Da mesi proviamo a spiegare che ideologizzare il green pass rendendolo un totem avrebbe creato un clima sociale insostenibile. Abbiamo avanzato proposte, per primi quella dei tamponi gratuiti anche salivari, ma anche l’idea danese che ha usato il green pass fino al raggiungimento della soglia del 70% dei vaccinati, poi ha rimosso tutte le limitazioni. L’Italia è all’80%. I fatti hanno reso ragione alla nostra analisi, la rabbia è montata ed è montata anche in piazza. Ascoltando il question time alla Camera del ministro Lamorgese che ha esplicitamente dichiarato di aver “scelto” di non neutralizzare l’agitatore di folle Giuliano Castellino che sul palco di piazza del Popolo il 9 ottobre non poteva proprio starci perché colpito da Daspo, emergono altri fatti. Incontestabili.
Il governo sapeva tutto e ha fatto sì che l’assalto alla Cgil si producesse. Lo stesso Castellino ha annunciato l’assedio alla sede del sindacato di Landini dal palco della manifestazione, l’ex Nar Luigi Aronica trattava sotto palco con la Digos una “scorta” della polizia che ha accompagnato i manifestanti pacificamente attraverso Villa Borghese per raggiungere la sede sindacale, salvo caricarli anche con blindati lanciati contro la folla a piazza Brasile, per innescare il clima violento che si è poi scatenato a Corso Italia, poche centinaia di metri più in là. La sede della Cgil è stata lasciata sguarnita quando bastava piazzare due blindati per renderla intangibile dai manifestanti. Anche quella è stata evidentemente una scelta del ministero dell’Interno, che ha avuto ore dall’annuncio esplicito di Castellino per approntare l’adeguata difesa del simbolico indirizzo sindacale in Corso Italia. Non è stato fatto nulla. Perché? Per avere quelle foto dell’assalto, criminalizzare e “fascistizzare” l’intera protesta contro il green pass, piegando così le residue resistenze di quei 4 milioni di lavoratori sui 23 milioni di impiegati che, non essendo vaccinati e non volendo spendere 200 euro al mese in tamponi, il green pass non potranno esibirlo vedendo messo a rischio il posto di lavoro dal 15 ottobre. Gran finale dell’operazione doveva essere la manifestazione “antifascista” convocata nel sabato del silenzio elettorale il 16 ottobre a piazza San Giovanni a Roma, per dominare l’informazione anche a urne aperte con l’obiettivo ulteriore di battere agevolmente il povero Michetti ormai consegnato all’etichetta di “fascista e antisemita”. Corollario di tutta l’operazione, lo scioglimento per decreto dopo adeguata mozione piddina di Forza Nuova, che aprirebbe lo scenario politico imbarazzante del precedente della cancellazione di una forza sgradita a chi governa a seguito di un atto parlamentare di maggioranza. Mi si dirà: ma quella forza è fascista e la Costituzione vieta la riproposizione del partito fascista. Vero. Ma da trent’anni quella forza si presenta alle elezioni, l’ultima volta alle politiche del 2018 con Marco Minniti ministro dell’Interno, con nessuno che affacciò il benché minimo dubbio sul diritto di Forza Nuova a chiedere il sostegno degli elettori. Che mai hanno avuto, riportando sempre percentuali irrisorie. Lo scioglimento servirà solo a esacerbare gli animi e estremizzarne i militanti. Magari per utilizzarli in prossime operazioni stile assalto annunciato alla Cgil? E qui mi fermo. Non sarebbe la prima volta in cui l’estremismo neofascista viene utilizzato per giocare sporco. Al ministero dell’Interno c’è chi sa come si fa.
I fatti ci dicono che l’80% della popolazione italiana adulta è vaccinata. I fatti ci dicono che le piazze che hanno provato a “fascistizzare” sono in realtà piazze di popolo. I fatti ci dicono che portuali e autotrasportatori sono pronti a bloccare il rifornimento di merci, con l’effetto di un immediato tracollo economico. I fatti ci dicono che bloccare un porto come Trieste significa far saltare immediatamente gli investimenti di British American Tobacco, dei turchi, degli ungheresi, dei tedeschi di Amburgo, del Pnrr: valgono più di un miliardo di euro e migliaia di posti di lavoro. Draghi lo sa, è uomo che sa far di conto: subito ha proposto ai portuali di Trieste (settimo porto d’Europa) quel che noi da mesi proponiamo per tutti i lavoratori, cioè i tamponi gratuiti. Allora si sa come si fa a disinnescare la tensione sociale, ad abbattere il green pass come totem ideologico. I portuali di Trieste, che guadagnano 3.500 euro al mese e sono una categoria forte non ricattabile, hanno con grande dignità detto che non vogliono un provvedimento ragionevole solo per loro, ma lo vogliono per tutti. E poiché a fine mese salta pure il blocco dei licenziamenti, poiché in Italia stanno abbattendosi milioni di cartelle esattoriali, poiché è già decaduto il blocco degli sfratti, poiché gli aumenti del pieno di benzina e delle bollette sono colossali, il mio consiglio a Draghi è di non far soffiare sul fuoco gli apprendisti stregoni che ha nel governo. Draghi sa far di conto.
Con 4 italiani vaccinati su 5 il green pass, come in Danimarca, non serve più. Si mantengano le regole di prudenza, di distanziamento, di sanificazione. Draghi rimuova l’obbligo e lo renda facoltativo, per scelta, prima di dover cedere all’azione di portuali, piazze e autotrasportatori. I fatti dicono che è stato innescato un clima esplosivo nel Paese. Qualcuno ha scelto di tenere accesa la miccia e alla detonazione non manca molto. Servono statisti in grado di fare sintesi e costituzionalizzare la protesta, come avrebbe fatto Aldo Moro, invece di scatenare la contrapposizione fuori tempo massimo tra fascisti e antifascisti, che costò poi Palazzo Chigi a Fernando Tambroni.
Draghi sa come si fa. Questo è il tempo di un nuovo “whatever it takes” per salvare la pace sociale in un Paese già stressato da venti mesi difficilissimi. È il tempo della politica alta, non delle basse cucine dove si confezionano ricette avvelenate con il retrogusto di un passato che speravamo di esserci lasciati definitivamente alle nostre spalle.