Mario Adinolfi: Viva Sturzo e ora basta chiacchiere

19 Gennaio 2019 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Le cerimonie hanno sempre qualcosa di polveroso, specie quelle di un centenario ed è andata così anche con le celebrazioni per il secolo trascorso dal 18 gennaio 1919, dall’appello ai “liberi e forti” di don Luigi Sturzo che non fu solo un breve e pregevole scritto, ma l’atto di nascita del soggetto politico autonomo cristianamente ispirato che raggruppò i cattolici italiani sotto le insegne del Partito popolare italiano. A forza di ascoltare rievocazioni storiche sembra che si tratti di qualcosa da studiare sui libri, per niente buono per i tempi attuali. Solo il cardinale Gualtiero Bassetti ha spiegato con nettezza anche nelle parole pronunciate a Santi Apostoli che la lezione di Sturzo è viva a maggior ragione oggi, va studiata e messa in atto proprio in questi tempi difficili. Sono poi comparsi sui giornali infiniti retroscena sul “partito cattolico” prossimo venturo, Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera si è spinto ad augurarsi che la ispirazione sturziana possa dare la stura a un “populismo buono”, evidentemente da contrapporre a quello “cattivo” in salsa gialloverde.

Mai il laicato cattolico è stato così interpellato e per certi versi atteso, mai così spinto a darsi una mossa. Ma chi sono i “non pervenuti” proprio in questi giorni così accesi, non solo per la memoria storica, ma per l’azione possibile e lo spazio politico che si è aperto? Massì, come al solito, i cattolici. Che hanno ovviamente sprecato tempo e paginate per dire sempre la stessa cosa che è in sostanza: sì, vabbè, bravo Sturzo ma noi non abbiamo il suo coraggio. Perché c’è voluto coraggio a sfidare la Chiesa del non expedit, da sacerdote peraltro, con l’esempio di Romolo Murri finito sospeso a divinis e addirittura scomunicato per essersi fatto promotore della Lega democratica nazionale con tanto di elezione a deputato. C’è voluto coraggio per Sturzo, nel 1919 osannato e nel 1923 invitato dal Papa a dimettersi da tutti gli incarichi e gentilmente accompagnato in esilio affinché non disturbasse Mussolini. Oggi, cent’anni dopo, Sturzo si prende una bella rivincita postuma e la sua lezione purtroppo non appresa ci parla di coraggio. Aveva ragione lui e non quei cattolici (anche del Ppi) che all’apparire del potente Mussolini si schierarono col governo fascista. Aveva ragione e quel seme germogliò e Sturzo morì da senatore a vita nell’Italia pacificata a guida cattolica, dei popolari un po’ vili che si fecero fascisti per convenienza del momento non si ricorda il nome, eppure furono senatori e ministri.

Ma la lezione del coraggio di Sturzo è respinta al mittente da troppi cattolici, bravi solo quando c’è da far chiacchiere e convegni, se c’è da operare mettendo a rischio qualche proprio interesse allora li vedi spiegare che “i tempi sono diversi”. Illuminante in questo senso l’articolo su Tempi, gloriosa testata una volta politicamente assai combattiva come era politica combattiva l’area che ruotava attorno a Comunione e Liberazione, di Marco Invernizzi che è il reggente di Alleanza Cattolica. Perché non sia travisato il suo pensiero quindi riprendiamo dal suo articolo esemplarmente intitolato “Viva don Sturzo, ma non è tempo di un nuovo partito cattolico” un brano testuale tra virgolette senza modifiche: “Parlare oggi di don Sturzo, cento anni dopo la nascita del PPI, è spesso l’occasione per chiedersi quale contributo debbano dare i cattolici alla vita pubblica del Paese. E in molti rispunta sempre il desiderio di un altro partito cattolico. Posto che il desiderio ha un significato positivo perché testimonia la volontà che la fede diventi cultura e dia visibilità a una presenta politica (pur con i limiti dottrinali della proposta democratico cristiana), tuttavia mi sembra non tenere conto di quanto il laicismo sia penetrato nel corpo sociale nel corso di questi cento anni. Se nel 1919 i cattolici erano ancora la maggioranza di una società governata prima da liberali e poi, dopo il 1922, dai fascisti, oggi i cattolici praticanti rappresentano, secondo gli studiosi, circa il 15% della popolazione e oltretutto sono fra loro divisi. Si aggiungano pure quelli che comunque, anche se non praticanti, si riconoscono nella visione del mondo che propone la Chiesa, ma resta sempre una minoranza. Una minoranza importante, certo, ma che rimane tale. Questo non significa essere favorevoli a una scelta religiosa che porti i cattolici a disimpegnarsi dalla vita politica, come fu teorizzato negli anni 1960 e 1970 per nascondere in realtà una scelta a favore di quelle forze politiche che allora sembravano vincenti. Al contrario, bisogna spingere i cattolici a impegnarsi in politica, come sostiene Papa Francesco, ricordando loro che fare politica non coincide con il fare un partito. Fare politica oggi significa mobilitare i cattolici sulle grandi questioni antropologiche in discussione”.

L’argomento centrale di Invernizzi, ripetuto più volte nella sua dura critica alla nascita del Popolo della Famiglia, è che i cattolici sono ormai minoranza e le minoranze non devono farsi contare. Argomento davvero debole perché il 15% indicato da Invernizzi coincide con i sette milioni di italiani che ancora oggi vanno a Messa tutte le domeniche. Bene, in politica tutti sono minoranze. Anche la potentissima Lega di Matteo Salvini a cui Invernizzi rivolge la sua attuale simpatia, dopo i trascorsi di Alleanza Cattolica che invece in passato vedeva in Silvio Berlusconi il “federatore” capace di garantire gli interessi dei cattolici tra un bunga bunga e l’altro, ha preso sei milioni di voti: rappresenta una minoranza. Ma Salvini sa far fruttare quei voti incidendo radicalmente nel governo del Paese e di fatto egemonizzandolo. Sturzo era a capo di una minoranza, prese appena un milione di voti; De Gasperi, eletto segretario dopo che Sturzo fu costretto alle dimissioni e il Ppi subì la scissione dei filofascisti, calò a seicentomila. Erano molto più forti i socialisti e si fecero rapidamente fortissimi i fascisti. I popolari resistettero e gettarono un seme che germogliò e un secolo dopo è ricordato come storicamente decisivo. Questo è il lavoro che fa una minoranza. E i cristiani ad essere minoranza dovrebbero essere abituati ab origine, lo sono sempre stati e sempre lo saranno: “Hanno perseguitato me, perseguiteranno voi”, caro Invernizzi. Davvero siamo diventati così molli da usare l’argomento dell’essere minoranza nel Paese come alibi?

Altro argomento di Invernizzi: fare politica non significa fare un partito. Si organizzino piazze, se non si è più in grado di convocare piazze si organizzino convegni possibilmente tra noi, poi si cerchi di agganciare i potenti di turno facendo lobby e rimediando magari uno o due seggi nel partito dominante. Sbagliato. La lezione del coraggio di Sturzo è proprio tutta in quel “fare un partito”. Certo che costa fatica, sacrificio personale, rischio di fallimento. Sturzo è tutto questo: ha faticato lustri per costruire il Ppi, è stato sacrificato dalla Santa Sede sull’altare del rapporto con Mussolini, ha visto il Ppi chiuso d’imperio dai fascisti e ha dovuto vivere in esilio. Ma, caro Invernizzi e cari amici di Tempi, don Giussani non vi consentirebbe di dire “viva Sturzo ma no al partito” affermando nei fatti una scelta religiosa che è umana ma banale paura del rischio e del fallimento.

Oggi il realismo a cui ci richiama Giussani è quello sturziano. Prendere una lezione e vivificarla qui e ora, da cristiani che non hanno paura e sanno misurare i dati della realtà. Proprio quelli ci dicono (i segnali ci sono davvero tutti) che c’è spazio per un partito di ispirazione cristiana nel sistema politico del Paese. Il Popolo della Famiglia, che in questa ideale staffetta a più tappe ha in mano il testimone del popolarismo per portarlo nel suo secondo secolo di storia, di questo parlerà nella sua assemblea nazionale di domenica 20 gennaio. Il paradosso è che in molti attendono una mossa del laicato cattolico, dai vescovi ai maggiori editorialisti di questo paese, ma sembrano essere le timidezze e gli alibi alla Invernizzi a prevalere. Ora è invece davvero tempo di chiudere la stagione delle chiacchiere e passare alla fatica operativa dei fatti. Noi ci siamo. Porte e finestre del Popolo della Famiglia sono letteralmente spalancate per fare di questo nostro strumento già scelto da 220mila cristiani italiani la casa comune di un comune impegno. Perché non è vero che si possa fare politica senza fare un partito, magari battendosi sui temi antropologici. Se lo si fa senza un partito, si viene presi in giro e gli impegni assunti vengono traditi, chi ha partecipato alla stagione dei Family Day lo sa bene. La lezione di Sturzo è che per contare come cristiani in politico si può solo fare un partito e organizzarlo bene, pagando di persona se necessario. Noi in questo senso, il solo possibile senza tradirlo, ripetiamo: viva Sturzo. Vi aspettiamo domenica a Roma al Centro Congressi Frentani per ripeterlo insieme.