Nel “costruire la nuova Rai” si tenga sempre presente che il servizio pubblico radio televisivo si tiene in piedi per il 70% con i soldi prelevati alle famiglie italiane direttamente in bolletta. I famosi “ricavi da pubblicità” coprono poco più del 20% (poi ci sono i ricavi da convenzioni e “altri ricavi”). Quindi l’attenzione alle famiglie deve essere nettamente superiore alla rincorsa di mode e spettacolini compiacenti. Il vero servizio pubblico deve partire da quel che seppe fare la grande Rai del Novecento: formazione dell’identità nazionale (programmi pedagogici, tv dei ragazzi, sceneggiati storici); informazione (anche con programmi di approfondimento condotti da personaggi giganteschi come Biagi e Pasolini); intrattenimento intelligente (quando guardo i varietà condotti da Sandra e Raimondo, Dario Fo, Arnoldo Foa, Pippo Baudo, Corrado, Mike, Renzo Arbore con protagonisti clamorosi come Gaber, Villaggio, Mina, Battisti, Walter Chiari, Celentano mi viene da piangere pensando a come è ridotto l’intrattenimento Rai oggi). I dati del bilancio parlano chiaro: i ricavi sono assicurati dal canone in bolletta, ora si sia conseguenti e si costruisca una tv generalista che possa entrare davvero in tutte le case degli italiani come un’amica, non come un pericoloso agente indottrinatore piegato alle logiche delle mode correnti. Vorrei vedere un programma sulla nostra storia recente, come quello straordinario di Sergio Zavoli sulla Notte della Repubblica, ma più ampio come forchetta storica: una vera e propria Storia d’Italia, dalla fondazione di Roma ad oggi. Ne vorrei vedere uno che lanci nuovi comici intelligenti, come si fece con No Stop che vide esordire insieme Verdone, Troisi, Nuti, I Gatti, Zuzzurro e Gaspare. Vorrei un festival di Sanremo con belle canzoni, con Paolo Conte e Vinicio Capossela, con Arisa e Francesco Bianconi, con Coez e Gazzelle, con Al Bano e i Ricchi e Poveri, con i Pooh e i Matia Bazar, con Renato Zero e Francesco De Gregori, con Antonello Venditti e Vasco Rossi, con Ligabue e Jovanotti, con Ivano Fossati e Ultimo, con Claudio Baglioni e Max Pezzali: un vero festival della canzone italiana da brividi, altro che le baracconate arcobaleno di Stefano Coletta. Sarei felice di vedere un programma che racconti la storia della Chiesa e dei Papi, appassionerebbe moltissimi italiani. Vorrei un programma sui social che insegni agli anziani come usarli per sentirsi meno soli e a giovani e giovanissimi come non usarli, per scoprire la vita che c’è là fuori. Vorrei una grande produzione Rai sulla Divina Commedia, resa come Kenneth Branagh ha saputo rendere spettacolare l’opera di Shakespeare rispettando fedelmente l’inglese antico del Bardo. Vorrei rivedere finalmente lo sport sulla Rai con riprese e telecronache decenti, affidate magari a quel mago della voce che è Francesco Repice, più bravo di Ameri e Ciotti messi insieme, perché talvolta il presente è migliore del passato ma non sappiamo più neanche accorgercene. Vorrei inchieste giornalistiche graffianti, la prima su quel che è accaduto e sta accadendo a Bibbiano. Vorrei telegiornali precisi nel racconto approfondito dei fatti, senza inutili letture partitiche, approfondendo in particolare le notizie di politica estera perché la nostra vita è totalmente condizionata da quel che accade nel mondo e facciamo tre quarti dei tg a raccontare fatterelli del cortile di casa che non interessano a nessuno, meno servizi con le dichiarazioni di Lollobrigida e Boccia, più apertura internazionale. Vorrei rispolverare per il sabato sera il gran varietà dei bei tempi, sbloccando il povero Carlo Conti dall’ennesima gara di imitazioni da villaggio turistico e Milly Carlucci dalle gare di ballo tra Mughini e Iva Zanicchi (basta, pietà di noi, “i migliori anni” ci fanno solo sentire telemorenti). Voglio dei talk show di qualità in cui l’obiettivo è far capire qualcosa di più al telespettatore sui fatti commentati, non costruire inutili risse con un conduttore partiticamente orientato che deve far necessariamente prevalere una parte sull’altra. Mi piacciono i quiz ma sarebbe bello tornare a quelli meritocratici dove importanti premi vanno a concorrenti che dimostrano una grande cultura, il contrario della terrificante fiera dell’ignoranza messa in scena dai quiz attuali che si risolvono poi nell’augurarsi la botta di culo. Credo che la Rai sia ancora la principale azienda culturale del Paese, che sappia ancora inventare programmi geniali (guardate quello del mattino di Fiorello), che possa avere un futuro straordinario a patto di metterci le idee e di ricordare che i cachet sono pagati dalle famiglie che lavorano, da tanti pensionati, dagli italiani veri e non da quelli immaginati da certi ideologi da strapazzo. La Rai spende ogni anni quasi 3 miliardi di euro. Sono tanti soldi. Li spenda bene e marchi la sua differenza dalla tv commerciale. Perché il servizio pubblico è un’altra cosa e un’altra tv è davvero possibile.