La sentenza 11504/17 depositata in Cassazione è l’ennesimo colpo all’istituto del matrimonio e al diritto di famiglia, assestato peraltro non per via democratica attraverso una legge del Parlamento, ma per via giurisprudenziale. La novità introdotta appare addirittura giusta: l’assegno di mantenimento all’ex coniuge in caso di divorzio non sarà più parametrato come si è fatto per mezzo secolo al “tenore di vita” avuto durante la vita patrimoniale, ma sarà riconosciuto solo se la più debole delle parti non avrà mezzi propri di sostentamento o capacità lavorativa. Ovviamente è una rivoluzione, Silvio Berlusconi che ogni anno versa una caterva di milioni a Veronica Lario si mangia le mani per aver divorziato anni fa, Barbara D’Urso manda in giro comunicati stampa in cui dice che non verserà l’assegno di mantenimento all’ex marito, insomma i ricchi esultano e forse qualche padre separato avrà un giogo più leggero a cui far fronte.
Ma come sempre davanti a una sentenza depositata è utile andare a leggere le motivazioni, che spiegano in quale clima culturale si è mossa la Corte di Cassazione e dove vuole andare a parare. I giudici affermano sicuri che il matrimonio ormai non è più da considerare come condizione “definitiva” e scrivono senza remore: “Ormai è generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile. Si deve quindi ritenere che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale”. Dall’indissolubilità del matrimonio, considerato evidentemente “tardo retaggio” di un tempo passato, ora la caratteristica propria dell’istituto è la sua “dissolubilità” con tutte le conseguenze che ne derivano. Che grande conquista, eh, la “libertà e autoresponsabilità”? Adesso la parte debole sarà ancora più debole e se ti sposi Briatore poi quello quando si stufa ti ripudia senza doverti nulla perché sei giovane, forte e capace di lavorare. Trionfo del diritto.
Se tocchi il diritto di famiglia, chi paga è sempre il più debole perché gli orientamenti giuridici ormai considerano i rapporti tra persone anche in ambito familiare come rapporti di forza in cui è sbagliato interferire, il forte rimane forte ed è di per sé dominante. Spiegano ancora i giudici: “La Prima sezione civile ha superato il precedente consolidato orientamento, che collegava la misura dell’assegno al parametro del tenore di vita matrimoniale, indicando come parametro di spettanza dell’assegno, avente natura assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede. Con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale ma anche economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale”. Il divorzio è pietra tombale.
Secondo l’avvocato Gian Ettore Gassani, presidente dell’associaizone degli avvocati matrimonialisti italiani, “per i giudici l’assegno divorzile può essere riconosciuto soltanto se chi lo richiede dimostri di non poter procurarsi i mezzi economici sufficienti al proprio mantenimento”. E ancora: “Viene spazzato via un principio sancito nel 1970 dalla legge 898 che ha introdotto il divorzio in Italia. Si tratta quindi di un terremoto giurisprudenziale in linea con gli orientamenti degli altri Paesi europei nei quali l’assegno divorzile dipende essenzialmente dai patti prematrimoniali”. Oh e siamo arrivati al punto.
In sostanza si vuole prendere un istituto ultramillenario, quello noto per la formula “finché morte non vi separi”, che fino a meno di mezzo secolo fa univa responsabilmente per la vita e trasformarlo in un rapporto di tipo commerciale in cui ogni passaggio sia economicamente previsto da quei patti prematrimoniali che oggi in Italia sono nulli. Nel civilissimo ordinamento giuridico italiano fino alla sentenza 11504/17 Briatore non poteva impalmare la fanciulla calabrese per giocare a fare la famiglia e farle precedentemente firmare un contratto per cui nel caso si stufasse “nulla era a pretendere”, né lei poteva incastrarlo con un patto prematrimoniale capestro. Se Berlusconi voleva farsi i fatti suoi con Noemi Letizia e con qualche branco di minorenni, poi doveva mettere in conto la possibilità che la dissoluzione del suo matrimonio cara sarebbe costata. Questo evidentemente rafforzava l’istituto matrimoniale, chi faceva quel passo sapeva che era un atto di forte responsabilità che si assumeva sia all’interno della coppia che verso la collettività. Sposarsi era un tornante della vita, gravido di conseguenze.
Ora mettete insieme la legge sul divorzio breve, la proposta di legge che vuole cancellare l’obbligo di fedeltà tra coniugi già cancellato peraltro dalle unioni civili (è simbolo di un “retaggio medievale”), la sentenza 11504/17 che vi ho appena raccontato e l’avviarci sulla strada dei patti prematrimoniali. Cosa resterebbe dell’istituto matrimoniale? Nulla, è una mera festicciola “dissolubile” in sei mesi senza sostanziali prezzi da pagare neanche in termini patrimoniali.
Per sentenza la Cassazione assesta l’ennesimo colpo all’istituto matrimoniale e all’idea di famiglia come cellula stabile e fondativa del tessuto sociale. Si tratta di un intervento giurisprudenziale estremamente pericoloso e chi ha a cuore un minimo di tenuta della famiglia e del matrimonio deve prepararsi alla battaglia attorno alla proposta di legge sui contratti prematrimoniali che certamente sarà conseguenza di questa sentenza. Ci si sposa per amore, l’amore familiare che ne nasce è gratuito e non contrattato, aperto al futuro e alla gioia del crescere i figli, non morente fin dalla nascita, asfissiato da transazioni di natura economico-commerciale messe per iscritto perché già si dà per finito qualcosa che non è nemmeno iniziato. Il patto prematrimoniale è umiliante ed è il timbro di “dissolubilità” su qualcosa che se non è tendenzialmente indissolubile allora è come se non fosse. L’Italia è ancora il paese dove quasi trenta milioni di persone sono sposate con vincolo matrimoniale, cinque milioni sono vedove e vedovi, mentre appena un milione e duecentomila persone sono separate o divorziate. Bene, teniamo queste proporzioni, teniamo la famiglia alla base della Repubblica, questa “società naturale fondata sul matrimonio” che è la caratteristica principale, culturale e sociale, del nostro paese. Basta leggi sul divorzio breve, basta sentenze contro il matrimonio, basta attacchi alla famiglia. Non ne possiamo più, non ne capiamo il motivo, ci attrezzeremo per difendere la famiglia e il matrimonio da questi continui ed insensati assalti.