PICCOLA STORIA IGNOBILE COMPARATA

2 Maggio 2017 Mario Adinolfi
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, Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

C’è un signore che si chiama Marco Cappato che per visibilità politica accompagna la gente ad ammazzarsi, crea un clima favorevole alla loro dipartita, si batte per far sì che il business del “suicidio assistito” possa partire anche in Italia, si autodenuncia alla magistratura per fare scena e la magistratura prontamente lo assolve. Anzi, il pm chiede proprio l’archiviazione perché il suicidio assistito non viola il diritto alla vita “quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile e/o indegna dal malato stesso”. Applausi a Cappato, il pm (si capisce bene) tifa per lui. Cambio di scena. A Forlì ci sono un papà e una mamma sotto processo. La loro figlia 17enne s’è lanciata dal tetto del liceo dopo una litigata perché aveva rubato il cellulare al padre e ha lasciato un messaggio dicendo che s’ammazzava per colpa sua. A questi due genitori devastati dal dolore non è stato risparmiato niente. Tre anni di inchiesta, le udienze preliminari, il rinvio a giudizio, ora il processo in Corte d’Assise. Il tutto nel lutto, nella tragedia, nel senso di colpa. L’accusa è ovviamente istigazione al suicidio. Quindi fateci capire, cari giudici, quant’è ignobile il vostro giudicare: un papà che rimprovera una figlia la istiga al suicidio e va sotto processo in Corte d’Assise; chi accompagna la gente a suicidarsi per strategia e visibilità politica becca l’applauso e l’istanza di archiviazione del pm senza rinvio a giudizio e lì il suicidio “non viola il diritto alla vita”. Ormai davvero il mondo va al contrario.