L’ANTIFASCISMO DI CHI UCCISE

8 Gennaio 2024 Mario Adinolfi
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, Il Popolo della Famiglia
Sentirete parlare in queste ore di Acca Larentia e la polemica sarà tutta attorno ai saluti romani che sono stati fotografati alla cerimonia del 46esimo anniversario della strage del 7 gennaio 1978. Servirà ad alimentare l’ennesimo inutile dibattito attorno al tema del fascismo ancora presente in Italia, animato da antifascisti che negli Anni Venti non erano vivi ma negli Anni Settanta sì. E la loro simpatia nostalgica oggi è rivolta molto più agli esecutori di stragi come quella di Acca Larentia che a chi lì venne ammazzato o a chi morì nel rogo di Primavalle. Per Acca Larentia venne individuato (con più arresti, ma nessuna condanna) un commando di Lotta Continua, per Primavalle la responsabilità fu di Potere Operaio. Esponenti di Lotta Continua e di Potere Operaio ancora oggi dominano i giornali italiani che sulle prime pagine si infiammano per i saluti romani alla cerimonia. È la prosecuzione della loro guerra giovanile, un tributo sentimentale a orrendi ideali, è l’antifascismo di chi parteggiava e in fondo ancora tifa per chi uccise, mantenendo intanto il disprezzo per gli uccisi. Di cui considera eredi gli attuali vertici di governo.
Lo posso scrivere non essendo mai stato fascista, missino e senza aver mai votato alcun partito con quella origine. Ma ho studiato la stagione del terrorismo credo come pochi, perché privo di pregiudizi ideologici. Sono stato fronteggiato quasi violentemente da un attuale importante parlamentare di Fratelli d’Italia per le pagine del mio libro sul terrorismo dedicate alle terribili gesta dei Nar di Mambro e Fioravanti, ma lo stesso libro elenca uno per uno i criminali del terrorismo di sinistra e le loro malefatte. E quindi del mio assunto sono certo: l’antifascismo di oggi non ha nulla ha a che fare con il ventennio mussoliniano, ma è la parte finale della guerra ideologica che provocò tanti morti negli Anni Settanta e Ottanta.
Morirono ragazzi di sinistra per mano di militanti neofascisti, penso a Walter Rossi e Roberto Scialabba ucciso proprio da Giusva Fioravanti. Ma le stragi che riguardarono i giovani missini furono particolarmente cruente. Nella sezione del MSI di via Acca Larentia entrarono con i mitra, uccisero il ventenne Franco Bigonzetti e il diciottenne Francesco Ciavatta colpito alle spalle mentre fuggiva, ferito. Negli scontri che seguirono morì il diciannovenne Stefano Recchioni. Il papà di Ciavatta pochi mesi dopo si suicidò bevendo acido muriatico. A Primavalle il gruppo di Potere Operaio diede fuoco all’abitazione all’abitazione del segretario del MSI Mario Matteo, uccidendogli i figli Virgilio e Stefano di 22 e 10 anni. Tutto questo accadeva a Roma. Il primo atto omicidiario delle Brigate Rosse fu l’assalto alla sezione MSI di Padova dove uccisero i militanti Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola. E poi a via Ottaviano sempre a Roma il militante FUAN ventiduenne Mikis Mantakas, alla sezione MSI del Prenestino il diciassettenne Mario Zicchieri, a Milano il diciannovenne militante del Fronte della gioventù Sergio Ramelli.
Ancora oggi chi osa ricordare uno qualsiasi di questi ragazzini uccisi da una sinistra violenta e stragista, magari proponendo l’intitolazione di una via, si becca automaticamente la qualifica di “fascista”. Quindi guardateli bene quelli che davanti alla strage di Acca Larentia non vi raccontano l’orrore di quel accadde lì, cioè l’uccisione da parte di un commando di sinistra nella maniera più vile possibile di tre giovanissimi, ma puntano il dito sui saluti romani fatti da qualche idiota nostalgico. Guardateli bene perché anche loro sono nostalgici e dei tempi in cui ai “fascisti” si poteva sparare addosso tanto nessuno li avrebbe difesi.
Attenti all’antifascismo che niente ha a che fare con Mussolini, ma è solo l’antifascismo dei fiancheggiatori di chi negli Anni di piombo uccideva i ragazzini “fascisti” pretendendo che non fosse reato. E infatti per la strage di Acca Larentia nessuno ha mai fatto un giorno di galera, nessuno è mai stato condannato. Lo sapevate? Forse di questo bisognerebbe scrivere sui giornali, non di quattro nostalgici del saluto romano.