Perché volere bene al Popolo della Famiglia

5 Maggio 2023 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia

Quando nacque il Popolo della Famiglia, alle soglie della primavera del 2016, fummo accolti da quello che eufemisticamente potremmo chiamare “scetticismo”. C’erano da fare le liste in tutte le grandi città e venivamo dati per morti in culla: “Non ce la possono fare: troppe firme da raccogliere in troppo poco tempo”. E invece i gruppi fecero ovunque il miracolo: da Torino a Napoli, da Roma a Cagliari presentammo ovunque i candidati sindaci pidieffini e con essi per la prima volta il nostro simbolo. Il 14 e 15 maggio 2023 si voterà per un’altra tornata amministrativa e ancora una volta protagonisti saranno i candidati sindaci pidieffini nella più popolosa città del Piemonte che va al voto (Ivrea) e in quella veneta (Treviso), con i nostri dirigenti storici Carlo Bravi e Luigino Rancan, con le squadre locali coordinate da donne di valore come Cristina Zaccanti e Carla Condurso.

Non si può non volere bene alla tenacia pidieffina. In un panorama politico in cui tutti hanno sbracato, in cui in Veneto il buon Luca Zaia fa votare le mozioni di Cappato a favore di suicidio assistito e eutanasia dopo aver finanziato siti sanitari pubblici per il cambio di genere sessuale, in cui in Parlamento non c’è stato un solo gruppo politico che abbia trovato il coraggio di votare contro la mozione del Pd sul presunto “diritto all’aborto”, è rimasto solo il PdF a costituire presidio sui principi non negoziabili. Abbiamo inventato e trascritto in proposta di legge l’idea del reddito di maternità, l’abbiamo corredata di oltre cinquantamila firme e consegnata al Parlamento, ce la siamo fatta copiare dalla Meloni senza gridare al furto quando ci fece sopra la campagna elettorale per le europee 2019 (però poi, come spesso capita, se ne è dimenticata), abbiamo manifestato contro le idee di Cappato che incarnano la cultura della morte davanti ai tribunali italiani e fin sulle scale della Corte di Cassazione mentre cercava di piazzare l’imbroglio dei referendum sull’eutanasia e sulle droghe, abbiamo rappresentato il baluardo contro il ddl Zan quando sembrava inevitabile la sua approvazione e nessuno voleva mettere la faccia contro la violenza liberticida di quella norma e della lobby Lgbt, abbiamo accettato il confronto mediatico trattati come malsopportata minoranza cui tendere agguati televisivi uscendone con dignità e talvolta tra gli applausi, abbiamo lottato in piazza con le nostre bandiere contro lo Stato che voleva umiliare la persona e lederla nei suoi diritti fondamentali, oggi in ogni nostra iniziativa pubblica dobbiamo essere protetti da polizia e carabinieri, anche se vogliamo semplicemente presentare un libro. Perché si conoscono ormai perfettamente le nostre idee e Popolo della Famiglia è diventato un marchio inequivocabile di nettezza della testimonianza. Abbiamo difeso la Chiesa, il Papa, i sacerdoti, le suore, i presepi a scuola e i crocifissi nelle aule, la fede di molti noi per difendere la libertà di tutti e dare alla parola laicità un significato vero, più profondo di quello dell’equiparazione con l’ateismo.

Per questa battaglia perenne, costosissima, faticosissima, abbiamo ottenuto qualcosa in cambio? No. Nessuna poltrona di rilievo e infatti quelli che s’erano imbarcati con noi con la speranza che la politica facesse loro sbarcare il lunario sono scesi rapidamente dalla nave, nel 2018 e nel 2022. Certo non abbiamo ottenuto il consenso delle masse, oscilliamo tra i cento e i duecentomila simpatizzanti mettendo insieme i risultati delle due elezioni politiche, delle europee e di tutte le elezioni locali che in questi sette anni abbiamo affrontato con il coordinamento sempre solido e preciso di Nicola Di Matteo. Bisognerebbe almeno quadruplicare quel livello di consenso e sono certo che già dalle amministrative del 14 e 15 maggio trarremo qualche buona indicazione di crescita. Ma alla fine non è questo che conta. Conta che la ormai proverbiale tenacia pidieffina abbia tenuta accesa la fiammella. Abbiamo ottenuto, con la nostra determinazione, che nel terreno decisivo della politica l’avanzata di un pensiero unico avaloriale, profondamente anticristiano, contro la vita e contro la famiglia naturale, non possa avvenire senza la resistenza di un gruppo che si oppone.

Quel gruppo siamo noi e sappiamo che, alla fine, persino negli avversari che quotidianamente ci insultano, la serietà con cui svolgiamo il nostro ruolo storicamente legittimato e necessario non può che suscitare rispetto. E, tutto sommato, un po’ di simpatia.