Mario Adinolfi: Siamo obbligati a perdonare?

8 Maggio 2018 Mario Adinolfi
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, Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

L’anniversario della morte di Aldo Moro prevede la solita ondata di retorica perdonista, che non è solo retorica perché gli assassini di Moro sono stati perdonati dallo Stato e sono tutti liberi. Renato Vallanzasca, rapinatore crudele, dopo 45 anni di carcere ha visto negato quell’accesso alla semilibertà a cui Mario Moretti, sanguinario capo delle Brigate Rosse che rapì e uccise Moro dopo aver sterminato la sua scorta, ha avuto accesso dodici anni fa. Visto che lo Stato con i terroristi è stato perdonista, la società ha diritto a coltivare il proprio risentimento: non hanno pagato, non hanno detto la verità, nella stragrande maggioranza dei casi non si sono neanche pentiti e dichiarano solo la loro sconfitta militare, rivendicando però i loro ideali e il loro “desiderio di cambiare il mondo”, che era soltanto fuffa ideologica basata su insensatezze anche piuttosto stupide. Davvero siamo obbligati a perdonare costoro?

In Storia del Terrorismo in Italia ho preferito fare un lavoro che fino ad oggi non era mai stato compiuto. Raccogliere in un volume i nomi di tutte ma proprio tutte le centinaia e centinaia di vittime dei terroristi. E poi di scattare la fotografia dei cinquanta volti di chi ha materialmente ucciso. Affinché restino impresse almeno in un’opera la dignità di chi è morto insieme alla vigliaccheria di chi ha ammazzato, l’una al fianco dell’altra. Il capitolo sugli assassini è quello che segue e ve ne regalo la lettura gratuita oggi, in onore di Aldo Moro e di tutte le vittime del terrorismo in Italia, i cui familiari hanno tutto il mio affetto e le mie preghiere oltre alla comprensione se non vorranno subire l’obbligo del perdonismo ideologico. Gli assassini dei loro cari almeno restino in silenzio. Questi i loro nomi.

50 ASSASSINI, TUTTI LIBERI
“L’imperiosità del comando ‘non uccidere’ ci assicura che discendiamo da una serie lunghissima di generazioni di assassini i quali avevano nel sangue, come forse abbiamo ancora noi stessi, il piacere di uccidere”
Sigmund Freud

La retorica terrorista prova a raccontare la storia, la loro storia, come quella di un movimento di popolo. In realtà a segnare la biografia della nostra nazione con questa ferita che non si ricuce sono state cinquanta persone, gli assassini, riconducibile a sette organizzazioni criminali rosse e nere: Lotta Continua, Potere Operaio, Ordine Nuovo, Prima Linea, Nuclei armati rivoluzionari, Proletari Armati per il Comunismo e Brigate Rosse, queste ultime nelle loro varie declinazionioni e colonne fino alla denominazione ultima Nuove Brigate Rosse. La caratteristica che li accomuna, incredibilmente, è che sono tutti fuori dal carcere salvo rarissime eccezioni che confermano la regola. Quello che però deve essere chiaro è che non c’è stato alcun movimento di popolo a sostegno delle istanze terroristiche, c’è stata un’area grigia di vago consenso che ha riguardato forse trenta o quarantamila italiani in un lungo periodo durato decenni. Ma poi a prendere le pistole, i mitra, le bombe sono stati solo cinquanta assassini, la cosiddetta “opzione militare” era sgominabilissima perché in mano a poche decine di individui che, infatti, quando lo si è deciso seriamente sono stati sgominati. In qualsiasi altro paese del mondo sarebbero ovviamente in galera. Nel nostro, li abbiamo potuti negli anni e li possiamo ora incontrare per strada, così come ci siamo dovuti sorbire le loro rievocazioni storiche, le loro interviste, le loro richieste di attenzione, talvolta i loro insulti. Ecco i nomi dei cinquanta assassini che, fuori dal carcere senza aver mai detto la verità, hanno tutto il mio disprezzo.

Alessandro Alibrandi
Nato a Roma il 12 giugno 1960, figlio del giudice istruttore Antonio Alibrandi, è tra i fondatori con Giusva e Cristiano Fioravanti dei Nuclei Armati Rivoluzionari (Nar). Il 30 settembre 1977 uccide con un colpo alla nuca lo studente ventenne comunista Walter Rossi. Braccio armato al servizio della Banda della Magliana, a cui i Nar affidavano i proventi delle rapine per investimento e riciclaggio, Alibrandi uccise su ordine del boss Franco Giuseppucci il tabaccaio Teodoro Pugliese l’11 aprile 1980 a Roma. Alessandro Alibrandi è morto il 5 dicembre 1981 in un conflitto a fuoco sempre a Roma costato la vita anche all’agente di polizia ventunenne Ciro Capobianco.

Corrado Alunni
Nato a Roma il 12 aprile 1947, ha fatto parte delle Brigate Rosse, di Prima Linea e delle Formazioni Comuniste Combattenti. Tra i primissimi dirigenti delle Br fin dal 1971, aveva accumulato condanne per oltre cinquant’anni di carcere anche per un tentativo di evasione finito nel sangue nell’aprile del 1980 insieme al boss Renato Vallanzasca. Nel covo milanese di via Negrisoli dove fu arrestato nel 1978 Alunni, considerato l’ideatore del sequestro Moro e caratterizzatosi fin dale origini delle Br come nettamente più sanguinario di Curcio, fece rinvenire la pistola Nagant 7.62 con cui furono uccisi il procuratore Coco, l’avvocato Croce e il giornalista Casalegno. Nel 1987 si è dissociato dalla lotta armata e ha ottenuto la semilibertà nel 1989. Completamente libero dal 1995.

Lauro Azzolini
Nato a Casina il 10 settembre 1943, in clandestinità dal 1974, ha fatto parte del Comitato esecutivo delle Brigate Rosse dal 1976. Ha ucciso a Biella il 1 settembre 1976 il vicequestore Francesco Cusano e ha fatto parte del commando brigatisti che ha gambizzato a Milano il giornalista Indro Montanelli il 2 giugno 1977. Tra gli organizzatori del sequestro Moro e della strage di via Fani, ha indirizzato il sequestro verso il tragico epilogo. Condannato a quattro ergastoli, è in libertà e lavora in una cooperativa per disabili della Compagnia delle Opere, braccio economico di Comunione e Liberazione.

Barbara Balzerani
Nata a Colleferro il 16 gennaio 1949, nella colonna romana delle Brigate Rosse dal 1975, legata sentimentalmente al capo brigatista Mario Moretti, partecipa alla strage di via Fani, all’assassinio di Aldo Moro e a quello del giudice Girolamo Minervini, poi al sequestro Dozier. Arrestata nel 1985, condannata all’ergastolo, ottiene la libertà condizionale nel 2006 e l’estinzione della pena dal 2011. Fa la scrittrice e il 16 marzo 2018, dopo aver scritto sui social nei giorni precedenti “chi mi ospita per i fasti del quarantennale?”, ha affermato in un centro sociale fiorentino che “fare la vittima del terrorismo è diventato un mestiere, non hanno diritto di parola solo loro”.

Marco Barbone
Nato a Milano il 17 settembre 1958, figlio di un importante dirigente di una casa editrice di proprietà della Rcs, milita nella Brigata 28 marzo che il 28 maggio 1980 uccide a Milano il giornalista Walter Tobagi del Corriere della Sera. Barbone si avvicina al cronista già da lui ferito a terra e gli spara in testa, dietro l’orecchio sinistro. Arrestato il 25 settembre 1980, ottiene fin dal 1983 la libertà, le sue rivelazioni permettono di smantellare la Brigata 28 marzo. Convertitosi al cattolicesimo, entrato in Comunione e Liberazione, ha lavorato come responsabile comunicazione della Compagnia delle Opere, collaborando con i giornali Tempi e Il Giornale.

Cesare Battisti
Nato a Cisterna di Latina il 18 dicembre 1954, tra i membri dei Proletari armati per il Comunismo (Pac) in cui entra nel 1976 dopo due arresti con relative condanne come piccolo rapinatore. Arrestato nel 1979 riesce ad evadere nel 1981 e viene poi condannato all’ergastolo in contumacia per quattro omicidi tra cui quello del gioielliere Pierluigi Torregiani. Vive prima in Francia, poi in Messico, infine in Brasile, paese al quale l’Italia ne chiede da anni invano l’estradizione. Il Brasile gli ha riconosciuto lo status di rifugiato e Battisti vive con i proventi dei suoi libri, considerato scrittore di successo.

Pasqua Aurora Betti
Nata a Roma il 12 gennaio 1947, comanda la colonna Walter Alasia delle Brigate Rosse dopo l’arresto di Mario Moretti, assalta la sezione democristiana di via Mottarone a Milano il 1 aprile 1980 e gambizza quattro dirigenti dc. Riconosciuta responsabile dell’assassinio del direttore del personale della Magneti Marelli, Renato Briano, dell’omicidio del direttore tecnico della Falck, Manfredo Mazzanti, viene condannata all’ergastolo con sentenza definitiva nel 1986 dopo essere stata arrestata nel 1981. Ottiene la semilibertà già nel 1997, senza essersi mai pentita né dissociata. A Antonio Iosa, gambizzato in via Mottarone e segnato da 36 operazioni a seguito delle conseguenze, il giornalista di Repubblica Concetto Vecchio ha dedicato il cortometraggio “Il Gambizzato”.

Franco Bonisoli
Nato a Reggio Emilia il 6 gennaio 1955, è membro della direzione strategica e poi del comitato esecutivo delle Brigate Rosse dal 1977, anno in cui gambizza Indro Montanelli. In via Fani è il terrorista che spara più di tutti, compresi una serie di colpi di grazia in testa ai feriti agonizzanti. Arrestato alla fine del 1978, condannato all’ergastolo nel processo agli assassini di Moro del 1983, si è dissociato dalla lotta armata nel 198 e ha ottenuto quasi subito la semilibertà, trasformata in libertà definitiva nel 2001. Ha partecipato a una serie di iniziative con i parenti delle vittime tra cui Agnese Moro, figlia di Aldo, e Giovanni Ricci, figlio di Domenico Ricci ucciso in via Fani. Più volte ha incontrato anche Indro Montanelli. Dirige una società di consulenze nel settore ecologico.

Anna Laura Braghetti
Nata a Roma il 3 agosto 1953, membro della colonna romana delle Brigate Rosse partecipa al sequestro Moro, uccide due agenti di polizia nel 1979 (Antonio Mea e Piero Ollanu) nell’assalto alla sede romana della Democrazia Cristiana in piazza Nicosia, uccide il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Vittorio Bachelet, nel 1980 a Roma ottenendo fin dal giorno dei funerali il perdono da parte del figlio Giovanni. Arrestata il 27 maggio 1980, nel 1981 sposa in carcere Prospero Gallinari ed è infine condannata all’ergastolo. In libertà condizionale dal 2002, scrive il libro “Il prigioniero” da cui viene tratto il film di Marco Bellocchio “Buongiorno notte” dedicato al sequestro di Aldo Moro.

Ovidio Bompressi
Nato a Massa il 16 gennaio 1947, militante di Lotta Continua, è colui che ha materialmente ucciso il commissario Luigi Calabresi il 17 maggio 1972 a Milano. Dalla lunga fase processuale durata dal 1988 al 2000 a seguito del pentimento di Leonardo Marino, uscirà con una condanna definitiva a 22 anni di carcere. Riesce a trascorrere anni in detenzione domiciliare per “stress psicofisico” e venne dato per “gravemente malato” fin dal 1988 nei rapporti dei magistrati di sorveglianza. Ottenuta la grazia per motivi umanitari come primo atto della presidenza della Repubblica di Giorgio Napolitano nel 2006, deve essersi rimesso in forze visto che nel 2017 è stato condannato a tre mesi di carcere (anche questi non scontati) per aver colpito a pugni in faccia un vicino di casa.

Alessio Casimirri
Nato a Roma il 5 agosto 1951, figlio del capo ufficio stampa papale Luciano Casimirri, brigatista rosso presente in via Fani e protagonista del sequestro Moro, ha ucciso anche il magistrato Girolamo Tartaglione.a Roma il 10 ottobre 1978. Fuggito all’estero anche alla comprovata complicità dei servizi segreti dell’Est europeo comunista, ripara in Nicaragua dove diventa proprietario di una serie di noti ristoranti. Non ha mai fatto un giorno di carcere, nonostante le condanne all’ergastolo e le richieste di estradizione. A Managua è diventato cittadino nicaraguense dopo aver sposato una donna locale (nonostante in Italia fosse sposato con la terrorista Rita Algranati e non abbia mai divorziato) avendone due figli.

Gilberto Cavallini
Nato a Milano il 26 settembre 1952, è tra i fondatori dei Boys dell’Inter. Lascia il gruppo ultras per avvicinarsi alla violenza politica, arrestato già nel 1976 per l’omicidio dello studente di sinistra Gaetano Amoroso. Nel 1977 riesce ad evadere. Si avvicina prima a Ordine Nuovo, poi dalla fine del 1979 è in forza ai Nar di Giusva Fioravanti. Uccide alle spalle con un colpo alla nuca il 23 giugno 1980 il magistrato Mario Amato, che aveva ereditato dal giudice Vittorio Occorsio anch’egli trucidato i fascicoli sulle indagini riguardanti l’eversione neofascista. Amato aveva individuato i legami tra i Nar e apparati deviati dello Stato, mediati anche dalla Banda della Magliana. Il capitano della Digos che coadiuvava le indagini di Amato, Francesco Straullu di 26 anni venne ucciso sempre da Cavallini insieme a Francesca Mambro l’anno successivo, il 21 ottobre 1981 insieme all’agente Ciriaco Di Roma. Cavallini è l’ultimo Nar ad essere arrestato, il 12 settembre 1983. Condannato a otto ergastoli, è in semilibertà dal 2000, beneficio revocato nel 2002 quando è stato trovato in possesso di una pistola con 50 proiettili e la matricola abrasa. Attualmente è sotto processo per la strage di Bologna.

Luigi Ciavardini
Nato a L’Aquila il 20 settembre 1962, è stato condannato a 30 anni di reclusione come esecutore materiale della strage di Bologna insieme a Francesca Mambro e Giusva Fioravanti, tutti militanti dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Non ha preso l’ergastolo in quanto minorenne all’epoca dei fatti. Ha subito una condanna a 13 anni per concorso in omicidio dell’appuntato di polizia Francesco Evangelista, detto Serpico, poi una condanna a 10 anni per complicità nell’omicidio del magistrato Mario Amato. La condanna definitiva per la strage di Bologna è dell’11 aprile 2007, meno di due anni dopo, il 23 marzo 2009, ottiene la semilibertà.

Pierluigi Concutelli
Nato a Roma il 3 giugno 1944, capo di Ordine Nuovo, Concutelli è condannato all’ergastolo per l’omicidio del magistrato Vittorio Occorsio, che indagava sull’eversione neofascista. L’assassinio viene commesso a Roma il 10 luglio 1976, Concutelli viene arrestato nel 1977. In carcere ucciderà prima Ermanno Buzzi nel 1981, condannato in primo grado per la strage di piazza della Loggia a Brescia attribuita a Ordine Nuovo, poi Carmine Palladino nel 1982, arrestato nell’ambito dell’inchiesta sulla strage di Bologna, sempre attribuita all’eversione neofascista. Per tutti gli omicidi commessi Concutelli è stato ripetutamente condannato all’ergastolo. Dal 2009 è agli arresti domiciliari e dal 2011 ha ottenuto la sospensione della pena per motivi di salute.

Renato Curcio
Nato a Monterotondo il 23 settembre 1941, è il fondatore delle Brigate Rosse. Formatosi alla facoltà di sociologia dell’università di Trento, cattolico, vicino nel 1964 all’Intesa Universitaria di Marco Boato, lista di studenti di ispirazione cristiana, dichiara poi in una lettera allo stesso Boato di aver perso la fede e fonda nel 1969 il Collettivo Politico Metropolitano con Alberto Franceschini a cui si aggrega anche Margherita “Mara” Cagol che Curcio poi sposerà. Questo sarà il nucleo fondato delle Brigate Rosse. Curcio viene arrestato nel 1974. Evade nel 1975, vede morire la moglie in un conflitto a fuoco con i carabinieri, viene ripreso nel 1976. Condannato a 28 anni di carcere per l’assalto alla sezione del Movimento Sociale Italiano di Padova in cui perdono la vita due militanti missini, a cui non ha partecipato personalmente ma di cui ha scritto il volantino di rivendicazione. E dal carcere rivendicherà tutte le più importanti azioni del brigatismo rosso, affermando tra l’altro dopo l’assassinio di Moro: “Noi sosteniamo che l’atto di giustizia rivoluzionaria esercitato dalle Brigate Rosse nei confronti del criminale politico Aldo Moro è il più alto atto di umanità possibile per i proletari comunisti e rivoluzionari”. Ottiene la semilibertà nel 1993, dal 1998 è completamente libero senza essersi mai dissociato né pentito. Ha fondata la casa editrice Sensibili alle foglie.

Sergio D’Elia
Nato a Pontecorvo il 5 gennaio 1952, è il solo terrorista condannato per fatti di sangue ad essere diventato anche parlamentare, nel 2006 grazie ai radicali di Marco Pannella. Lo stesso Pannella aveva voluto già eleggere in Parlamento anche Toni Negri, nel 1983. Condannato in via definitiva a 12 anni di carcere per associazione sovversiva, Negri approfittò del mandato parlamentare per fuggire all’estero. D’Elia, terrorista di Prima Linea, condannato per banda armata e concorso morale in omicidio volontario, dopo aver scontato 12 anni di carcere, non solo ottiene la nomina a parlamentare ma viene eletto segretario della presidenza della Camera dei Deputati. Si tenga presente che per la morte dell’agente Fausto Dionisi avvenuta nel 1978, D’Elia era stato condannato in primo grado a trent’anni di reclusione. La condanna definitiva è a venticinque anni di carcere per trentuno diversi capi d’imputazione. Ventotto anni dopo i fatti D’Elia era parlamentare e segretario della presidenza della Camera dei Deputati. Alla guida dell’associazione radicale Nessuno tocchi Caino, chiama a collaborare Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. In una intervista televisiva definisce l’autore di questo libro, che contestava l’eccesso di libertà e onori concesso a questi terroristi, “uno stronzo”.

Carlo Digilio
nato a Roma il 7 maggio 1937, è morto a Bergamo il 12 dicembre 2005, anniversario della strage di piazza Fontana per cui è stato condannato reo confesso, seppur con pena prescritta. Terrorista neofascista di Ordine Nuovo, è stato riconosciuto colpevole post mortem anche per la strage di piazza della Loggia a Brescia. Si è dichiarato informatore della Cia e dei servizi segreti italiani. Arrestato nel 1992, è stato il primo pentito dell’eversione neofascista. Non fece appello per la sua condanna per la strage di piazza Fontana, che divenne definitiva, ma venne ammesso nel programma di protezione per i collaboratori di giustizia ed è morto in una casa di riposo a Bergamo a 69 anni.

Marco Donat Cattin
nato a Torino il 28 settembre 1953, figlio del ministro democristiano Carlo Donat Cattin, è stato tra i più feroci assassini di Prima Linea. Responsabile dell’omicidio del giudice Emilio Alessandrini, del vigile urbano Bartolomeo Mana, del barista Carmine Civitate, fu arrestato a Parigi nel 1980 e estradato in Italia nel 1981. Diventato collaboratore di giustizia, fu messo agli arresti domiciliari nel 1985 e liberato totalmente nel 1987. Il 19 giugno 1988 muore nei pressi del casello di Verona Sud sull’autostrada Serenissima, era sceso dalla vettura che guidava per segnalare un incidente ed è stato travolto da un’auto.

Riccardo Dura
Nato a Roccalumera il 12 settembre 1950, è morto a Genova il 28 marzo 1980 nel conflitto a fuoco seguito all’irruzione dei carabinieri nel covo brigatista genovese di via Fracchia. Militante di Lotta Continua, entra nelle Brigate Rosse nel 1974 arrivando fino a far parte del Comitato Esecutivo dell’organizzazione. Considerato assassino feroce, è colui che uccide il procuratore di Genova, Francesco Coco, nel 1976 con i due uomini della sua scorta, il brigadiere di polizia Giovanni Saponara e l’appuntato dei carabinieri Antioco Deiana). Poi sempre a Genova uccide nel 1978 il commissario Antonio Esposito a bordo di un autobus e nel 1979 l’operaio sindacalista della Cgil, Guido Rossa. In quest’ultimo caso le Br avevano deciso di gambizzare il sindacalista e effettivamente l’azione sembra conclusa con quattro colpi sparati alle gambe. Fu Dura, mentre il commando stava per dileguarsi, a tornare indietro a sparare a Guido Rossa ferito a terra un colpo dritto al cuore per ucciderlo. Davanti alle proteste persino dei brigatisti si giustificò affermando che “le spie vanno uccise”. Rossa aveva denunciato le infiltrazioni terroristiche nella sua fabbrica.

Adriana Faranda
Nata a Tortorici il 7 agosto 1950. Entra a far parte delle Brigate Rosse nel 1976, nel 1977 gambizza a Roma il direttore del Tg1 Emilio Rossi, nel 1978 partecipa alla strage di via Fani ed è tra i carcerieri di Aldo Moro, nella fase finale del sequestro insieme a Valerio Morucci si oppone all’uccisione dello statista democristiano ma Mario Moretti giudicherà la loro posizione “una eccentricità”. Arrestata nel 1979, condannata all’ergastolo nel 1983, dal 1994 è libera. In un’intervista rilasciata nel marzo 2018 in occasione del quarantennale della strage di via Fani ha affermato che le Br non si aspettavano che la scorta di Moro si facesse cogliere impreparata, con i cinque effettivi che restarono tutti uccisi senza praticamente reagire all’azione brigatista. Adriana Faranda svolge la professione di fotografa.

Raffaele Fiore
Nato a Bari il 7 maggio 1954, diventa il capo della colonna torinese delle Brigate Rosse. Nel 1977 gambizza il capo officina della Fiat, Antonio Munari, poi fa parte del commando che uccide il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Torino, Fulvio Croce. Nel novembre sempre del 1977 assassina il giornalista Carlo Casalegno sparandogli quattro colpi in faccia. Nel marzo 1978 fa parte del gruppo di fuoco di via Fani ed è colui che materialmente tira fuori Aldo Moro dall’auto per rapirlo. Dopo l’assassinio di Moro, nel dicembre 1978 uccide due giovanissimi agenti di polizia di guardia al carcere di Torino, Salvatore Lanza e Salvatore Porceddu. Arrestato nel 1979, condannato ad una serie di ergastoli a partire dal 1983, nel 1997 ottiene la libertà condizionale, confermata nel 2007. Non si è mai pentito né dissociato.

Cristiano Fioravanti
Nato a Roma il 19 febbraio 1960, fratello minore di Giusva Fioravanti, fondatore con lui dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Coinvolto nell’omicidio dello studente di sinistra Walter Rossi, del giovane sempre di sinistra Roberto Scialabba, dei militanti neofascisti considerati “traditori” come Francesco Mangiameli, degli agenti di polizia Enea Codotto e Luigi Maronese, Cristiano Fioravanti viene arrestato l’8 aprile 1981. Si pente e offre una serie di informazioni per sgominare i Nar, si fa meno di un anno di carcere e dal 1982 è libero, sotto protezione del programma per i collaboratori di giustizia.

Giusva Fioravanti
Nato a Rovereto il 28 marzo 1958, fondatore e leader dei Nuclei Armati Rivoluzionari, condannato all’ergastolo come esecutore della strage di Bologna, è insieme alla moglie Francesca Mambro il più feroce assassino della storia criminale italiana. Figlio di un ex annunciatore della Rai e di una casalinga, da giovanissimo interpreta ruoli televisivi e cinematografici. A vent’anni è già in clandestinità per aver sparato alla nuca dopo essere montato sulle spalle a terra del giovane comunista Roberto Scialabba. Ucciderà e ordinerà di uccidere poliziotti, carabinieri e il magistrato Mario Amato. Al posto dell’avvocato Giorgio Arcangeli uccide senza rendersi conto l’ignaro studente Antonio Leandri, per uno sbaglio di persona. Arrestato il 5 febbraio 1981, è condannato a otto ergastoli, più centrotrentaquattro anni e otto mesi di carcere. Nel 1999 è già in semilibertà e dal 2009 è libero del tutto per pena considerata estinta. Condannato anche a risarcire alle sue vittime con Francesca Mambro due miliardi di euro, ovviamente non risarcisce nulla come incipiente. Lavora grazie all’ex terrorista di Prima Linea, Sergio D’Elia, presso l’associazione radicale Nessuno Tocchi Caino.

Alberto Franceschini
Nato a Reggio Emilia il 26 ottobre 1947, con Renato Curcio è il fondatore nel 1970 delle Brigate Rosse. Entrò in clandestinità nel 1971 non presentandosi al servizio militare di leva, organizzò il sequestro del giudice Sossi nel 1974, anno in cui viene arrestato. Viene condannato a sessant’anni di carcere per costituzione di banda armata, associazione sovversiva, sequestro di persona, oltraggio a pubblico ufficiale e rivolta carceraria. Nel 1978 rivendica dal carcere il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, nel 1982 si dissocia dalla lotta armata, nel 1987 ottiene gli arresti domiciliari e dal 1992 è definitivamente libero.

Mario Galesi
Nato a Macerata il 23 agosto 1966, è l’esponente più pericoloso delle Nuove Brigate Rosse, responsabile dell’assassinio nel 1999 di Massimo D’Antona e nel 2002 di Marco Biagi. Il 2 marzo 2003, a seguito della richiesta di documenti da parte degli agenti della PolFer Emanuele Petri e Bruno Fortunato, reagisce impugnando le armi uccidendo Petri e ferendo gravemente Fortunato, che riesce però a colpirlo. Trasportato all’ospedale di Arezzo, Galesi morirà poco dopo. Bruno Fortunato, profondamente turbato dall’accaduto, si suiciderà il 9 aprile 2010.

Prospero Gallinari
Nato a Reggio Emilia il 1 gennaio 1951, fa parte del nucleo originario delle Brigate Rosse fin dal 1970, poi entra nel Superclan di Corrado Simioni, per poi riaccasarsi nelle Br nonostante Franceschini non si fidasse molto dei fuoriusciti dal Superclan, considerandoli una sorta di infiltrati. Arrestato nel 1974, riesce ad evadere dal carcere di Treviso nel 1977. Entra nel Comitato Esecutivo delle Br che decide la strage di via Fani e l’assassinio di Aldo Moro. Dello statista democristiano è il materiale assassino, riconoscibile dalla rosa di colpi di mitraglietta attorno al cuore, modalità con cui aveva ucciso già il giudice Riccardo Palma nel febbraio del 1978. A via Fani uccise materialmente Giulio Rivera, Francesco Zizzi e Raffaele Iozzino. Il 3 maggio 1979 partecipò sparando all’assalto al comitato romano della Democrazia Cristiana in piazza Nicosia, in cui restarono uccisi gli agenti Antonio Mea e Pietro Ollanu. Arrestato dopo un conflitto a fuoco in cui rimane seriamente ferito il 24 settembre 1979, viene condannato all’ergastolo nel 1983 dopo aver sposato in carcere nel 1981 Anna Laura Braghetti, l’assassina di Vittorio Bachelet. Dal 1996 ottiene la sospensione della pena per gravi motivi di salute. Muore il 14 gennaio 2013 a Reggio Emilia, al suo funerale partecipano tra gli altri Renato Curcio, Barbara Balzerani, Raffaele Fiore che salutano la bara cantando l’Internazionale.

Natalia Ligas
Nata a Bono il 21 dicembre 1958, è stata una esponente della colonna romana prima e della colonna napoletana poi delle Brigate Rosse. Condannata all’ergastolo per la strage di via Fani e per l’assassinio di Aldo Moro, ha partecipato nel 1981 all’agguato contro l’avvocato Antonio De Vita, che si è salvato dalla morte rispondendo al fuoco. Arrestata nel 1982, non si è mai dissociata né pentita, ma ha cominciato ad ottenere le misure alternative alla detenzione dal 1999. Dal 2009 è libera per estinzione della pena.

Alvaro Lojacono
Nato a Roma il 7 maggio 1955, brigatista rosso, partecipa all’omicidio di Mikis Mantakas, a quello del magistrato Girolamo Tartaglione e alla strage di via Fani. Braccato, nel 1980 fugge in Algeria, poi raggiunge il Brasile infine ottiene la cittadinanza svizzera. Il Paese elvetico non riconoscerà mai la sua condanna all’ergastolo e non darà corso alla richiesta italiana di estradizione, facendogli però scontare 11 anni nelle carceri elvetiche per l’omicidio di Tartaglione di cui gli viene riconosciuta la responsabilità diretta. Libero dal 1997, nel 2000 viene arrestato in Corsica per via dell’ergastolo subito per la strage di via Fani, ma subito liberato. Anche la Francia non dà corso alla richiesta di estradizione in Italia perché non viene riconosciuta la validità di una condanna all’ergastolo in contumacia.

Achille Lollo
Nato a Roma l’8 maggio 1951, militante di Potere Operaio, è il responsabile del cosiddetto “rogo di Primavalle” in cui persero la vita i fratelli Mattei, Virgilio di 22 anni e Stefano di 10, figli del segretario della sezione locale del Movimento Sociale Italiano. La strage di Primavalle avvenne la notte tra il 15 e il 16 aprile del 1973. La condanna a 18 anni di carcere è stata confermata in Cassazione nel 1987, ma solo per omicidio colposo e nel 2005 la sentenza è stata dichiarata prescritta. Lollo, dopo aver vissuto in Angola e in Svezia e in Brasile, è tornato in Italia dichiarando che non era sua intenzione uccidere nessuno ma solo spaventare i Mattei. Lollo oggi fa il giornalista e collabora con la testata online lantidiplomatico.it che è vicina al Movimento Cinque Stelle.

Germano Maccari
Nato a Roma il 16 aprile 1953, entra in Potere Operaio nel 1973 e per questa sigla compie le prime azioni terroristiche, confluendo poi nel 1977 nelle Brigate Rosse. L’anno successivo partecipa alla strage di via Fani e al sequestro Moro: è lui l’ingegner Luigi Altobelli a cui è intestato il contratto d’affitto del covo di via Montalcini. Contrario all’uccisione di Moro, si allontana dalla Brigate Rosse e riesce a rimanere fuori dai processi fino all’arresto nel 1993, per via delle dichiarazioni di Adriana Faranda che rompono il muro di omertà dei brigatisti attorno alla vera identità dell’ingegner Altobelli. Maccari prova inizialmente a negare ogni coinvolgimento nel sequestro Moro e viene anche scarcerato nel 1995. Il processo del 1996 però lo giudica colpevole e lui stesso ammette le proprie responsabilità. Condannato a trent’anni di carcere poi ridotti a ventisei, muore nel carcere romano di Rebibbia il 25 agosto 2001 per la rottura di un aneurisma cerebrale.

Carlo Maria Maggi
Nato a Villanova del Ghebbo il 29 dicembre 1934, è l’esponente del gruppo neofascista Ordine Nuovo condannato in via definitiva come mandante della strage di piazza della Loggia a Brescia nel 1974. La Cassazione ha ratificato la condanna solo nel 2017 e Maggi ormai molto anziano è agli arresti domiciliari. Aveva già subito una condanna a 12 anni di carcere per la strage di Peteano del 1972. Per trent’anni ha esercitato la professione medica nell’area di Venezia. Viene considerato la mente delle stragi neofasciste degli Anni Settanta.

Francesca Mambro
Nata a Chieti il 25 aprile 1959, è ritenuta colpevole di diversi reati dall’omicidio alla strage, per i quali è stata condannata a complessivi nove ergastoli, ottantaquattro anni e otto mesi di reclusione. La sua responsabilità è riconosciuta per l’uccisione di novantasei persone e il ferimento di oltre duecento. La condanna definitiva all’ergastolo come esecutrice della strage di Bologna del 2 agosto 1980 è del 1997. Nel 1998 ottiene la semilibertà, dal 2002 non mette più piede in carcere ottenendo la detenzione domiciliare speciale, nel 2008 la libertà condizionale e nel 2013 la sua pena è dichiarata estinta. Nel frattempo ha sposato il terrorista Valerio Fioravanti e i due hanno avuto una figlia. Per tutti gli omicidi compiuti come militante neofascista dei Nuclei Armati Rivoluzionari deve risarcire in solido con il marito due miliardi di euro alle innumerevoli vittime. Considerati incapienti, lo Stato riesce a prelevare dagli stupendi dei due solo qualche centinaio di euro al mese. Mambro, come Fioravavanti, lavora presso l’associazione radicale Nessuno Tocchi Caino a Roma.

Giuseppe Memeo
Nato a Palazzo San Gervasio l’11 ottobre 1958, è immortalato nella foto simbolo degli Anni di Piombo mentre impugna a due mani una pistola e spara ad altezza uomo in una manifestazione del 1977 a Milano. Entrato nei Proletari Armati per il Comunismo (Pac) è il responsabile dell’uccisione nel 1979 a Milano del gioielliere Pierluigi Torregiani. Arrestato nel 1979, è condannato a trent’anni di carcere per omicidio e sette rapine. Si allontana dalla lotta armata, libero dal 1999 lavora per una cooperativa della fondazione Exodus di don Mazzi.

Rocco Micaletto
Nato a Taviano il 12 agosto 1946, entra in clandestinità già nel 1974. Capo della colonna torinese delle Brigate Rosse, uccise personalmente nel 1977 il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Torino, Fulvio Croce. Da membro del Comitato Esecutivo delle Br ha guidato con Mario Moretti il sequestro Moro. Venne arrestato nel 1980 nel blitz che costò la libertà anche a Patrizio Peci, coordinato dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Peci fu poi il primo pentito brigatista, che contribuì allo smantellamento dell’organizzazione terroristica in poco più di due anni. Micaletto, invece, mai pentito né dissociato venne condannato a tre ergastoli. Dal 2004 è tornato in libertà.

Mario Moretti
Nato a Porto San Giorgio il 16 gennaio 1946, nelle Brigate Rosse fin dalla fondazione, ricercato dal 1972, arriva al vertice dell’organizzazione terroristica nel 1976. Di fatto è il capo delle Br a cui vanno ascritte tutte le azioni più violente e infatti una volta catturato il 4 aprile 1981 venne condannato a sei ergastoli. Nonostante questo è in semilibertà dal 1997, si è sposato e ha avuto un figlio. Guardato con sospetto da Curcio e soprattutto da Franceschini, Moretti si avvantaggia del loro arresto per scalare la gerarchia delle Br di cui determina la svolta più sanguinaria. Guidò personalmente il commando che uccise a Genova il procuratore Francesco Coco nel 1976, organizzò e diresse il sequestro dell’armatore Pietro Costa nel 1977 liberato solo a seguito del pagamento di un colossale riscatto, è la mente e il braccio della strage di via Fani e del sequestro di Aldo Moro, di cui condusse personalmente l’interrogatorio. Scrisse personalmente i comunicati brigatisti nel corso dei 55 giorni del sequestro, secondo alcuni fu il materiale assassino dello statista, di certo guidò la Renault 4 rossa con il cadavere di Moro nel bagagliaio fino a via Caetani il 9 maggio 1978. Frequentatore della scuola di lingue Hyperion di Parigi di Corrado Simioni, leader del Superclan, poi rivelatasi una sorta di cassa di compensazione tra i servizi segreti delle varie nazioni operanti in Europa, secondo alcuni Moretti ne fu influenzato se non direttamente utilizzato. I terroristi reclusi nelle carceri nel 1979 contestarono la leadership di Moretti, ma l’organizzazione gli confermò poi la fiducia. Moretti partecipò personalmente alla strage di via Schievano a Milano dell’8 gennaio 1980 con cui la colonna Walter Alasia volle “dare il benvenuto” al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nominato alla guida della divisione Pastrengo, uccidendo tre poliziotti: Antonio Cesari, Rocco Santoro e Michele Tatulli. Un anno dopo gli fu fatale un appuntamento organizzato proprio con un informatore infiltrato di Dalla Chiesa, che lo attirò in una trappola e lo arrestò. Poche settimane dopo l’incarcerazione a Cuneo, Moretti fu fatto oggetto di un tentativo di assassinio a cui scampò fortunosamente. Mai pentito né dissociato.

Valerio Morucci
Nato a Roma il 22 luglio 1949, dopo la militanza in Potere Operaio entra nelle Brigate Rosse. Ne guida la colonna romana dal 1976 ed è tra i principali responsabili della strage di via Fani e del rapimento di Aldo Moro, anche se si oppone alla sua esecuzione. La voce della telefonata al professor Franco Tritto, in cui il docente amico di Moro scoppia in lacrime apprendendo per primo che il corpo dello statista è stato lasciato dai brigatisti in via Caetani, è di Morucci. Un documento di 300 pagine noto come “Memoriale Morucci” racconta nei dettagli i 55 giorni di prigionia del presidente della Democrazia Cristiana. Arrestato nel 1979, condannato a vari ergastoli insieme alla sua compagna di vita di allora Adriana Faranda, Morucci è libero dal 1994, dopo essersi dissociato e aver contribuito ad identificare alcuni dei terroristi presenti in via Fani. Ha scritto quattro libri tra cui uno dal titolo emblematico: “La peggio gioventù”.

Pietro Mutti
Nato a Toritto il 24 ottobre 1954, è tra i principali esponenti dei Proletari Armati per il Comunismo (Pac). Colpevole di quarantacinque rapine e dell’omicidio di una guardia giurata, è responsabile anche dell’evasione di Cesare Battisti dal carcere di Frosinone nel 1981, fuga che condusse Battisti verso una ininterrotta latitanza. Dissociato e poi pentito, principale accusatore dello stesso Battisti, ha subito solo una condanna a otto anni ed è libero dal 1990.

Luca Nicolotti
Nato a Torino il 28 agosto 1954, entrato nella colonna genovese delle Brigate Rosse nel 1977, prende parte all’uccisione del commissario di Genova, Antonio Esposito, nel 1978. Viene catturato il 19 maggio 1980 a Napoli dopo aver ucciso il politico democristiano Pino Amato. Considerato responsabile anche delle gambizzazioni del segretario regionale della Democrazia Cristiana, Angelo Sibilia, del vicecaporeparto dell’Ansaldo, Sergio Prandi, nonché del presidente degli industriali genovesi, Feliche Schiavetti, Nicolotti viene condannato a vari ergastoli. Mai pentito né dissociato, dal 2006 è in semilibertà.

Patrizio Peci
Nato a Ripatransone il 9 luglio 1953, è il primo e più importante pentito delle Brigate Rosse, che ha contribuito in maniera decisiva sotto la guida del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa allo smantellamento dell’organizzazione terroristica. Entra nelle Br nel 1976 ed è uno dei principali dirigenti della colonna torinese fino all’arresto avvenuto il 20 febbraio 1980. Personalmente ha gambizzato il militante democristiano Antonio Cocozzello il 25 ottobre 1977 e partecipato all’omicidio di Carlo Casalegno nel novembre dello stesso anno. Ha pedinato un altro giornalista torinese, Ezio Mauro, ma poi le Br decisero di non agire contro “un pesce considerato troppo piccolo”. Dopo il pentimento e gli arresti conseguenti, le Brigate Rosse di Giovanni Senzani rapirono Roberto Peci, uccidendolo e filmando l’esecuzione dopo 55 giorni di prigionia il 3 agosto 1981. Il 18 maggio 1983 Peci testimoniò in tribunale contro le Brigate Rosse, nel 1986 venne condannato a 8 anni di reclusione, mentre i suoi compagni delle colonna torinese per via delle sue dichiarazioni subirono 13 ergastoli. Subito liberato, vive in una località segreta ed ha cambiato nome.

Giorgio Pietrostefani
Nato a L’Aquila il 10 novembre 1943, è stato con Adriano Sofri il leader e fondatore di Lotta Continua. Condannato come mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, è fuggito in Francia dove viene tutelato dalla cosiddetta “dottrina Mitterrand”, che non concede l’estradizione per reati considerati “politici”. In Francia fa lo scrittore e attende la prescrizione della sentenza che avverrà nel 2027. Nonostante la latitanza, gli amici di Pietrostefani provenienti dall’ambiente di Lotta Continua hanno inoltrato domanda di grazia sia a Scalfaro, che a Ciampi, che a Napolitano. Tutti e tre i presidenti della Repubblica non gliel’hanno concessa. Napolitano ha graziato come primo atto della sua presidenza Ovidio Bompressi, l’esecutore materiale dell’omicidio commesso su mandato di Sofri e Pietrostefani.

Susanna Ronconi
Nata a Venezia il 26 settembre 1951, già nel 1974 partecipa alla prima azione assassina delle Brigate Rosse, l’assalto alla sezione missina di Padova dove rimangono uccisi i militanti di destra Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola. Passa a Prima Linea nel 1978 e firma anche il primo omicidio di quella organizzazione terroristica, uccidendo a Napoli il professore Alfredo Paolella. Arrestata nel 1980, evade dal carcere di Rovigo il 3 gennaio 1982 grazie al leader di Prima Linea, Sergio Segio, che fa esplodere una parte del muro di cinta del penitenziario, uccidendo un ignaro passante: Angelo Furlan. Verrà riarrestata nel 1983 con Sergio Segio, che sposerà in carcere. Ottiene la semilibertà nel 1991 ed è completamente libera dal 1998.

Antonio Savasta
Nato a Roma il 30 dicembre 1955, Svasata uccide il tenente colonnello dei carabinieri Antonio Varisco il 13 luglio 1979 a Roma, poi il 5 luglio 1981 l’ingegner Giuseppe Taliercio, il direttore dello stabilimento Montedison di Porto Marghera rapito 46 giorni prima. Infine organizza il sequestro del generale americano Dozier a seguito del quale viene catturato il 28 gennaio 1982. Inizia subito a collaborare con gli inquirenti e mette fine, di fatto, alla residua capacità organizzativa delle Brigate Rosse. Lascia il carcere definitivamente nel 1992.

Bruno Seghetti
Nato a Roma il 13 aprile 1950, sanguinario protagonista della colonna romana delle Brigate Rosse, partecipa attivamente alla strage di via Fani e al sequestro Moro. Fa parte del commando che assalta il comitato romano della Democrazia Cristiana nel 1979 e di quello che uccide Vittorio Bachelet all’Università La Sapienza nel 1980. Viene arrestato a Napoli il 19 maggio 1980 dopo l’uccisione del dirigente democristiano Pino Amato. Anima la rivolta del carcere di Trani del dicembre 1980, per quasi tutti gli Anni Ottanta mantiene anche in aula durante i processi un atteggiamento sprezzante verso le vittime e le istituzioni, dicendosi convinto ancora nel 1987 nella possibilità di ripresa della lotta armata e tentando lo stesso anno di evadere dal carcere di Rebibbia. Solamente il 23 ottobre 1998 firma con Prospero Gallinari un documento con cui dichiara “esaurita la possibilità della guerra rivoluzionaria in Italia”. Ottiene la semilibertà nel 1999.

Giovanni Senzani
Nato a Forlì il 21 novembre 1942, entra nelle Brigate Rosse nel 1978 e ne prende la guida dopo l’arresto di Mario Moretti dell’aprile 1981. Responsabile del sequestro e dell’assassinio di Roberto Peci il 3 agosto 1981, guida anche la vicenda del sequestro dell’assessore democristiano Ciro Cirllo. Si spartisce il ricco riscatto con la camorra, facendosi inviare la sua parte su un conto cifrato in Svizzera. Arrestato il 9 gennaio 1982, è provata la sua frequentazione della scuola di lingue parigina Hyperion, considerata una copertura rispetto al ruolo di cassa di compensazione dei servizi segreti operanti in Europa. In semilibertà dal 1999, ottiene la libertà definitiva nel 2010.

Sergio Segio
Nato a Pola il 24 novembre 1955, è il principale esponente di Prima Linea. Uccide materialmente il giudice Emilio Alessandrini (Milano, 29 gennaio 1979), il giudice Guido Galli (Milano, 19 marzo 1980), il povero passante Angelo Furlan per far evadere Susanna Ronconi dal carcere di Treviso nel 1982. Arrestato con lei nel 1983, condannato all’ergastolo e a vari altri anni di carcere, ottiene la semilibertà nel 1994 e il “fine pena” già nel 2004. Dichiara nel 2017 che Prima Linea non è stata una organizzazione terroristica ma “una organizzazione combattente di sinistra”, appoggiato in questa definizione dallo scrittore Erri De Luca. Segio diventa scrittore anch’egli e giornalista, le sue gesta sono narrate nel film La Prima Linea, di Renato De Maria, in cui il terrorista viene interpretato da Riccardo Scamarcio.

Corrado Simioni
Di Corrado Simioni non si conosce con precisione né la data esatta di nascita, fissata nel 1934 a Venezia, né quella di morte, che dovrebbe essere avvenuta in provincia di Trieste nel 2008. Secondo Bettino Craxi il “grande vecchio” del terrorismo brigatista era questo critico d’arte e filosofo, militante socialista poi espulso per “indegnità morale”, fondatore a Parigi dopo essere entrato in clandestinità della scuola di lingue Hyperion, da molti considerata come centrale dei servizi segreti operanti in Europa. Dalla Hyperion nei momenti cruciali passano tutti i capi brigatisti, da Mario Moretti fino a Giovanni Senzani. Dietro le quinte opera lui, Simioni, attivo nel terrorismo fin dal 1972 quando guida il Superclan, incrociando Prospero Gallinari, con Moretti protagonista del sequestro Moro, anche Gallinari era legato alla scuola Hyperion. In Commissione Moro, in Parlamento nel 2015, un collaboratore di Simioni (Duccio Berio) ha ammesso i contatti e i tentativi di infiltrazione in Hyperion dei servizi segreti italiani.

Adriano Sofri
Nato a Trieste il 1 agosto 1942, è il fondatore e leader di Lotta Continua, mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, l’unico dei quattro condannati (gli altri sono Leonardo Marino, Giorgio Pietrostefani, Ovidio Bompressi) ad aver scontato per intero la pena, pur protestando la propria innocenza. La pena, 22 anni di carcere comminati in via definitiva nel 1997 dopo una contorta vicenda processuale, è stata dichiarate estinta nel 2012. Sofri svolge la professione di giornalista e scrittore, curiosamente la sua biografia su Wikipedia specifica: è ateo.

Mario Tuti
Nato a Empoli il 21 dicembre 1946, fondatore del Fronte Nazionale Rivoluzionario, condannato a due ergastoli per tre omicidi. Individuato come terrorista neofascista, uccide il 24 gennaio 1975 due dei tre poliziotti inviati a casa dei suoceri ad arrestarlo (Leonardo Falco e Giovanni Ceravolo), ferendo gravemente il terzo (Arturo Rocca). Dopo sei mesi di latitanza viene arrestato in Francia. In carcere uccide Ermanno Buzzi nel 1981, condannato in primo grado per la strage di piazza della Loggia, temendo che potesse far luce sui legami tra neofascismo e stragismo. Nel 1987 guida la rivolta nel carcere di Porto Azzurro. Mai pentito né dissociato, dal 2004 è in semilibertà.

Giorgio Vale
Nato a Roma il 22 ottobre 1962, dopo aver militato in Terza Posizione, entra nel 1980 nei Nuclei Armati Rivoluzionari dei fratelli Fioravanti. Noto per aver regolato alcuni conti all’interno del neofascismo eversivo, uccide nel 1981 Giuseppe De Luca prima e Marco Pizzari poi, considerati truffatori e traditori. Il 21 ottobre 1981 uccide il capitano della Digos Antonio Straullu, responsabile delle indagini sui Nar coordinate dal magistrato Mario Amato, già assassinato nel 1980. Oltre a Straullu nel blitz muore anche l’agente Ciriaco Di Roma. Il 5 marzo 1982 mentre con Francesca Mambro assalta un’agenzia della Banca Nazionale del Lavoro a Roma, ingaggia un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine e resta ucciso. Nella sparatoria muore anche lo studente 17enne Alessandro Caravillani, per la cui uccisione la Mambro è condannata all’ergastolo.