IO ACCUSO, 1941

22 Agosto 2023 Mario Adinolfi
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, Il Popolo della Famiglia
Ho letto su Repubblica l’ennesima intervista a Marco Cappato che chiede di essere sostenuto alle suppletive per il collegio di Monza dal Pd e dal M5S, oltre che da Calenda, sinistre alternative e più Europa che già gli hanno garantito appoggio. Ovviamente si torna a battere su eutanasia, sentenza Dj Fabo, suicidi assistiti di disabili che in Italia sono stati autorizzati come conseguenza della sentenza. La propaganda della morte continua imperterrita, nonostante i dati evidenti che dovrebbero far capire come questo nuovo “diritto a morire” si trasformerà presto per anziani, disabili e in generale improduttivi (quindi prima o poi per ciascuno di noi) in un “obbligo a morire”. Ho già citato l’esperienza olandese dove sono stati soppressi dal 2021 cinque ragazzi autistici con meno di trent’anni o quella canadese dove un ministro ha candidamente spiegato che ormai nel suo Paese “è più facile chiedere l’eutanasia che una sedia a rotelle” e si punta a proporre il suicidio assistito anche a chi versa in condizione di estrema povertà.
Voglio ricordare sempre che l’eutanasia di Stato è una invenzione nazista della fine degli Anni Trenta, nota come Aktion T4 e portò alla soppressione in pochi anni di duecentomila disabili. In Olanda e Canada, due nazioni con popolazione giovane che sommate fanno meno abitanti dell’Italia, stanno a ventimila soppressi l’anno e il trend è in crescita. Tengono il passo delle croci uncinate, insomma. È solo i cretini possono pensare che siano ventimila casi estremi alla Dj Fabo. Anche nella Germania hitleriana l’operazione fu supportata dai media che pubblicavano libri e interviste sull’importanza di dare la dolce morte ai sofferenti, raccontando pietosi casi estremi. Vennero persino prodotti una serie di ottimi e subdolamente convincenti film, tecnicamente di prim’ordine, passati alla storia con la definizione comune di Euthanasiefilm che certamente piacerebbero a Cappato. Il più noto di essi è Ich Klage An, in italiano Io accuso, del 1941, tratto da un libro che raccontava “il calvario di una donna malata di sclerosi uccisa dal marito poi assolto in tribunale dalla giuria perché non si può chiedere ad una persona di vivere come fosse un vegetale”. Dopo tutta una serie di scene strazianti il marito uccide la moglie sofferente e poi fa l’eroe al processo affermando di aver dato compimento alla volontà della addolorata consorte. Trovate voi differenze con la propaganda attuale e anche con i processi per aiuto al suicidio che nella sua lunga carriera di accompagnatore alla morte Cappato ha dovuto affrontare, seducendo sempre i giudici.
Ricordatevi, la tecnica radicale è sempre la stessa ed è mutuata dalla comunicazione novecentesca che ha funzionato meglio, quella nazista: la storia pietosa serve a far passare la pratica, che viene così legalizzata a furor di popolo e poi parte la mattanza per mere finalità economiche, perché i non produttivi sono un costo da eliminare, specie in una società che invecchia. Chi non si distaccherà dalle follie disumane di Cappato e gli darà bordone sarà responsabile davanti alla Storia. Altro che libro del generale, sono queste idee di morte che dovrebbero essere messe al bando, perché riverberano la storia più feroce del Novecento, quella delle mattanze indiscriminate in nome di un’ideologia e al fondo per ragioni economiche. Sostenere alle suppletive Cappato o anche solo non prenderne nettamente le distanze è come essere un Crosetto, che sono certo che se interrogato si direbbe favorevole all’eutanasia e al suicidio assistito. Il politicamente corretto ha le sue logiche sempre uguali. Serve a fottere la verità.
Io accuso, 2023.