COSA DOVREMMO FAR STUDIARE A SCUOLA

12 Dicembre 2023 Mario Adinolfi
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, Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi
Agnese Moro ha ricevuto ieri a Genova il premio Primo Levi per la “giustizia riparativa”, in prima fila ad applaudirla Franco Bonisoli, colui che ha esploso oltre 40 colpi contro la scorta del padre Aldo Moro il 16 marzo 1978 in via Fani, un caricatore intero di mitra addosso all’agente Iozzino e più di un colpo di grazia con una pistola da destra (l’assalto partì da sinistra rispetto alle auto, dunque poi ha fatto il giro per finire con freddezza gli agonizzanti). Bonisoli si dissociò dalla lotta armata nel 1983, ottenne la semilibertà e dal 2001 è libero nonostante i 4 ergastoli e altre pene, tra le quali una per aver gambizzato Indro Montanelli. Fu un brigatista rosso ferocissimo, poi ha intrapreso un percorso di fede e oggi a 68 anni è molto noto nel mondo cattolico e stimatissimo nella diocesi milanese. Agnese, figlia di Moro, fa parecchi convegni in giro per l’Italia con lui.

Marco Barbone il 28 maggio 1980 ha sparato in testa al giornalista Walter Tobagi quando era ferito a terra. Anche lui pentito, anche lui convertito, riuscì a cavarsela senza praticamente fare carcere e oggi a 65 anni è anch’egli attivo nell’associazionismo cattolico. Nell’associazionismo radicale hanno invece trovato rifugio Francesca Mambro e Giusva Fioravanti, 64 e 65 anni, sposati da 38 anni e liberi da decenni nonostante i 9 ergastoli per 16 omicidi compreso quello del minorenne Alessandro Caravillani, con tanto di sentenza passata in giudicato che li condanna come esecutori materiali della strage di Bologna, 85 morti e 200 feriti, il più grave atto criminale della storia repubblicana. Ovidio Bompressi che sparò alle spalle del 34enne commissario Luigi Calabresi dopo pochi mesi di carcere venne messo ai domiciliari, evase e dopo due mesi si riconsegnò. Nonostante l’evasione è stato graziato da Napolitano nel 2006 e da allora è totalmente libero. Impressionante la sua biografia su Wikipedia, scritta ideologicamente da suoi simpatizzanti, che elenca con pignoleria tutti i malanni fisici che lo avrebbero portato “a un passo dalla morte” ai domiciliari e nel poco tempo trascorso in carcere. Da quasi 18 anni è libero e non si hanno notizie di suoi ulteriori ricoveri ospedalieri, anzi ha steso un vicino con un pugno durante una lite fracassandogli il naso davanti alla figlia piccola. È stato pure stavolta condannato e pure stavolta niente carcere, ma servizi sociali all’Arci, in pratica va al circolo a rilassarsi. Questi dettagli su Wikipedia non ci sono, ma trovate cento righe su quanto poverino stava per morire prima della grazia. E ricordatevi che quando volete sapere qualcosa ormai vi informate su Wikipedia e non studiate, vi accontentate della copia (ideologica) di mille riassunti.
Sono in generale tutti liberi o semiliberi i terroristi rossi e neri che hanno insanguinato l’Italia uccidendo oltre 400 persone e ferendone decine di migliaia negli Anni Settanta e Ottanta. Molti di loro scrivono libri, tengono convegni, Giusva Fioravanti da ex Nar mai pentito e sempre muto sulle complicità nelle sue azioni di terrorista nero in quegli anni, si toglie la soddisfazione di scrivere su L’Unità. Una delle sue vittime ne era un lettore: Roberto Scialabba fu ucciso a 24 anni nel 1978 con due colpi sparati alla nuca da Giusva dopo essergli salito a cavalcioni mentre era ferito a terra.
Ecco, caro ministro Valditara, a scuola invece dell’educazione sessualsentimentale di Stato, perché non proviamo a raccontare la memoria dei troppi che sono stati uccisi sull’altare dell’odio ideologico? Guardi che il male più pericoloso è l’ideologia accoppiata all’ignoranza. I nostri giovani ignorano completamente il nostro passato anche recente, chieda loro se sanno chi fosse Vittorio Bachelet, freddato sulle scale dell’Università La Sapienza di Roma dove aveva appena fatto lezione (dai brigatisti rossi Anna Laura Braghetti e Bruno Seghetti, la prima autrice del libro da cui Bellocchio ha tratto Buongiorno notte, il secondo fa il fumettista), o i magistrati Emilio Alessandrini, Mario Amato, Fedele Calvosa, Francesco Coco, Guido Galli, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Vittorio Occorsio, Riccardo Palma, Girolamo Tartaglione tutti uccisi (talvolta con gli agenti di scorta, altri la scorta l’avevano rifiutata per non mettere i ragazzi in pericolo) per la sola colpa di aver provato a colpire il terrorismo. I loro assassini sono tutti liberi da decenni.
Ora, a me sta pure bene il concetto di giustizia riparativa, bene i pentimenti anche se mantengo la perplessità sul perdonismo generalizzato. Mi chiedo sempre il perché di tanta indulgenza verso i terroristi paragonandola alla durezza adottata contro i mafiosi, che subiscono il 41 bis e i cui massimi boss da Riina a Provenzano, da Messina Denaro a Cutolo sono tutti morti in carcere. Se fai la strage di Bologna esci praticamente subito (sentenza passata in giudicato in Cassazione il 23 novembre 1995, semilibertà ottenuta da Mambro nel 1998), se spari in testa da comunista combattente a un giornalista cattolico ferito a terra carcere non ne fai, se spari alla schiena di un commissario papà di tre figli la presidenza della Repubblica ti grazia. Sapete perché c’è la differenza? Perché i mafiosi sono semianalfabeti rozzi e meridionali. I terroristi sono gente da Roma in su cresciuta negli stessi contesti politici di quelli che poi hanno varato le legislazioni premiali. Uso l’espressione di una giornalista del Manifesto: fanno parte “dell’album di famiglia”. In nessun Paese al mondo gente con tanti ergastoli passati in giudicato sarebbe libera da decenni. Ma siamo l’Italia, il paese delle complicità ammiccanti.
E allora va bene, premiano Agnese Moro con Franco Bonisoli che le chiama la standing ovation. Viva il perdono e la rinascita. Ma almeno ricordiamo le vittime, se ne tenga memoria a partire dalla scuola, si faccia studiare questo ai ragazzi che non hanno idea dei danni che possono fare le mode se diventano ideologia. E si abbia la decenza quando si parla di via Fani di ricordare sempre i carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci, gli agenti di polizia Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Iozzino. Tutti servitori di uno Stato che si è dimenticato di loro e ha mandato liberi gli assassini. Finché vivrò mi batterò perché il sacrificio delle vite di tutte le vittime del terrorismo (sono l’unico ad aver scritto un libro in cui le cito una per una) sia almeno compensato da un pizzico di memoria grata e non solo dall’esaltazione del perdonismo, spesso anch’esso ideologico e molto diverso dal vero perdono, che salva Caino ma non dimentica Abele, consentendo sempre a tutti di misurare utilmente la differenza. Altrimenti si finirà per pensare che i terroristi furono giovani eroi al servizio di un ideale e le vittime solo nomi polverosi cancellati dal tempo che passa.
A scuola insegnate la storia, soprattutto la storia italiana anche recente. Insegnate a diffidare dell’ideologia, sempre. Fornite le informazioni e gli strumenti per ragionare, poi ognuno ragioni con la sua testa e aiutato da chi gli vuole bene. Solo così eviteremo di entrare in altri tunnel bui, carichi di violenza e di morte.

PS. Scrivo questo testo il 12 dicembre 2023, 54esimo anniversario della strage di piazza Fontana a Milano, 17 morti e 88 feriti. Sentenza passata in giudicato in Cassazione 36 anni dopo i fatti, nel 2005. Tra prescrizioni e ne bis in idem, pur essendo stati individuati, nessuno dei terroristi ha mai pagato con un solo giorno di carcere per questa strage. Le spese processuali sono state addebitate ai parenti delle vittime che si erano costituite come parti civili.