Appare casuale ma forse non lo è il collegamento nella data del 9 maggio del ricordo del sacrificio di Aldo Moro con la cerimonia di beatificazione del giudice Rosario Livatino. Per trent’anni, dall’omicidio di Luigi Calabresi organizzato ed eseguito da Lotta Continua su mandato morale dei firmatari della nota lettera dell’Espresso fino all’assassinio di Paolo Borsellino, abbattere i cattolici praticanti particolarmente incisivi sulla vita pubblica fu costume nazionale piuttosto in voga. La lista è lunghissima: terroristi di destra e di sinistra, mafie e camorre, compresero che il cuore pulsante dell’intelligenza sana del Paese era lì, tra i cattolici impegnati. Provarono quindi ad estirparlo colpendo uno ad uno i più pericolosi: il presidente della Dc Aldo Moro, il vicepresidente del Csm e consigliere comunale Dc (oltre che presidente dell’Azione Cattolica) Vittorio Bachelet, il senatore Roberto Ruffilli, i deputati democristiani Massimo De Carolis e Publio Fiori (“solo” gambizzati), il militante democristiano Italo Schettini, il presidente democristiano della Regione siciliana Piersanti Mattarella, il segretario della Dc di Palermo Michele Reina, il giornalista formatosi ad Avvenire Walter Tobagi, il direttore del cattolicissimo Tg1 Emilio Rossi (“solo” gambizzato), gli assessori regionali democristiani campani Pino Amato e Raffaele Delcogliano, i consiglieri comunali Mimmo Beneventano, Pompeo Panaro e Pasquale Cappuccio, il sindaco di Pagani Marcello Torre, il sindaco di Platì Domenico De Maio, il vicesindaco di Villa San Giovanni (anche scout Agesci) Giovanni Trecroci, il vicepresidente della regione Calabria Francesco Fortugno, i docenti universitari Ezio Tarantelli e Marco Biagi, i magistrati Mario Amato, Francesco Coco, Gaetano Costa, Guido Galli, Girolamo Minervini, Nicola Giacumbi, Riccardo Palma, Girolamo Tartaglione, Rocco Chinnici, Bruno Caccia, Giangiacomo Ciaccio Montalto, Rosario Livatino, Paolo Borsellino. Accanto ai magistrati sono morti 29 ragazzi delle forze dell’ordine che facevano la scorta, solo l’avamposto di centinaia di agenti uccisi e di graduati simbolicamente molto visibili come il commissario di polizia Luigi Calabresi e il generale dei carabinieri Enrico Galvaligi, entrambi cattolici praticanti.
Mi piace ricordare la vicenda dimenticatissima di Vincenzo Reitano, consigliere comunale democristiano di Fiumana calabra. La Ndrangheta lo colpì con due pallottole alle gambe per dargli un avvertimento, la sua attività di amministratore comunale onesto non piaceva. In ospedale lo raggiunsero le telecamere di Samarcanda, trasmissione molto seguita di Michele Santoro. Vincenzo da bravo ragazzo cattolico disse al microfono: “Voglio mandare un messaggio a tutte queste persone che vivono nell’anonimato e che commettono questi delitti: da parte nostra c’è sempre la volontà di perdonare tutti, anche se ci costa un po’ di fatica. Vogliamo però perdonarli perché il nostro spirito è quello di perdonare. Anche questa gente ha dei bambini, si sentono chiamare papà e mamma. Noi vogliamo che tutti i bambini abbiano questo diritto, il diritto di avere al fianco il loro papà, di poterlo chiamare quando lo desiderano. A mio figlio darò sempre insegnamenti di amore e di pace”. La Ndrangheta si sentì “offesa” da quelle parole che parlavano di perdono e di pace, il giorno dopo inviò un killer in ospedale e uccise Vincenzo. Aveva 29 anni, era l’11 aprile 1990. Cinque mesi dopo veniva ucciso Rosario Livatino, era il 21 settembre 1990: aveva 37 anni. Luigi Calabresi ne aveva 34. Piersanti Mattarella, 44. Walter Tobagi, 33. Nelle immagini di repertorio sembrano tutti “grandi”, molto più anziani della loro reale età. Erano tutti assai più giovani di me. Bachelet aveva 54 anni e Moro 61 quando vennero uccisi. Quanto altro avrebbero dato cattolici di questa levatura all’Italia? Nel dubbio furono presto zittiti.
Chiusa la stagione della mattanza ideologica, partì quella della mattanza giudiziaria che fu certamente più efficace. L’obiettivo militare dei brigatisti, dei terroristi, dei mafiosi fu più agevolmente centrato dai mandanti di Tangentopoli che chirurgicamente agirono per abbattere non il “sistema”, ma la Democrazia Cristiana e i partiti suoi alleati. Il Di Pietro che scovò la “madre di tutte le tangenti”, la tangente Enimont, ebbe buon gioco a dimostrare plasticamente al processo che tutti ma proprio tutti i partiti erano intimamente corrotti, sé quella era corruzione. Presero soldi pure i purissimi leghisti e i comunisti, teorici della “questione morale”. Solo a chiacchiere, però, solo fino a Primo Greganti che per la sua omertà viene tuttora acclamato in ogni festa dell’Unità in cui va a concionare sui bei tempi andati. L’assalto fu feroce e vendicativo con l’esito che alla fine gli unici a farsi materialmente la galera sono stati due politici “simbolo” del cattolicesimo popolare impegnato: Salvatore Cuffaro e Roberto Formigoni. Per paradosso, il creatore del miglior sistema sanitario d’Italia è finito in carcere per questioni legate alla Sanità, mentre il fu commissario della Sanità campana, l’esponente comunista Antonio Bassolino, si ricandiderà a ottobre a sindaco di Napoli con tutti gli onori. Non risultano migrazioni di lombardi per andarsi a curare in Campania, risulta l’esatto opposto. Ma le inchieste sulla gestione della sanità campana sono finite nel solito buco nero. Formigoni si è fatto il carcere a Bollate. Chissà perché. Chissà come funziona. Dicono in certi recenti libri che la magistratura sia fortemente politicizzata da una ben precisa area culturale. Che dite, sarà vero?
Attenti perché, se è vero, siamo alle prese con l’ultima fase del tentativo di zittire i cattolici in questo Paese, dove qualcuno coltiva da sempre il progetto di estirpare questa profonda radice popolare, con le buone o anche con le cattive. Vogliono che i cattolici rifluiscano nel privato, che rinuncino ad ogni espressione pubblica della loro fede, che abbandonino ogni progetto di incidere da organizzati nella società. Per questo una volta sparavano sui cattolici migliori e più rappresentativi, poi ne hanno abbattuto per via giudiziaria le organizzazioni politiche, ora vogliono equiparare aspetti ovvi del credo dei cattolici al nazifascismo per completare l’opera. Dietro l’operazione “dagli all’omofobo” c’è la finalità di additare fino a rendere impossibile l’espressione dei convincimenti più profondi dei cattolici, c’è l’obiettivo di marginalizzarli nella società con mezzi che hanno un solo precedente: il Benito Mussolini che con le leggi fascistissime del 1926 sciolse il Partito Popolare di Sturzo e De Gasperi, facendo mandare in esilio il primo e incarcerando il secondo (con la moglie).
Ne abbiamo vissute troppe per poterci arrendere proprio ora. La memoria dei nostri martiri contemporanei, cattolici vissuti e uccisi nell’Italia in cui siamo cresciuti noi, ci obbliga moralmente ad una resistenza che ci tiene uniti e determinati non tra singoli, ma tra comunità che pur diverse sono ora saldate da un solo grido: i cattolici italiani non si faranno zittire. Ci avete provato in tutti i modi ma anche questo, alla fine, fallirà.