Mario Adinolfi: Scindiamo

7 Luglio 2018 Marco
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Ha fatto un qualche rumore nella micronicchia perennemente agitata del movimento prolife che, da juventino, come milioni di altri juventini io abbia salutato con gioia la possibilità che Cristiano Ronaldo (Pallone d’Oro in carica, ne ha vinti cinque, in pratica il calciatore più forte del pianeta attualmente in attività) vesta la casacca bianconera. Cinque righe scritte en passant sono diventate un pretesto per un’altra puntata della caccia all’uomo, la cui finalità è ovviamente la demolizione del Popolo della Famiglia, in corso da qualche tempo. Strumentalmente si è affermata l’ennesima menzogna, che io non sarei realmente contro la maternità surrogata, visto che sono pronto a sperare che Ronaldo faccia molti gol nella Juve. Cadono le braccia anche solo a dover abbozzare una risposta, ma mi rendo conto che il Signore ci offre queste occasioni in cui ci sentiamo molto infastiditi dallo strumentale giudizio altrui, anche per fare chiarezza. E allora facciamola.

Contro Cristiano Ronaldo e il suo utilizzo della maternità surrogata troverete non solo mille mie dichiarazioni, ma anche una pagina di O capiamo o moriamo, il mio penultimo libro. Ho affermato che dobbiamo scindere l’uomo dal peccato commesso, altrimenti finiamo in dimensioni paradossali ridicole. Per dirla con la freschezza di Rachele Bruschi (non è una pidieffina), manco più i Puffi possiamo guardare in televisione. Applicando il “lodo Ronaldo” papa Giulio II non avrebbe dovuto ingaggiare 510 anni fa Michelangelo per affrescare la Cappella Sistina (la firma sul contratto è del 1508), l’artista era notoriamente non solo omosessuale ma pedofilo. Nel Seicento è stato disdicevole ogni committente di Caravaggio, assassino e notoriamente incline alla violenza, ferì gravemente anche il marito di una sua amante. Esempi troppo lontani nel tempo?

Giusto. Applichiamo il “lodo Ronaldo” al mio amico napoletano Paolo Buonaiuto. Non deve scindere. Deve abiurare e giudicare Diego Armando Maradona: drogato, evasore fiscale, compagno di serate di una infinità di camorristi, ovviamente adultero e anche padre fellone di un bambino non riconosciuto finché la magistratura, molti anni dopo, non lo ha costretto a farlo. Maradona, caro Paolo, se ne va al rogo insieme a Ronaldo. E insieme a tutta la musica pop, il cinema, l’arte contemporanea, gli scrittori, le serie televisive. Non scindiamo e gli U2 sono diventati gay friendly e pro choice, Tiziano Ferro non ne parliamo proprio, The big bang theory è capitanata da un attore notoriamente omosessuale, Marguerite Yourcenar era lesbica, non vi dico che combinavano Warhol e Basquiat. Non osate poi più citare Pier Paolo Pasolini, notoriamente andava a ragazzini.

Il mio problema è che ritengo gli U2 la più grande band del pianeta e ho avuto modo di raccontare sul blog di padre Maurizio Botta dieci minuti di un loro concerto come il momento più alto della storia del rock; penso che alcune canzoni di Tiziano Ferro siano davvero molto belle, tra tutte “La differenza tra me e te”; Jim Parsons, la star di TBBT, è il nuovo Buster Keaton, geniale a far ridere senza mai muovere un muscolo facciale, senza mai ridere lui; le Memorie d’Adriano e ancora più Alexis sono libri che hanno cambiato la mia vita perché hanno profondamente influenzato la mia modalità di scrittura; il lavoro combinato di Pop Art e Street Art ha modificato il nostro sguardo sulle cose, certamente il mio. Pasolini, poi, l’ho citato in ogni mio libro e credo di essere in buona compagnia: è stato l’intellettuale più controcorrente della sua generazione e ovviamente ha pagato la solitudine e la disperazione conseguenti con la sua stessa vita. Quindi, caro Paolo Bonaiuto, puoi continuare a rendere omaggio a Maradona: il “lodo Ronaldo” con me non attacca. Io scindo. Persona e peccato. Altrimenti si vive con il ditino puntato e per farlo bisogna essere santi davvero, altrimenti si è profondamente ipocriti. E io non lo sono. Né santo né ipocrita.

Accusa ricorrente, negli scritti di queste ore: ma tu hai puntato il dito contro Elton John, il Popolo della Famiglia ha manifestato contro Tiziano Ferro a Sanremo, te la sei presa con Nichi Vendola, allora caro Adinolfi sei ipocrita anche tu.

Risposta pacata: io sono ferocemente contrario alla pratica dell’utero in affitto, lo considero il piano essenziale della nostra battaglia. Se vedo, nella dimensione del dibattito pubblico, indicati come modelli e addirittura pagati con soldi dei contribuenti, dei testimonial della maternità surrogata, io intervengo in maniera nettissima. Non a chiacchiere, sui social. Scrivo libri, organizzo tour, tengo conferenze, fondo persino partiti politici costretto a farlo dalle sottovalutazioni e dagli inganni altrui. Per cui prendo le interviste in cui Elton John esalta l’esperienza dell’utero in affitto, taglio e incollo le sue stesse parole, ne faccio occasione di polemica pubblica. Contesto duramente che la Rai possa pagare nello show più visto della stagione un testimonial della maternità surrogata. Se poi Vendola propone addirittura una legge che la istituzionalizzi, gli ricordo le norme del nostro Paese e mi espongo in battaglia. Questo mio espormi continuo causa fastidi e danni, in questo senso pago di persona e pesantemente. Quando poi la sera cala e la polemica per qualche ora si placa, può accadere che metta su proprio la canzone di Tiziano Ferro che ho citato: la mia vita / mi fa perdere il sonno sempre…

Esistono due piani e vanno scissi. Le persone con il bello di cui sono capaci; la proiezione nel dibattito pubblico delle loro idee. Alle persone non ho mai fatto mancare il mio rispetto, sempre. Per questo le decine di volte in cui hanno provato a portarmi in tribunale querelandomi per diffamazione, sono finiti sempre con il procedimento archiviato. Io non offendo mai la persona. Nell’ambito delle idee sono invece durissimo, spesso tagliente, secondo alcuni “provocatorio”. Ma pronto sempre a abbracciare l’interlocutore e berci una birra. Quanto darei per poterlo fare con Pasolini.

Ronaldo sbaglia ovviamente a fare figli negando loro la madre. Non lo dico oggi, l’ho scritto nei miei libri. Ma la scintilla di Dio che è in lui gli fa calciare divinamente il pallone, nessuno lo sa fare meglio sul pianeta Terra. A quella bellezza io non rinuncio, la ammiro e la applaudo come mi capitò di fare fisicamente davanti alla Decollazione di Giovanni il Battista di Caravaggio, la sua tela più grande, si trova a La Valletta, a Malta perché fin lì quell’assassino condannato a Roma alla decapitazione dovette fuggire. Noi irruenti siamo destinati a percorsi complessi.

Ultima accusa, la più fastidiosa: voi pidieffini date “patenti di cristianità” ora però su Ronaldo il vostro Adinolfi ha fatto vedere in realtà di che pasta è fatto. Punto primo: noi “patenti di cristianità” non ne abbiamo mai distribuite, anzi. Chi mi incontra a Messa sa che mi trova all’ultimo banco, sa che non faccio la Comunione, sa che sono un divorziato risposato a Las Vegas e conosce ogni dettaglio della mia vita, perché esposto e giudicato, da chiunque. Chi sta nel PdF milita, molto spesso, perché proviene da un percorso di fede. Viene sottoposto a ogni tipo di attacco, da anni ormai. In questi giorni la ferita del sommovimento interno ha scosso alcuni, può capitare che scappi la frizione. Ma mica ci mettiamo a scrivere che Amato è incoerente perché fa gli spettacolini con Povia che è a favore delle unioni civili e ha scritto canzoni favorevoli all’eutanasia, una in particolare a sostegno di chi voleva uccidere Eluana Englaro. Io credo che quei concerti o convegni fossero utili in passato e possano essere utili in futuro, che Povia come tutti noi non sia perfetto, che si porti la sua zoppia e le sue incoerenze come tutti, come Amato, come me, come ognuno di voi. Poi c’è uno spazio del dibattito pubblico dove ci si confronta, anche con durezza se serve. Ma quando canta la fedeltà del piccione con Amato appoggiato sulle spalle, Povia fa emozionare pure me. Forse, proprio per le sue imperfezioni caratteriali e comportamentali.

Non starò qui a chiedere indulgenze per me, so che non ne arriveranno, sono destinato a essere bersaglio e alla fine manco me ne dolgo più di tanto. Come dicono quelli delle associazioni Lgbt qualsiasi cosa mi accada, anche quando espongono striscioni che mi augurano la morte o quando mi danno l’assalto su un palco, io alla fine “me la sono andata a cercare”. Chiedo un po’ di gentilezza verso le persone che credono nel Popolo della Famiglia, che non meritano questo clima astioso permanente. Forse lo si può rasserenare, ancora una volta, scindendo piano politico pubblico e piano personale. Scindiamo.

In queste settimane di giudizi feroci, in cui persino la figlia (sì, è l’ennesima femmina) che Silvia sta per mettere al mondo è stata occasione di dito puntato, mi è tornata in mente una canzone. Anzi, più precisamente, la performance live di una canzone, una fra le tre più belle della storia del rock, uscita quasi mezzo secolo fa (è del 1975, per la precisione). Si tratta di Bohemian Rhapsody scritta, mannaggia a me, da un omosessuale dichiarato come Freddie Mercury. In questa versione cantata a Wembley nel luglio 1986 sembra che il cantante dei Queen fosse appena venuto a conoscenza di essere malato di Aids, la sindrome che qualche anno dopo tra indicibili sofferenze lo avrebbe portato alla tomba. Ascoltate quella invocazione iniziale alla madre, il grido “io non voglio morire” (I don’t wanna die) che si trova nel testo, insieme al miscuglio di stili totalmente anomalo in una canzone. Una rapsodia, appunto. Una mescolanza di contraddizioni che sono esse stesse bellezza, a patto di saper scindere “il grano dal loglio”, battendoci dunque sempre per il bene con estrema nettezza, ma mai contro le persone. Solo così, liberi da falsi moralismi, eviteremo di sprofondare nel grido disperato che chiude la canzone: “Nothing really matters to me”. Se tutto è osceno, la bellezza muore. Con essa l’uomo.