Mario Adinolfi: cosa sta accadendo in medio oriente

8 Gennaio 2020 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

L’uccisione di Qassem Soleimani il 3 gennaio 2020 a Bagdad equivale a quella dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo il 28 giugno 1914? Un secolo dopo, siamo davanti al cruento atto di apertura di un conflitto mondiale? La domanda non è insensata dopo la pioggia di missili sparati dall’Iran sulle basi Usa in Iraq e la forte agitazione con tanto di girandola di incontri che ha preso i quattro grandi protagonisti di questa pericolosa partita: il presidente americano Donald Trump, il presidente iraniano Hassan Rouhani, il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Curiosamente americani, russi e turchi ottomani furono tra i protagonisti in effetti anche del primo conflitto mondiale, quello che si aprì con le pistolettate di Sarajevo. Chi manca? Manca l’Europa: la Germania ha annunciato il ritiro delle truppe dall’Iraq, l’Italia ha spostato i suoi militari da Bagdad, il segretario di Stato Usa Mike Pompeo si è detto “deluso” dai partner europei che non hanno voluto sostenere l’azione dell’amministrazione Trump contro Soleimani. Questa Unione europea, però, non può fare di più: divisa, inconsistente, priva di una strategia, con una classe dirigente non abituata a reggere queste pressioni, l’Ue è destinata a non toccare palla. In nessuno dei quadranti in cui questa crisi diventerà pericolosa.

Cosa sta accadendo in Medio Oriente? Molto semplice: l’Iran vuole agire da superpotenza dopo aver schiacciato l’Isis e battuto la ribellione siriana. Damasco è ormai un protettorato iraniano proprio grazie a Soleimani che da geniale stratega ha garantito sostegno ad Assad e contemporaneamente di fatto inglobato l’Iraq dopo aver massacrato i sunniti (almeno dodicimila tra il 2014 e il 2015 hanno perso la vita per le azioni di questo generale crudelissimo). Il genio politico di Soleimani era arrivato fino a costruire un possibile ponte con l’odiata Arabia Saudita e proprio i colloqui con gli arabi hanno innescato la sua fine. Se l’Iran si fosse assicurato la non belligeranza araba, magari mollando la presa sullo Yemen la cui ferocissima guerra è sempre opera di Soleimani, il sogno di Teheran di diventare la superpotenza egemone della regione mediorientale si sarebbe realizzato. Ora c’è da capire se sono stati gli arabi a vendere Soleimani agli americani il 3 gennaio a Bagdad o se piuttosto l’informazione di intelligence sia arrivata dal Mossad israeliano. Certo è che l’ambizione e la “visione” di Soleimani ne hanno provocato la fine. L’azione di Trump per eliminarlo ha fatto comodo a molti, gli equilibri che si stavano muovendo erano pericolosissimi.

Ora si è rientrati nell’alveo tradizionale: Teheran minaccia Trump, Israele e Dubai mentre gli Usa avvertono e minacciano una possibile escalation “sproporzionata”. Guerra solo a parole? Al netto degli ottanta morti della pioggia di missili iraniana sulle basi Usa (nessuno statunitense), direi di sì. Teheran utilizza l’assassinio di Soleimani anche per ricompattare la nazione, squassata dalle proteste dei giovani di piazza Tahrir in forte contestazione al regime, seicento dei quali uccisi proprio per volere di Soleimani che gestiva la repressione. Trump incassa i gradi da “comandante in capo” in un 2020 in cui le presidenziali incombono e fare un po’ di guerra simulata serve sempre a un presidente sotto impeachment (lezione appresa da Bill Clinton), facendo focalizzare gli americani sul nemico esterno.

Molto più pericolose sono le mosse di Putin e Erdogan che sembrano agire di concerto conquistando spazio e peso grazie al vuoto lasciato dall’Unione europea. Lo fanno diventando sempre più decisivi in Siria e ora anche in Libia. L’Italia del 2011. per quanto riluttante, fu determinante per l’azione decisa dai francesi contro Gheddafi. Oggi non riesce neanche a organizzare una delegazione che vada a Tripoli, anche per l’inconsistenza oggettiva del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, uno che l’agenzia di stampa cinese Xinhua il 5 settembre scorso definiva così: “Non si è mai laureato all’università, ha delle conoscenze molto limitate sulle lingue straniere e nella sua vita pubblica non ha mai mostrato molto interesse nelle tematiche internazionali”. E i cinesi sono gli altri attori fondamentali del panorama africano, per via dello sfruttamento delle risorse petrolifere e non solo. Non hanno grande stima dell’Italia, diciamo, che in pochi anni ha visto precipitare il proprio peso internazionale.

Cosa possiamo fare? Provare a capire.  Non tifare, lasciar perdere gli slanci eccessivi, qui non ci sono i buoni e i cattivi, ci sono precisi interessi geopolitici che provocano le mosse di ogni protagonista. Trump ha sbagliato a far uccidere Soleimani? Il presidente americano è un pasticcione che improvvisa? Valutazioni senza senso. Sbaglia Salvini a esaltare l’atto di Trump, sbaglia il quotidiano di Fratelli d’Italia che si lancia in un incredibile peana del “patriota” Soleimani. Fare il tifo acriticamente è da sciocchi. L’ignavia del governo Conte, addirittura ignorato nel giro di telefonate di Mike Pompeo ai partner europei, davanti alla crescita del peso della Turchia è imbarazzante. Di Maio vola a Istanbul a incontrare il suo pari grado turco, ma intanto Erdogan schiera i suoi soldati a trecento chilometri dai nostri confini. Sancisce così la nostra irrilevanza. Ecco, questo ci può e ci deve preoccupare. Ma il 4 marzo 2018 abbiamo votato per questi pupazzi e per un po’ tocca pagarne le conseguenze.