Mario Adinolfi: Don Minzoni e il tema del metodo

1 Aprile 2019 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Mia figlia Clara ha fatto domenica la Promessa ed è diventata scout. Esperienza anomala per la mia famiglia, nessuno è mai stato scout, quindi mi sono dovuto avvicinare ad un mondo che non conoscevo. Clara è la prima “coccinella” ad aprire dunque una nuova strada e buon volo, piccola mia. Mentre recitava la Promessa la sentivo assicurare con gioia dedizione a Dio, alla sua famiglia e alla patria, mi veniva in mente quanto triste deve essere quella politicante che irrideva in piazza queste parole chiave dell’esistenza umana. Studiando lo scoutismo mi sono imbattuto in San Giovanni Paolo II che indicava nel 1983 in don Giovanni Minzoni un punto di riferimento: “La sua azione educativa diretta a formare la gioventù per prepararla nel contempo ad una solida vita cristiana e ad un conseguente impiego per la trasformazione della società sono i motivi per cui gli Esploratori Cattolici sono a lui debitori”. Domenica era un giorno particolare e ritrovarmi a pensare a don Minzoni mi ha aiutato a focalizzare il tema del “metodo”. Avete presente Parolin che si diceva d’accordo sulla sostanza, ma “non sul metodo”, confermato dal Papa? Qual è il metodo che sarebbe invece giusto? Ce n’è uno? Sì, penso di sì. E in questo anche don Minzoni può essere d’aiuto.

Don Giovanni Minzoni, ravennate, è stato un prete soldato. Si è fatto mandare al fronte, ha combattuto la battaglia del Piave e ha dimostrato tanto coraggio da essere decorato sul campo nel 1917. Tornato dopo la “vittoria mutilata” alla sua parrocchia di Argenta, si mise subito a cercare di alleviare le faticose condizioni della popolazione aiutando a fondare cooperative di lavoratori all’alba degli Anni Venti, nei mesi in cui il socialismo si faceva violento sognando la rivoluzione in stile sovietico, in cui venivano fondati i Fasci di Combattimento e il Partito popolare italiano di don Sturzo. Don Minzoni fonda prima un gruppo scout, poi capisce che tutte queste risposte ideologiche rosse e nere, violente in sé, necessitano anche un impegno politico. Entra così organicamente nel Ppi e quando nel 1922 Mussolini spacca il partito di Sturzo, con i filofascisti che si facevano attrarre nell’orbita del PNF, don Minzoni resta fedele al popolarismo allergico al regime. Il potentissimo ras fascista del ferrarese, Italo Balbo, va dal prete di Argenta per disinnescarlo e gli propone il ruolo di Cappellano della Milizia. Don Minzoni rifiuta: “Nella Milizia ci sono troppi ex comunisti”, gli dice. Il 23 agosto 1923 una squadraccia attende che rientri verso la sua parrocchia e a bastonate gli spacca il cranio. Don Minzoni resiste novanta minuti, soccorso da alcuni passanti. Muore poi con attorno tutti i parrocchiani di Argenta accorsi al suo capezzale.

Un anno dopo con modalità simili sarà ucciso il deputato del Psi Giacomo Matteotti, la cui vicenda è universalmente nota. La storia di don Giovanni Minzoni, sacerdote del Ppi, è patrimonio di pochi. Di più: gli assassini di Matteotti furono comunque in qualche modo condannati. Gli assassini di don Minzoni, individuati e processati con il pm a chiedere la condanna, furono assolti all’unanimità dai giudici popolari. Quando in età repubblicana il processo fu riaperto, un quarto di secolo dopo, gli assassini furono condannati per omicidio ma immediatamente liberati per sopraggiunta amnistia voluta dal ministro e leader comunista Palmiro Togliatti. Nel 1924 comunque le inchieste coraggiose del quotidiano del Ppi, il Popolo, riuscirono a far rimuovere Italo Balbo da capo della Milizia. Il giovane direttore de Il Popolo, Giuseppe Donati, venne querelato da Balbo ma incredibilmente vinse la causa e il ras fascista fu condannato al pagamento delle spese processuali: in pieno regime, praticamente un miracolo. Il Popolo fu comunque chiuso dalle leggi fascistissime nel 1925, nel giugno dello stesso anno Donati fu costretto all’esilio come già era capitato a Sturzo mentre De Gasperi finiva in carcere con la moglie. In esilio ad appena 42 anni Giuseppe Donati moriva costretto alla fame, per una broncopolmonite che non riuscì a curare.

La storia dei popolari è densa di vicende così e hanno fatto parte della mia fascinazione per questo metodo insieme così decisamente mite ma radicale fino alla capacità dell’estremo sacrificio. Mi avvicinai nel 1985 alla politica attiva perché la sezione di partito era giusto di fronte alla parrocchia dove facevo il chierichetto, mi affascinarono le lezioni dei corsi di formazione per giovani che teneva un senatore, docente universitario. Dopo tre anni di corsi a Roma un giorno del 1988 il mio severo ma gentilissimo professore-senatore ritornò a casa sua a Forlì, si ritrovò in casa due ragazzi che si qualificarono come comunisti combattenti e gli spararono due pallottole nel cranio, uccidendolo dopo averlo fatto mettere in ginocchio e invitato all’ultima preghiera. I risparmi della sua intera vita, duecento milioni di lire, dal suo testamento venivano lasciati alla parrocchia. Aveva scritto un libro sulle riforme necessarie che, se applicate, avrebbero risparmiato all’Italia questi terribili trent’anni di transizione infinita. E forse per questo fu ucciso. Si chiamava Roberto Ruffilli e in pochissimi ne ricordano la figura.

Nel 1989 il Popolo è stato il primo quotidiano a pubblicare i miei articoli, quand’ero ancora minorenne, ci ho scritto per quindici anni. Quattro anni dopo il cinismo del potere affondò il partito di governo e fui onorato di essere chiamato a essere il più giovane dei membri dell’assemblea costituente che rifondò il Partito popolare e diventai presidente nazionale dei Giovani Popolari. Come quello sturziano, anche il nuovo Ppi durò pochi anni e si sfasciò perché l’attrazione cinica verso il potere finiva per essere troppo forte. Chi con Berlusconi, chi con Prodi, i popolari andarono di scissione in scissione verso l’irrilevanza. Anche io personalmente ritenni di poter fare qualcosa impegnandomi nel Pd, come moltissimi provenienti da quel Ppi, ma arrivato fino in Parlamento dovetti rendermi conto che il cinismo del potere e dei potenti rendeva impraticabile la efficace testimonianza a favore dei principi essenziali e dunque non negoziabili. Subiti due processi per omofobia, mi rassegnai e da deputato uscente preferii non ripresentare la mia candidatura, pur potendolo agevolmente fare. Perché il metodo a cui io sono dedito, sull’esempio che va da don Minzoni fino a Ruffilli passando per Moro (e per centinaia di cattolici italiani trucidati dal terrorismo prevalentemente comunista), è che al potere cinico non ci si piega e con mitezza ci si predispone al sacrificio, eventualmente anche estremo.

San Giovanni Paolo II di don Minzoni scriveva: “Morì vittima scelta di una violenza cieca e brutale, ma il senso radicale di quella immolazione supera di gran lunga la semplice volontà di opposizione ad un regime oppressivo, e si colloca sul piano della fede cristiana. Fu il suo fascino spirituale, esercitato sulla popolazione, sulle forze del lavoro ed in particolare sui giovani, a provocare l’aggressione, si volle stroncare soprattutto la sua azione educativa diretta a formare la gioventù per prepararla nel contempo ad una solida vita cristiana e ad un conseguente impiego per la trasformazione della società. Per questo gli Esploratori Cattolici sono a lui debitori”. Io che non ho più personali ambizioni da realizzare, lavoro ormai solo per consegnare alle giovani generazioni il fascino del popolarismo come metodo. L’ho chiamato in una dichiarazione di queste ore “popolarismo 2.0”, da applicare nel secondo secolo di storia dall’appello ai liberi e forti di don Sturzo. Le caratteristiche di questo metodo sono la distanza dalla violenza e dall’ideologia di destra e di sinistra, l’autonomia organizzativa, la mitezza e l’apertura al dialogo, la radicalità nei principi, la capacità di elaborazione e la concretezza delle proposte, la predisposizione al sacrificio, il rifiuto del potere quando si fa cinico, la resistenza alle sirene dei pre-potenti (Duci, Truci o Migliori che siano).

Arriverà una nuova generazione e renderà vivo, convincente e persino vincente tutto questo. Spero senza dimenticare la lezione dei padri, dei nonni e dei bisnonni popolari eroici come don Giovanni Minzoni, affinché la memoria si faccia futuro.