Mario Adinolfi: Storia del cattolicesimo politico italiano

5 Agosto 2018 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Sto scrivendo il mio libro autunnale sulla storia del cattolicesimo politico italiano, per ricordare a tutti quelli che si ritrovano in questo solco quanto straordinariamente complessa sia stata la vicenda umana collettiva che ci ha portati fino a qui. Voleva essere un libro quasi accademico, persino distaccato, ma alla fine mi sembra di essere alle prese con la scrittura di un testo che è un romanzo appassionato. Un secolo e mezzo di storia che è la biografia di una nazione, che diventa non a caso nazione davvero unitaria con la “conquista” di Roma il 20 settembre 1870 e il Papa, allora Pio IX ma poi anche Leone XIII e Pio X e Benedetto XV e Pio XI, che non esce dai Palazzi Vaticani non per un giorno, ma per sessant’anni, fino al luglio 1929. Sessant’anni senza mai mettere il naso fuori e con conseguente indicazione ai cattolici di essere ostili alla democrazia italiana, astenendosi dal parteciparvi: non expedit, non conviene. E allora l’Opera dei Congressi per trent’anni, sorta di parlamentino delle associazioni cattoliche, fondata nel 1874 e sciolta nel 1904, quando i rumorosi ragazzi della “democrazia cristiana” di don Romolo Murri finirono per ottenerne il controllo, teorizzando la fine del non expedit e la partecipazione diretta autonoma dei cattolici alle elezioni.

Murri riesce pure a farsi eleggere deputato, viene immediatamente scomunicato (scomunica revocata da Pio XII nel 1943, un anno prima della morte dello stesso Murri). E allora tocca a don Luigi Sturzo lavorare con pazienza, si parte con le amministrative, diventa prosindaco, poi c’è il discorso di Caltagirone (24 dicembre 1905) poi lunghi anni in cui provano a fregarlo. Don Sturzo vuole il “soggetto politico autonomo cristianamente ispirato” con cui misurarsi alle elezioni in alternativa netta ai socialisti e ai liberali, i clerico-moderati fanno invece gli accordi con i liberali in funzione antisocialista (operazione nota come Patto Gentiloni, un parente del quale è stato il nostro penultimo premier) per eleggere dei cattolici “nei partiti” e non con un proprio partito. Ma don Sturzo insiste e nel 1919 il Partito popolare lo riesce a fondare con l’appello ai liberi e forti diramato dall’albergo Santa Chiara di Roma, va alle elezioni come dice lui, in alternativa netta a socialisti e liberali, prende una milionata di voti e finalmente il soggetto politico autonomo cristianamente ispirato e fondato sulla dottrina sociale della Chiesa è nato ed esiste.

Il Papa però è ancora di quelli che non escono dai Palazzi Vaticani, quando nel 1922 arriva al potere Benito Mussolini il Papa stesso lo descrive come “uomo della Provvidenza” e comincia il lavorio che porterà ai Patti Lateranensi. Quanto può essere scomodo don Luigi Sturzo in una situazione del genere? Allora gli spaccano il Ppi che si divide in filofascisti e antifascisti, il Papa personalmente lo costringe alle dimissioni da segretario nazionale del 1923 e per stare proprio sicuro lo manda in esilio all’estero. I popolari filofascisti diventano fascisti per intero ed entrano nel listone di Mussolini per le elezioni del 1924, il Ppi guidato da Alcide De Gasperi resiste pur dimezzando i voti (gliene restano seicentomila), ma poi arrivano il discorso mussoliniano del 3 gennaio 1925, le leggi fascistissime, lo scioglimento dittatoriale di tutti i partiti politici tranne il Partito nazionale fascista nel 1926 e nel 1927 De Gasperi viene proprio arrestato con la moglie e si fa la galera così impara.

Durante il fascismo tutti inabissati, poi nel 1942 Alcide De Gasperi torna a scrivere ma non sono tempi di libertà quindi il suo “Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana” esce clandestinamente sotto pseudonimo, la firma è: Demofilo. Deve stare accorto De Gasperi, quindi quando il 18 luglio 1943 una cinquantina di intellettuali cattolici si incontrano all’eremo di Camaldoli lui non c’è, è rappresentato dal ventiquattrenne Giulio Andreotti che con il ventiseienne Aldo Moro, “l’anziano” trentottenne Giorgio La Pira e un’altra dozzina di coraggiosi stesero il Codice di Camaldoli, il documento fondativo non solo della futura Democrazia Cristiana, ma anche di gran parte della Costituzione repubblicana.

Ai democristiani tocca aver paura perché alle elezioni del 2 giugno del 1946 per l’assemblea costituente prendono sì il 35% dei voti, ma socialisti e comunisti sommati arrivano al 40%, quelli sono per l’obbedienza a Mosca. Meno di due anni dopo i socialcomunisti si presentano uniti con il faccione di Garibaldi come simbolo di un Fronte che punta a vincere le elezioni. Ma è la Dc a prendere dodici milioni di voti, la maggioranza assoluta dei seggi (mai più accaduto con la proporzionale) e la poltrona della presidenza del Consiglio tenuta ininterrottamente fino al 1981, in quella che è stata la più grande stagione di esplosiva crescita conosciuta dall’Italia.

Ma a De Gasperi non bastò aver salvato l’Italia per avere il gradimento e la fiducia vaticana, a cui il “soggetto politico autonomo” dei cattolici in fondo non è mai andato giù. Così Pio XII, puntando stavolta su don Sturzo tornato dall’esilio e nominato senatore a vita, provò a cancellare il simbolo della Dc facendolo annegare in un unico contenitore con monarchici e neofascisti in quella che venne denominata appunto “operazione Sturzo”: un listone di destra da contrapporre al Partito comunista, con Sturzo capolista, per le amministrative di Roma del 1952. De Gasperi resistette, la Dc si presentò autonomamente con il suo simbolo contro le destre e contro il Pci, vincendo ancora. Vinse anche le elezioni politiche del 1953 ma con mille polemiche per la “legge truffa” che assegnava un piccolo premio di maggioranza per assicurare stabilità, premio che peraltro non scattò. Le feroci divisioni interne, l’ostilità del Papa per la resistenza a difesa dell’autonomia della Dc, la polemica con l’ala sinistra del partito capitanata da Giuseppe Dossetti, piagarono definitivamente il cuore di De Gasperi che morì nel 1954. Dossetti lasciò la politica per la vita religiosa e fu ordinato sacerdote nel 1959.

La stagione di potere dei cattolici post-degasperiani durò con il controllo ininterrotto della presidenza del Consiglio per 27 anni. A capo del governo ci furono nomi che sono la storia d’Italia: Fanfani, Moro, Leone, Andreotti, Rumor, Cossiga, Forlani. L’evento cruciale di quel quarto di secolo fu certamente il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse di Mario Moretti, che il 9 maggio 1978 esplose una raffica di tredici colpi di mitraglietta direttamente al cuore del presidente della Democrazia Cristiana. Curiosamente, Moretti era stato un brillante allievo del giovane don Giussani in Università Cattolica, il voto migliore lo aveva proprio avuto all’esame di Esposizione della dottrina e della morale cattolica. Pochi giorni prima di morire Moro in una lettera rivolta al segretario nazionale della Democrazia Cristiana, Benigno Zaccagnini, scrisse: “Il mio sangue ricadrà su di voi”. Così andò.

Dopo la morte di Moro in appena quindici anni dal potere che sembrava inscalfibile e assoluto la Dc arrivò allo scioglimento: nel 1981 la perdita di Palazzo Chigi, poi la stagione di egemonia di Bettino Craxi, la fine nel disonore con i fatti di Tangentopoli e Andreotti processato per mafia. Nel luglio del 1993 lo scioglimento della Dc da parte dell’ultimo segretario, Mino Martinazzoli e la rinascita del Partito popolare italiano. Martinazzoli prova a ripercorrere la strada del Ppi sturziano e alle elezioni del 1994 si presenta in posizione alternativa sia alla “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto che alla vera macchina da guerra di Silvio Berlusconi, che riesce nell’impresa di tenere con sé i secessionisti di Umberto Bossi e i neofascisti di Gianfranco Fini, che ancora non aveva bevuto l’acqua di Fiuggi e celebrava gli anniversari della Marcia su Roma. Il Ppi di Martinazzoli va in doppia cifra, ben sopra il 10%: il soggetto politico autonomo dei cattolici è salvo, ma in realtà comincia la solita storia. Un drappello di eletti del Ppi si scopre governista e vira verso Berlusconi, Martinazzoli manda tutti al diavolo e si dimette e quella che segue non è una bella storia.

Si procede per venticinque anni di divisioni e separazioni con il Ppi che si scinde nei Popolari di Bianco e nel Cdu di Buttiglione, poi c’era il Ccd-Udc di Casini e Mastella, poi le denominazioni delle liste non si conteranno più: Udeur, Alleanza popolare, Ncd, Alternativa Popolare con la sedicesima legislatura repubblicana che è l’ultima ad avere un gruppo parlamentare con esplicito riferimento alla ispirazione cristiana. Nella diciassettesima il virus della frammentazione diventa prodotto dell’irrilevanza. Hanno il proprio gruppo parlamentare i post-comunisti del Pd e di LeU, i post-fascisti di Fratelli d’Italia, i post-secessionisti della Lega, i post-liberali di Forza Italia e i populisti del M5S. Dei cattolici, neanche l’ombra, siamo tornati alla stagione del non expedit con la presenza di alcuni “cattolici deputati” nei partiti, ma nessun partito che faccia esplicito riferimento all’ispirazione cristiana.

Centocinquant’anni di storia faticosa e sempre difficile del cattolicesimo politico in Italia si sono chiusi così? No, la fiammella è ancora accesa: l’hanno tenuta accesa in 220mila il 4 marzo 2018 votando Popolo della Famiglia, un soggetto politico autonomo di ispirazione cristiana fondato sulla dottrina sociale della Chiesa. No, questa è una lunga storia e non finisce. Ci sono pagine fondamentali da scrivere e chi se la sente, oggi, può esserne autore e protagonista. Pagando prezzo di persona, come è sempre stato per tutti i protagonisti di questa grande storia che è la vera biografia della nostra nazione.