10 ANNI FA LASCIAVO IL PD, ORA MI DANNO RAGIONE

1 Marzo 2023 Mario Adinolfi
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, Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi
Il 14 marzo 2013 cessai il mio mandato parlamentare e con esso la mia militanza nel Pd: non firmai la richiesta di ricandidatura che mi avrebbe dato accesso alle “parlamentarie” e a una più che probabile seconda legislatura da deputato o forse da senatore visto che avevo superato i quarant’anni di età. I dissidi con il partito che avevo contribuito a fondare erano però troppo profondi, avevo subito due processi interni per omofobia e il programma per le elezioni politiche 2013 prevedeva le unioni gay, che non avrei mai potuto sostenere. Avevo in mente di scrivere un piccolo libro che voleva spiegare alla sinistra perché inseguire quella roba là era correre dietro a “falsi miti di progresso”, ne nacque la stesura di Voglio la mamma, che chiuse per sempre ogni possibile compatibilità tra me e questa sinistra. Dissi ai tanti amici cattolici ex popolari che lasciavo nel Pd che avevamo fondato insieme ai Ds che la mia incompatibilità sarebbe diventata quella di tutti loro. Ora con l’elezione di Elly Schlein diventa lampante quanto avessi ragione e i vari Beppe Fioroni annunciano un addio forse arrivato troppo tardi.
Non ho stima di Elly Schlein, è ricca e non ha mai lavorato, ripete slogan vuoti e evidenzia lacune culturali colossali. Però piace, come si dice in questo tempo tutto mediatico la Schlein “funziona” pure quando canta (male e con modi imbarazzanti) Occhi di gatto. La Schlein è come la Egonu: è italiana, ma ha evidenti radici straniere; è bisessuale; quando parla dice tutte le banalità del politicamente corretto. Questi tre fattori ormai in Italia rendono una donna interessante. Forse il Pd avrebbe dovuto eleggere direttamente la Egonu, elettoralmente avrebbe tirato di più. Schlein ha già declinato il nuovo programma del Pd: turboambientalismo anche a costo di una decrescita, diritti civili spinti al limite, transfemminismo, paccottiglia gender, settimana corta a 4 giorni di lavoro.
Lo spostamento a sinistra dell’asse del Pd, tale da rendere finalmente evidente a tutti quel che a me fu chiarissimo già dieci anni, squaderna una serie di opportunità che spero davvero siano colte dai credenti e dalle persone di buona volontà. Le sinistre si pongono come interpreti di una nuova morale sprezzante, che nega i valori tradizionali e ne impianta di nuovi. Semplificando, la Schlein è la campionessa dell’ideologia dell’autodeterminazione, ognuno può decidere per sé qualsiasi cosa. La Meloni è decisamente più forte della Schlein, ha il potere e un impianto di alleanze solido e duraturo. Per mantenere entrambi, però, ha completamente abdicato al retroterra valoriale: ormai dice che l’aborto è un diritto, che la legge 194 non va toccata, lo stesso con la legge Cirinnà, guai a schierarsi contro l’ingresso sempre più conclamato dell’ideologia gender nelle scuole e contro l’ulteriore picconata all’istituto matrimoniale arrivata dalla riforma Cartabia, persino sui vertici della Rai dopo lo scempio di Sanremo non si fa nulla e non cito l’acquiescenza alla dottrina Biden e alla NATO su guerra e armamenti. Ieri la Meloni ha detto che sugli armamenti nulla viene tolto agli italiani, nella prima puntata del nuovo programma di Bruno Vespa. Ha mentito. Quando prevedi di innalzare la spesa per armamenti al 2% del Pil, passando dunque da 25 a 38 miliardi di euro, togli una montagna di denaro agli italiani. Vero, non tutte le armi vanno in Ucraina, ma l’innalzamento di spesa è deciso fuori dall’Italia. Lo decisero Conte e Draghi per la verità, ma chi ha votato Meloni l’ha votata perché mettesse l’interesse “della nazione” davanti agli interessi sovranazionali. Ma Giorgia ha capito che se vuole durare deve piegarsi al potere dell’Ue, della Nato, della presidenza dem degli Stati Uniti, della Bce. E, docilmente, esegue.
Tra il velleitarismo immorale autodeterminazionista di Schlein e il concretismo avaloriale sovranazionalista di Meloni chi ne esce con le ossa rotte sono i cittadini, le famiglie, le imprese familiari, la scuola, la sanità, la previdenza e l’assistenza che scontano politiche antinataliste e dunque distruttive del welfare, immettendo addirittura il rischio della devastazione bellica fino all’Olocausto nucleare pur di seguire i pattern fin qui applicati dai partiti. Non credo che gli italiani crederanno che siano Renzi e Calenda la soluzione a questo stallo.
Credo piuttosto che una proposta di alternativa valoriale dei credenti e delle persone di buona volontà, che faccia leva immediatamente su un no alla guerra che mette in crisi entrambi i modelli di lealismo allo status quo, sia quello rigidamente europeista della Schlein che quello più opportunista di Meloni. Partendo dalla liberazione di risorse che il no alla guerra e alle armi comporta, credo che avrebbe un forte successo una proposta politica valoriale che parta dall’investimento su natalità, welfare, famiglia e imprese per arrivare fino a una riforma seria della scuola con la libertà educativa e della giustizia che non può vedere a rischio prescrizione persino il processo su Bibbiano. Un decalogo di cose da fare per rimettere in piedi l’Italia, non per gestire il potere in conto terzi.
Questo traguardo è raggiungibile se ci si lavora, è un’alternativa possibile e lo spazio politico è quello tra i delusi della Meloni e coloro che scappano dalla Schlein. Il 2 aprile lo sperimenteremo con la lista Insieme Liberi alle regionali del Friuli Venezia Giulia. Sarà solo un primo passo. Dieci anni dopo quello che immaginavo praticabile prende sempre più i contorni della concretezza politica. Ne sono felice, non sono stati dieci anni di lavoro buttato.