L’alternativa popolare chiamata Popolo della Famiglia

24 Marzo 2019 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Molto istruttiva la reazione alla decisione comunicata e argomentata dal Popolo della Famiglia che nega il sostegno alla kermesse “graniticamente” paraleghista di Verona. Che poi in fondo non ci va manco Antonio Tajani, pure a lui non va di confondersi con sei relatori del Carroccio più la Meloni di scorta, ma al presidente del Parlamento europeo e capolista di Forza Italia non sono toccati improperi, eppure conta certamente più di noi. Persino la sferzata oggettivamente ben più debilitante del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, non è stata contestata quanto le poche righe di un editorialino de La Croce. L’elenco degli insulti da virgolettare è infinito e quello pubblicabile oscilla tra “Adinolfi se ne stia zitto, non parli più” e “tanto tra un mese il PdF sarà sparito, non riuscirà neanche a presentarsi alle europee”. Che poi verrebbe da dire che se contiamo così poco e siamo prossimi all’estinzione, perché tutto questo livore? Quanto al volermi zittire a forza, quanto somiglia questo atteggiamento a quello di chi nega il diritto del WFC persino di tenersi?

Offrirò una spiegazione più articolata del nostro pensiero, non su Verona, credo che ormai il punto su questo (piaccia o no) sia chiaro; ritengo sia necessario far comprendere a qualcuno che dal PdF è ossessionato, quel che il PdF è e sta facendo. In modo che siano forse più comprensibili le scelte politiche conseguenti.

Il Popolo della Famiglia nasce l’11 marzo 2016 con un’assemblea costituente convocata attraverso il quotidiano La Croce al Palazzetto delle Carte Geografiche di Roma. Nella sua carta di identità il PdF si definisce da subito “soggetto politico autonomo laico e aconfessionale, di ispirazione cristiana e programmaticamente fondato sulla Dottrina Sociale della Chiesa, posto a difesa dei principi essenziali e quindi non negoziabili che riguardano la cultura della vita e della famiglia”. La nascita di un soggetto politico autonomo viene immediatamente contestata perché secondo alcuni avremmo dovuto accodarci a partiti già esistenti: in questo clima da parte di fratelli con cui condividemmo i palchi dei due Family Day del 2015 e 2016 partì da subito una campagna di fortissima delegittimazione del PdF al grido “non raccoglieranno neanche le firme per presentarsi alle elezioni”. Erano le amministrative del giugno 2016, ci presentammo in tutte le grandi e media città e ottenemmo un certificato di esistenza in vita, eleggendo anche i primi consiglieri comunali. La lista del PdF si presentava da sola in alcuni comuni e in coalizione in altri, dove si potevano le condizioni politiche di un’alleanza, con il paletto del divieto di fare accordi con Pd e M5S. Lo stesso facemmo alle elezioni amministrative del 2017, dove eleggemmo altri consiglieri comunali tra cui Mirko De Carli.

Per le elezioni del 4 marzo 2018, elezioni politiche, partì una vera e propria “caccia al pidieffino” per impedire che il PdF si presentasse con il proprio simbolo. Nicola Di Matteo coordinatore nazionale è mio testimone, tentarono in ogni modo di comprare il nostro simbolo pagandolo con uno o due seggi, con operazioni analoghe a quelle riuscite con Energie per l’Italia di Stefano Parisi e Rinascimento Italiano di Vittorio Sgarbi. Poi cominciò la litania “non riusciranno mai a raccogliere le firme, piagnucola persino la Bonino, figuriamoci loro in centinaia di piccoli collegi da Trieste a Siracusa per Camera e Senato”. Ogni commento era un tentativo di delegittimazione e di “fiaccare la truppa pidieffina”, c’erano chat in cui si organizzava proprio scientificamente la presenza sui social a questo scopo. Poi però la Bonino si è accordata con Tabacci, noi le firme ce le siamo andate a prendere una per una e alla fine ogni collegio della Camera, ogni collegio del Senato è stato coperto.

E allora è scoppiato il finimondo. Da parte sempre di quei fratelli del Family Day partirono una raffica di articoli, video, lettere, vocali virali che conservo gelosamente, in cui l’unica ossessione ripetuta era: “Non votate Popolo della Famiglia”. La più grande campagna elettorale “contro” a cui mi sia mai capitato di assistere. Prima pagina de La Verità, filmato con ambigue foto alle spalle, lettere alle comunità: sempre e solo lo stesso messaggio, votate persino per Maurizio Lupi che ha sostenuto la legge Cirinnà, ma non per il PdF. La sera del 4 marzo 2018 nonostante questa violentissima campagna “contro”, nonostante la logica del voto utile, nonostante il silenziamento mediatico, nonostante l’assenza di finanziamenti (da noi non passano come a Verona signori sconosciuti dalla nazionalità incerta con assegni da duecentomila euro) il Popolo della Famiglia ha scoperto di avere duecentoventimila fratelli e sorelle che rispetto a tutte le opzioni presenti sulla scheda elettorale (ventotto simboli) avevano scelto di diventare nostri militanti. Perché era evidente che in quelle condizioni il voto al PdF era un voto militante. Aldo Cazzullo disse in televisione a caldo e poi scrisse sul Corriere della Sera che il risultato più sorprendente era il nostro (ci assegnò anche il voto più alto come campagna elettorale, 8).

In realtà lo 0.7% ottenuto in termini percentuali lasciò delusi molti candidati pidieffini. Provai a spiegare, prima di tutto a me stesso, la ragione della delusione: avevamo scambiato la percentuale di consensi che ottenevamo nel nostro mondo come quella che avremmo ottenuto nel mondo tutto intero. Per dirla con i miei amati numeri: su sette milioni di persone che vanno ogni settimana a messa noi ne abbiamo portato a votare PdF un po’ più del 3%, Pensavamo che quello fosse il nostro risultato potenziale. Invece avevamo trascurato il dialogo con il “resto del mondo”.

La lezione è arrivata forte e chiara. Se siamo Popolo della Famiglia dovevamo davvero stare in mezzo al popolo. Così, dopo aver fisiologicamente perso in estate la zavorra di coloro che avevano utilizzato il PdF per curare frustrazioni e coltivare ambizioni solo personali, ci siamo riorganizzati partendo dalle radici. Abbiamo studiato. Ci siamo confrontati senza farci sconti. Siamo ripartiti da Camaldoli a settembre e poi il 17 ottobre c’è stato l’incontro in piazza San Pietro, indimenticabile, di tutto il PdF con il Papa e ancora ci ricordano con un misto di simpatia e imbarazzo per il casino che abbiamo combinato con striscioni e bandiere, tanto da strappare più di un sorriso a Francesco. Forti della Sua benedizione venti giorni dopo riuscivamo a far pubblicare in Gazzetta Ufficiale, dopo il deposito in Cassazione, la proposta di legge sul reddito di maternità. Era stato il nostro cavallo di battaglia in campagna elettorale, non eravamo entrati in Parlamento, abbiamo scelto le procedure dettate dall’articolo 71 della Costituzione e abbiamo fatto vidimare nelle Corti d’Appello migialia di moduli per raccogliere decine di migliaia di firme utili a far arrivare in Parlamento la nostra legge di iniziativa popolare.

Popolare è l’aggettivo che ci contraddistingue: alternativa popolare contro le chiacchiere dei populisti che intanto arrivati al governo si dimostravano per nulla interessati a fare alcunché a favore della famiglia. Zero, niente, le stesse robette inutili di Renzi e Gentiloni. Non solo: la Lega mandava un suo esponente a fare da relatore alla legge sull’eutanasia, depositava alla Camera e al Senato la legge sulla statalizzazione della prostituzione, vedeva crescere come ministro più importante della delegazione di governo la ascoltatissima da Salvini Giulia Bongiorno (figlio nato da eterologa, praticata all’estero, deliberatamente lasciato privo di papà, su CR7 una capa tanta, sulla ministra leghista tanto silenzio). In Regione Lombardia poi accadevano i capolavori, con la giunta leghista a spingere per contraccezione gratuita agli under 26, la promozione della RU486, la cancellazione della legge voluta da Roberto Formigoni per il seppellimento dei bambini abortiti: per il presidente leghista vanno equiparati ai rifiuti ospedalieri e gettati via, però in compenso nei cimiteri lombardi si potranno seppellire cani e gatti. Questo il presidente Fontana, mentre il ministro Fontana si limitava a non mettere un euro in finanziaria sulla famiglia o contro la denatalità (in una finanziaria monstre da trenta miliardi di euro), proponendo però i patti prenup all’americana per demolire definitivamente l’istituto del matrimonio.

Il Popolo della Famiglia, silenzioso e a testa bassa, mentre capitava tutto questo ha passato l’inverno per le strade a prende freddo e firme. Il reddito di maternità è diventato oggi pubblico di discussione, con favorevoli e contrari come e giusto che sia. Lo abbiamo presentato in molte città avendo al fianco vescovi e arcivescovi e cardinali e questo c’è costato persino l’accusa di essere “clericali”. Semplicemente, dopo anni di lavoro, segmenti sempre più vasti della Chiesa italiana hanno superato i veleni e le maldicenze sparsi a piene mani dal fuoco amico e ci hanno voluto conoscere direttamente, senza filtri. Hanno visto chi siamo: una vera moltitudine popolare, capace organizzativamente, ben radicata sui territori. Se noi dobbiamo raccogliere cinquantamila firme certificate (non quelle delle petizioni on line, quelle che devi prendere fisicamente una per una documento alla mano per strada davanti a un soggetto terzo titolato ad affermare che il firmatario è effettivamente il firmataria, un’impresa epica la cui fatica è nota solo a chi l’ha fatta) noi ci mettiamo sotto e le raccogliamo. Perché quell’aggettivo, popolare, non è casuale. Noi siamo popolo davvero. Non siamo quelle associazioncine che hanno solo tre dirigenti e manco un iscritto poi magari mandano in giro di corsa i moduli da far riempire per accreditarsi presso il ministro Bussetti, che se scopre che gli iscritti quella tale associazioncina non ce li ha proprio, poi il bluff si scopre…

Questo nostro essere forza popolare l’abbiamo scritto politicamente, rafforzando il legame con il popolarismo italiano grazie al centenario dell’appello ai liberi e forti di don Sturzo celebrato dalla nostra assemblea nazionale del 20 gennaio 2019 e entrando in rapporto organico con il Partito popolare europeo: la famiglia politica più vasta a livello continentale, che vincerà senza dubbio alcuno le elezioni del 26 maggio. Come ogni famiglia politica molto vasta, è composita e piena anche di contraddizioni. Ma preferiamo stare con gli eredi di De Gasperi, che con le estreme che in Europa sono famiglie con componenti anche molto pericolosi.

Questa scelta politica, quella di rappresentare in Italia l’alternativa popolare ai populismi, racconta qualcosa delle nostre scelte. Saremo concorrenziali politicamente a Forza Italia, ma non ci meravigliamo del fatto che Antonio Tajani dopo la piega presa da Verona abbia declinato l’invito. Un popolare non può accettare per idee popolari e forti come quelle della difesa della cultura della vita e della famiglia, di vederle consegnate alle insegne leghiste e dunque a uno schema asfittico, isolato e estremizzato. Non lo può accettare perché le caratteristiche del leghismo prolife sono sintetizzate in una montagna di chiacchiere con toni eccessivi, ma zero interventi effettivi a sostengo della vita e della famiglia. Anzi, il cinismo populista che è disancorato dalle culture politiche forti, può permettersi anche di usare alcune tematiche come mera merce di scambio. E così sarà usata Verona. Tajani lo sa e resta lontano; Parolin (con il Papa) lo sa e non vuole essere complice; il Popolo della Famiglia lo sa e a Verona non va. Perché per noi invece quelle tematiche sono la ragione stessa del nostro militare politicamente.

Volendoci attaccare oggi è stato scritto che il PdF non andando a Verona perderà “i pochissimi consensi residui”. Ho controbattuto spiegando che l’asfittica scelta di relegarsi in un solo schema di gioco affidato a Salvini capitano, da sostenere graniticamente (che fa rima con acriticamente), produrrà una plastica immagine del consenso residuale che questo metodo può attrarre. Passeremo dal milione di persone del Circo Massimo ai cinquemila (forse) di Verona. Mi è stato risposto: al Circo Massimo non eravamo un milione ma duecentomila. E allora, ho dovuto replicare, visto che c’erano anche tanti bambini vuol dire che i duecentoventimila del PdF rappresentano la totalità di quella mobilitazione straordinaria e storica. Quella piazza, anni dopo, siamo noi.

Non lo so, forse nessuno sa. Tutto come sempre sarà misurato dai numeri e so che tanti attendono quelli del PdF. Tranquilli, l’alternativa popolare rappresentata dal Popolo della Famiglia ai partiti esistenti sarà misurata il 26 maggio: vedremo se il nostro lavoro e le nostre scelte saranno state premianti oppure no. C’è da attendere due mesi. In bocca al lupo a chi va a Verona a sentirsi i comizi di Salvini e Zaia, di Fontana e Meloni che dovranno copiare l’idea del reddito di maternità perché è l’unica seria e sensata in circolazione e, ricordatevelo, è nostra perché noi l’abbiamo resa carne e sangue andando per strada a farla diventare concretamente proposta di legge. Quelli che proveranno ad appropriarsene dovranno dire perché in tutti questi anni non l’hanno mai presentata in Parlamento, mai neanche nulla che le somigliasse. Questa è la ragione per cui da Roma gli organizzatori della marcia del 31 non riescono neanche a riempire un pullman da 50 posti: perché la gente, quella vera, sa che andare a fare i tifosi del Capitano non ha granché senso. Magari lo voteranno pure, ma non chiedete loro di andare pure con i bambini a rischiare le botte, perché questo brutto clima creato ad arte in cui gli organizzatori fanno a gara a chi si definisce più “eversivo” (che forti ‘sti eversivi che si spellano le mani per il ministro dell’Interno) non fa presagire nulla di buono. Nicola Di Matteo, a cui materialmente dobbiamo l’organizzazione dei due Family Day, ha sempre detto che il successo dei due raduni del 2015 e del 2016 è stato dovuto a due fattori: nessun politico sul palco e manifestazione in forma statica. I cortei sono sempre pericolosamente infiltrabili. Mi dispiace che alcuni amici non abbiano mandato a mente la lezione di Nicola, che in materia ne sa più di tutti.

Nicola è oggi il coordinatore nazionale del Popolo della Famiglia ed è colui che materialmente conta le firme raccolte sul reddito di maternità. Abbiamo superato il record storico di firme certificate mai prese dal PdF, siamo oltre quota 44mila. Mercoledì 3 aprile ci troveremo in piazza Montecitorio a Roma dalle ore 11 per apporre davanti ai certificatori la firma numero cinquantamila, che renderà ufficiale l’approdo del nostro disegno di legge di iniziativa popolare alla Camera dei Deputati. Sarà una grande festa, una manifestazione (in forma statica) a cui invitiamo fin d’ora tutti i militanti pidieffini che hanno reso possibile questa impresa popolare: far arrivare in Parlamento una legge pur senza aver avuto eletti un anno fa. Chi ritiene che questo sforzo rappresenti qualcosa di concreto che modifica in meglio la vita delle persone, i diritti delle donne, l’ordinamento giuridico in materia di famiglia e fa avanzare la cultura pro-life, venga a celebrare insieme a noi.

Noi abbiamo scelto questa modalità di impegno: concretezza, lavoro, organizzazione sul territorio, obiettivi precisi, studio dei bisogni, produzione di norme. L’insegnamento del popolarismo sturziano è da un secolo tutto qui: si fanno proposte e si trasformano in leggi, non si fa ideologia perché l’ideologia (anche l’ideologia pro-family, ha ragione Papa Francesco, la famiglia non è mai ideologia) è sempre pericolosa, in qualsiasi declinazione. I populismi sono affascinati dagli approcci ideologici, dalle conseguenti semplificazioni, dalla politica fatta per slogan che vanno alla pancia, dalla comunicazione tutta via tweet e frasi secche sui social. Noi, anche sui social, preferiamo i ragionamenti approfonditi, lunghi quanto è lungo questo articolo. Ma è il modo giusto per spiegare e perché nulla sia lasciato nel non detto.

Possiamo essere contestati in ogni maniera e noi accettiamo serenamente le critiche, a cui rispondiamo sempre con pacatezza. Noi non diciamo mai “Tizio non deve più parlare”, non appartiene proprio alla nostra cultura popolare. In tv quando c’è stato da difendere anche Verona dagli attacchi lo abbiamo fatto, ben sapendo che se ci fossimo accodati ai detrattori avremmo raccolto consensi e applausi, più infinite occasioni di visibilità. Ma noi non siamo capaci a costruire campagne “contro”: le abbiamo subite e sappiamo quanto possano far male quando arrivano come coltellate alle spalle da coloro che pensavi fossero fratelli. Così, chiamati davanti a milioni di persone su varie trasmissioni delle tv generaliste mai abbiamo detto che tra i più celebrati relatori di Verona c’è chi ha scritto e pensa che “Bergoglio è un antipapa che ha fondato una religione opposta al cristianesimo” o chi fa campagna affinché non si firmi l’otto per mille per la Chiesa italiana o l’intera pattuglia che scrive sul giornale che oggi ha in prima pagina un surreale titolo secondo cui le intese commerciali tra Roma e Pechino sono state firmate perché le vuole “Bergoglio” (lo stesso giornale che ha passato l’estate a cannoneggiare il Vaticano sperando di provocare le dimissioni di Francesco). Poi si lamentano se il Papa e Parolin non li vogliono vedere. Noi in tv tutto questo non lo abbiamo mai detto, ma non perché non lo sapessimo. Semplicemente perché noi non abbiamo come obiettivo quello di danneggiare nessuno nella comune militanza prolife. E le nostre parole in tv avrebbero potuto fare molto male. Chiediamo semplicemente lo stesso atteggiamento.

Accettate le riflessioni politiche del Popolo della Famiglia, rispettate la natura stessa e la storia del nostro impegno pubblico, considerate le nostre ragioni se non con benevolenza almeno con uno spirito intellettualmente aperto ad un’opzione culturale che è tutt’altra rispetto a quella dei populismi. Questo non vuol dire che in un futuro non si possa collaborare, anche in un futuro prossimo. Spero ad esempio che in Europa un Partito popolare forte possa scegliere di allontanarsi dal rapporto con il Partito socialista europeo che ha rovinato le politiche continentali nell’ultimo quinquennio. E che poi formule di dialogo si possano costruire anche in Italia, noi alle amministrative dove la legge è maggioritaria ci sforziamo di costruire ovunque la possibilità di intese, così come nelle competizioni con la proporzionale evidentemente privilegiamo la corsa in solitaria: è l’abc della politica. Ma proprio perché il clima sia sereno bisogna partire da un reciproco riconoscimento e da un patto di non aggressione, considerando che le differenze e le distinzioni sul piano politico esistono e non sono “divisioni provocate da Satana” ma distinte risposte a problemi specifici. Poi i numeri, che sono anche il bello della politica perché premiano o puniscono le scelte compiute, diranno se il nostro obiettivo di fornire una casa ai popolari italiani dispersi dentro una cornice di principi forti e non negoziabili capace di contenere un dipinto composto da proposte concrete non ideologiche, ha avuto un senso oppure no. Il 26 maggio potete votare Lega o il surrogato FdI oppure rivolgervi all’alternativa non populista ma popolare chiamata PdF. Sono modi diversi di essere in politica. Parole e fatti di questi giorni serviranno a formare il vostro convincimento.