, il parroco don Giorgio Govoni, morì di crepacuore dopo aver ascoltato la richiesta di condanna per pedofilia e peggio (agli atti dell’accusa c’era anche il possesso per don Giorgio di una ghigliottina azionata per la decapitazione di neonati, tutto totalmente inventato).

Le prime assoluzioni arrivarono nel 2010 e nel frattempo sette genitori erano morti, devastato dal dolore. Federico Scotta è rimasto in piedi, ha scontato la pena, è uscito dal carcere. Inizialmente Nik non voleva né sentirlo né vederlo: per lui era verità la sentenza che aveva stabilito che suo padre era un pedofilo e abusava di lui. Solo la tenacia della sorella Elena, che venne indotta a dichiarare fatti mai avvenuti all’età di appena tre anni, ha prodotto poche settimane fa il miracolo: Nik ha accettato di riabbracciare il padre. Da allora pare che siano inseparabili.

Il 22 giugno 2020 è partita anche la revisione del processo per Federico Scotta, merita la totale riabilitazione e un congruo risarcimento. Se lo otterrà lascerà il camper in cui abita a Nik, per ricordargli il luogo dove “finalmente un papà ha potuto riabbracciare suo figlio e riconoscere il suo odore”. Federico aggiunge: “Mi ha detto che non mi lascerà solo in questa battaglia, mi ha detto che sono suo padre”.

Federico non piange mentre pronuncia queste parole, che commuovono anche vecchi orsi abituati a tutto come chi scrive. Mi rendo conto che le lacrime deve averle spese tutte. Un quarto di secolo dopo essere stato derubato di ogni cosa che conti davvero, la famiglia e i figli oltre l’onorabilità, Federico otterrà uno straccio di risarcimento che forse lo aiuterà a campare. Ha cinque anni meno di me ma pare mio nonno, piegato davvero dai dolori più acuti che in una vita si possano provare.

C’è un video in cui padre e figlio siedono finalmente accanto e notano che compiono gli stessi identici gesti, senza concordarli. Il sangue paterno scorre e nutre il futuro del figlio, ora sono inseparabili. L’ideologia è stata sconfitta, ma quanto dolore ha creato, quanta inutile e indelebile sofferenza. E dopo Veleno, Bibbiano, di cui non si parla più. Torneremo a occuparcene perché noi queste pagine cupe non le molliamo. Ricorderemo sempre ai terroristi antifamilisti la loro vergogna.