Repubblica invita al giochino della memoria dell’11 settembre: dove eravate? Cosa stavate facendo? Non c’è un giornale, dico uno, che spieghi l’ansia di espansione dell’Islam prima con l’assalto all’Impero romano d’Oriente, poi all’Europa con la conquista della Spagna e la progressiva ambizione di occuparne il cuore fino a Vienna e a Roma, poi Lepanto, poi l’Impero ottomano fino alla forma d’assalto all’Occidente più riuscita, quella immigrazionista e demografica di cui l’11 settembre è figlio. Allah non sarà sazio finché tutto il mondo non sarà piegato all’Islam e noi non saremo al sicuro finché non sarà compreso a pieno il discorso di Ratisbona di Benedetto XVI, una chiave per disinnescare la bomba islamista. Ma noi invece di raccontare la storia, ci raccontiamo le storielle. Dov’eri? Che facevi mentre una dozzina di kamikaze immigrati e istruiti in scuole di volo non solo americane ammazzavano qualche migliaio di occidentali? In tutto il mondo islamico quella immane strage fu festeggiata, pubblicamente da alcuni, privatamente da quasi tutti. Se non si studiano quattordici secoli di ansia espansiva dell’Islam non si capisce l’11 settembre, che è solo una marginale tappa di un percorso innescato dalla sura del Corano (2, 190-193) che recita: “Combattete per la causa di Allah coloro che vi combattono, uccideteli ovunque li incontriate, scacciateli. Combatteteli finchè il culto sia reso solo ad Allah”. C’è questo o c’è Ratisbona. O capiamo o moriamo.