Proposta sull’omotransfobia, da Modena la posizione del Popolo della Famiglia

27 Settembre 2020 Elisa Rossini
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Elisa Rossini, Il Popolo della Famiglia

Non si vede come si possa qualificare l’insistenza per una norma a vantaggio di una (già per nulla fragile) lobby in un contesto di generale e grave precarietà, se non di marcato sostrato ideologico.

In alcuni consigli comunali, provinciali e regionali Partito Democratico, Lega e Fratelli D’Italia hanno presentato mozioni per sollecitare i parlamentari a riprendere o ad accantonare definitivamente la discussione in aula del disegno di legge Zan, sospesa nel corso della seduta del 4 agosto scorso, per mancanza del parere della Commissione Bilancio.

Come può porsi il Popolo della Famiglia in relazione a tali iniziative? Deve a propria volta intervenire presentando proprie mozioni autonome per sostenere la necessità di abbandonare definitivamente il disegno di legge allineandosi così alle posizioni di Lega e Fratelli D’Italia?

Per rispondere a questa domanda una considerazione preliminare è necessaria.

In un momento molto delicato per l’intero paese che ha necessità di vedere parlamentari e amministratori locali impegnati nel sostegno per la ripresa di attività economiche e scolastiche, da contemperare con le esigenze di tutela della salute dei cittadini, si può ragionevolmente affermare che mozioni come quelle presentate dai partiti sopra citati, siano da considerarsi completamente “fuori tema” e che da queste iniziative il Popolo della Famiglia, che sostiene i temi etici per l’impatto che questi hanno sulla vita concreta delle persone e non per usarli come spade per atterrare l’avversario, dovrebbe tenersi lontano.

La posizione potrebbe quindi essere quella di non sostenere o adottare iniziative dirette quali quelle adottate da PD, Lega e Fratelli D’Italia, continuando come si è sempre fatto ad intervenire in modo concreto e competente sul tema.

Proviamo quindi a fornire alcuni elementi di concretezza e alcune considerazioni tecniche che i pidieffini possono utilizzare nei dibattiti che seguono alla presentazione delle mozioni. Partiamo da alcuni numeri: quelli delle rilevazioni dell’Osservatorio sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD) che ci dicono che quella emergenza omofobica a cui si afferma che si deve con tanta urgenza fare fronte in realtà non c’è, e quelli che si riferiscono ai molteplici articoli del codice penale che già tutelano ampiamente ogni persona da forme di discriminazione e di violenza.

Ma partiamo dai numeri dell’OSCAD. Le segnalazioni di atti discriminatori dal 2010 al 2018 riguardano discriminazioni per ragioni di razza/etnia (897 casi, pari al 59,3%), discriminazioni per ragioni di credo religioso (286 casi pari al 18,9%), discriminazioni per disabilità (118 casi pari al 7,8% dei casi), discriminazioni per orientamento sessuale (197 casi pari al 13,8%), discriminazioni per identità di genere (15 casi, pari all’1,0%). In totale quindi dal 2010 al 2018 le segnalazioni di discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere sono in totale 212, e quindi in numero decisamente inferiore alle discriminazioni per ragioni di razza e di credo religioso.

Sia chiaro: anche un solo caso in 8 anni sarebbe grave e andrebbe condannato, ma dobbiamo considerare che tale condanna sarebbe già possibile. E veniamo così agli altri numeri, quelli degli articoli del codice penale che ci dicono, appunto, che il diritto penale già interviene in maniera completa per tutelare le persone contro ogni discriminazione e violenza.

Sono infatti previsti i reati di istigazione a delinquere (art. 414 c.p), di associazione a delinquere (art. 416 c.p), di omicidio (art. 575), percosse (581), lesioni personali (582), omicidio preterintenzionale (584 c.p), ingiuria (art. 594 c.p), diffamazione (art. 595 c.p), diffamazione a mezzo della stampa (art. 596 bis c.p), sequestro di persona (art. 605), violenza sessuale (609 bis c.p), la violenza privata (art. 610 c.p), la minaccia (art. 612 c.p), gli atti persecutori (art. 612 bis c.p). L’attuale codice penale prevede anche le aggravanti all’art. 61 c.p. Aggravano il reato ad esempio l’aver agito per motivi abietti o futili, l’aver adoperato sevizie o l’aver agito con crudeltà verso le persone, l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche con riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, l’avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso.

Il disegno di legge Zan chiede di integrare alcuni articoli del codice penale indicando la punibilità con la reclusione da sei mesi a 4 anni per chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere e propone di modificare la rubrica dell’articolo 604 bis del codice penale da “propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa” a “propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, istigazione a delinquere e atti discriminatori e violenti per motivi razziali, etnici, religiosi o fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”. Il disegno di legge si propone altresì di aumentare la pena se il reato viene compiuto nell’ambito di attività di associazioni, movimenti o gruppi.

Il problema di fondo del disegno di legge è rappresentato da questa differenza che si introduce tra sesso e genere che non coincidono più, anzi si differenziano, nel senso che il sesso è quello biologico, il genere ed in particolare l’identità di genere consiste nella percezione che la persona ha di sé, anche se non corrispondente al sesso biologico. L’altro tema importante è la punibilità della propaganda di idee che viene introdotta con il mutamento della rubrica dell’articolo 604 bis del codice penale.

La legge, in altre parole, si propone di punire con pene gravi chi discrimina o istiga alla discriminazione o all’odio per ragioni che riguardano la percezione che la persona ha di sé. Quindi si dà rilevanza giuridica ad una percezione che l’uomo ha di sé e che prescinde da un dato di realtà (in questo caso il sesso biologico).

E punisce chi non riconosce questa percezione richiamando al dato di realtà (se nasci femmina sei femmina e se nasci maschio sei maschio, anche se ti senti qualcosa di diverso). Questa operazione tende a decostruire la realtà e costruirla secondo il desiderio di ciascuno e in tal modo la sanzione penale diventa parte integrante di un disegno antropologico più ampio che è l’autodeterminazione assoluta che punisce chi ha una diversa visione antropologica. Facciamo alcuni esempi. Una madre che desse alla figlia il suggerimento di non sposare un uomo che si dichiara bisessuale ritenendo che tale orientamento condurrebbe inevitabilmente all’infedeltà e all’infelicità della figlia, potrebbe essere punita per discriminazione nel caso in cui il compagno della figlia sporgesse denuncia.

Un membro di un’associazione che si proponesse di svolgere azioni contro la genitorialità omosessuale ritenendo che l’interesse principale del bambino sia quello di essere cresciuto da una madre e da un padre, potrebbe essere accusato di discriminazioni.

Esprimere l’opinione (si punisce la propaganda di idee, ricordiamolo) che uomo e donna sono loro soli complementari e che solo la loro unione genera la vita, potrebbe essere oggetto di denuncia. Viene realizzata una vera e propria censura mettendo in pericolo la libera espressione del pensiero costituzionalmente garantita.

All’articolo 3 del disegno di legge si è cercato di porre rimedio alla deriva liberticida con la seguente indicazione “sono consentite la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte”.

Ma non è questa legge che può “consentire” la libera espressione del pensiero che, come abbiamo detto, è diritto costituzionalmente garantito!

E questa specificazione è talmente generica da non consentire di raggiungere la certezza che, nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme, non si possa verificare la violazione del principio costituzionale della libertà di espressione del pensiero prevista dall’articolo 21 della Costituzione.

Inoltre risulta violato il principio di determinatezza e tassatività del diritto penale: la terminologia utilizzata nel disegno di legge (identità di genere e quindi genere distinto dal sesso biologico), come abbiamo già avuto modo di sottolineare, introduce formulazioni scivolose e termini non chiari perché totalmente sganciati dal dato di realtà e legati ad una percezione di sé

Altra criticità forte si trova nella previsione dell’incremento del fondo per le politiche relative alle pari opportunità di un importo di 4 milioni di euro annui a decorrere dal 2020, al fine di finanziare politiche per la prevenzione e il contrasto della violenza per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere e per il sostegno alle vittime. È evidente come questa norma finisca per discriminare le altre discriminazioni. Ci sono discriminati di serie A per cui si spendono risorse importanti e discriminati di serie B che ricevono meno o nulla (quanto riceve ci viene discriminato per ragioni di credo religioso, ad esempio?).

Infine si stabilisce che la Repubblica Italiana riconosce il giorno 17 maggio quale giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia e impone che in quell’occasione siano organizzate iniziative da parte delle amministrazioni pubbliche e delle scuole. Dobbiamo chiederci: i genitori che volessero esonerare i figli da quelle attività ritenendo che la visione antropologica sottesa non corrisponda al proprio progetto educativo, sarebbero perseguibili? E la risposta non può che essere affermativa.

Una soluzione interessante a tutti i problemi e le criticità di questo disegno di legge è stata avanzata da alcuni giuristi e consiste nell’inserimento tra le circostanze aggravanti comuni previste dal codice penale e che abbiamo elencato sopra, oltre all’avere agito per motivi abietti o futili già presente, anche una ulteriore aggravante che potrebbe avere questo tenore “l’avere agito con la finalità di ledere la dignità delle persone”.

Il concetto di dignità della persona è noto all’interno del nostro ordinamento giuridico e tale semplice soluzione potrebbe essere facilmente adottata per dare una tutela maggiore a tutte le persone che risultano lese nella loro dignità, senza classificazioni e senza creare discriminazioni di serie A e discriminazioni di serie B. Soprattutto si eviterebbe di usare la norma penale per creare una nuova antropologia che prescinde dall’osservazione della realtà.

Tuttavia sappiamo bene che coloro che premono per l’approvazione della legge non hanno in realtà a cuore la tutela della dignità di tutte le persone, ma hanno come obiettivo quello di dare l’ultima definitiva spallata alla famiglia e tutto ciò che è ragionevole e semplice perché ancorato alla visione dell’uomo data dall’antropologia cristiana, viene respinto con l’arroganza e la prepotenza che ormai abbiamo purtroppo imparato a conoscere.

Fonte: La Croce Quotidiano – Settembre 2020