SONO ENTRATI IN MODALITÀ GOEBBELS

4 Ottobre 2017 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Sebastiano Riso, regista gay che tocca nei suoi due film molto ben collocati ai festival molto meno seguiti in sala argomenti interessanti per il mondo Lgbt, sarebbe stato vittima di un’aggressione omofoba. Nel 2017 ancora esisterebbe qualcuno che aspetta un regista nell’androne di un palazzo per picchiarlo come fosse Pier Paolo Pasolini. E Riso non è Pasolini. Ma se è stato oggetto di violenza omofoba Riso ha tutta la mia solidarietà, capitò anche a me di essere aggredito da otto persone contro una e non è stato piacevole dover menare le mani.
Chiusa la piccola vicenda di cronaca, proviamo a entrare nelle motivazioni presunte di quella violenza. A Riso l’aggressore avrebbe rimproverato il film appena uscito sull’utero in affitto, intitolato “Una Famiglia”, che non si può dire sia stato accolto da un enorme successo al box office. Nonostante le 66 sale in cui è stato distribuito, ha incassato solo quarantamila euro, ora da 16 è stato già smontato e finirà probabilmente sotto i centomila euro di incasso. Comunque il sostegno pubblico al film non è mancato, inteso come denari pubblici, quindi tutti contenti (forse i contribuenti un po’ meno, ma a loro non pensa mai nessuno).
La violenza subita da Riso gli consente di ritrovare spazio sui giornali e una qualche solidarietà generale. Dico subito che sono uno dei pochi spettatori del film che non mi è piaciuto particolarmente, nonostante il protagonista sia un Patrick Bruel in stato di grazia, una persona che mi è cara e molto simpatica anche per via di numerose partite a poker giocate insieme in giro per il pianeta una vita fa (sì, Patrick è un grande attore, un ottimo cantante e anche un giocatore molto sagace anche se molto “francese”). Un po’ troppo sopra le righe Micaela Ramazzotti, sostanzialmente irrealistica e mal scritta la sceneggiatura, non sono tra quelli disonesti intellettualmente che se possono strumentalizzare il tema di un film dicono che il film è bello, anzi il titolo mi ha decisamente irritato. “Una famiglia” però ha un grande merito e questo a Riso va riconosciuto: fa parlare di utero in affitto.
Il regista nelle interviste non si è nascosto, non ha fatto giri di parole, evidentemente non gli era arrivato il manualetto del politically correct che vorrebbe costringere persino i giornalisti a usare l’espressione anodina “gestazione per altri” al posto di quello che in realtà è: utero affittato. Nel film la Ramazzotti e Bruel si vendono i figli a coppie etero e gay. Poi però spunta la natura, l’istinto di maternità represso ma non soppresso e sono guai…
Visto il film mi è diventato ancora più incomprensibile capire perché Riso sia stato aggredito, secondo quanto dicono le cronache, proprio imputandogli in termini omofobici l’attenzione alla pratica della maternità surrogata. Se la pellicola ha un merito è quello, pur in maniera sgangherata, di porre la questione. Ed è un merito che riconosco volentieri al film e al regista. In Italia l’argomento è tabù e viene affrontato solo secondo lo schema glamour del Sanremo di Carlo Conti, tra Elton John e Ricky Martin. L’utero in affitto è invece strazio e disperazione, soprattutto per la violenza subita dalla donna che partorisce e dal bambino trasformati in oggetto di una transazione finanziaria dove il ricco sfrutta una condizione di bisogno di chi non ce la fa. Vorrebbero raccontarvi le “gravidanze altruistiche” e altre puttanate sui figli dati via gratis, che sarebbero orrore comunque, ma non esistono: trovatemi una donna ricca che affitti il proprio utero e vi darò ragione. Non ne esiste una. Lo fanno solo donne in condizione di bisogno secondo varie gradazioni: quelle che devono pagare il costosissimo college agli altri figli, quelle nelle condizioni disperate di Micaela Ramazzotti nel film e le decine di migliaia di vere e proprie donne-schiave delle cliniche della fertilità in India, Nepal, Bangladesh, Thailandia, Cambogia. No, niente donne ricche. Se sei ricca non ti vendi i figli. La “surrogata altruistica” è leggenda per non farvi vedere l’immenso dolore.
Ma insomma, picchiano questo Riso, lo fanno per le ragioni elencate in decine di articoli di cronaca e uno si aspetta che arrivi la solidarietà dalla madrina politica per eccellenza del mondo Lgbt. Vedete invece cosa ha il coraggio di scrivere sul suo profilo Facebook la signora Monica Cirinnà, evidentemente sotto stress per alcune disavventure di più di un suo familiare con la giustizia: “Leggo dell’aggressione subita da Sebastiano Riso. Gli sono vicina e spero guarisca presto. Ho visto il film Una famiglia e, senza infingimenti, ho detto al regista che è un film dannoso per chi combatte contro l’omofobia per affermare l’uguaglianza di tutti gli amori e di tutte lo coppie. Il film confonde tratta di bambini e gestazione per altri, che il regista nelle interviste odierne continua a chiamare utero in affitto, dimostrando la sua totale estraneità al dibattito culturale che faticosamente stiamo affrontando in tanti, soprattutto le stesse Famiglie arcobaleno i cui figli sono ancora esclusi da ogni tutela. Nel film ho ritrovato tutti i pregiudizi e gli stereotipi usati contro i gay, rappresentati come gente che vuole i figli per capriccio ed egoismo, e addirittura li compra togliendoli a una madre disperata, proprio gli argomenti che tutti gli omofobi usano regolarmente dentro e fuori il parlamento. Penso che il cinema, come ogni altra forma di arte e cultura, debba inserirsi pienamente nel dibattito culturale che attraversa la società sostenendo sempre i cambiamenti positivi sui diritti e il riconoscimento delle nuove realtà. Con dolore noto che questo non è accaduto con il film di Riso”.
Ormai questi sono entrati in modalità Goebbels. Rileggete bene la frase cardine della dichiarazione della Cirinnà: “Penso che il cinema, come ogni altra forma di arte e cultura, debba inserirsi pienamente nel dibattito culturale che attraversa la società sostenendo sempre i cambiamenti positivi sui diritti e il riconoscimento delle nuove realtà”. Sostenendo sempre. Se vuoi raccontare le cose per come sono, allora il film diventa “dannoso” per i cambiamenti e non è “pienamente inserito” nel dibattito culturale, che è ovviamente per la Cirinnà un dibattito che deve avere una voce sola, la sua e di quelli che la pensano come lei. E che cazzo di dibattito culturale è un dibattito così? I ministri della Propaganda nazisti e fascisti, sovietici e cubani, in effetti intendevano il cinema come lo intende la signora Cirinnà. Che insieme a Aurelio Mancuso si è resa protagonista di un’altra surreale protesta contro il segretario del Pd romano Andrea Casu reo di aver invitato alla Festa dell’Unità capitolina ad un dibattito addirittura un esponente di Pro Vita, nota organizzazione pro life. E come si è permesso Casu? Il “dibattito culturale” che piace alla signora Cirinnà non prevede voci in dissenso, la modalità Goebbels non le considera accettabili.
Caro Riso, sei proprio sicuro che a picchiarti siano stati “gli omofobi”?