L’educazione è il processo più importante e carico di responsabilità che ci possa essere. È un rischio, come ci insegnò Don Luigi Giussani nel libro “Il rischio educativo”, perché vede in gioco due libertà contrapposte: quella del figlio che è in “avanscoperta” e quella del genitore/educatore che vive la conflittualità tra un senso di protezione fisiologico e il bisogno di guidare e non solo accompagnare. Decisivo sarebbe riscoprire il vero significato ontologico della parola “educare”: dal latino educare ovvero “trarre fuori”. Consapevoli di questo possiamo dunque comprendere l’alto valore dell’esperienza educativa per un bambino o una bambina e la decisiva funzione del genitore/educatore chiamato a “camminare” affianco al proprio figlio secondo la “vocazione” che più è consona al suo carattere, al suo temperamento, alla sua natura. Non a caso la nostra Carta Costituzionale parla chiaro quando entra nel merito della questione e lo fa all’art. 30: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”. Si definisce per via costituzionale il riconoscimento della famiglia quale primaria agenzia educativa per i figli.
Questo preambolo risulta essere molto utile per comprendere quanto non sia una questione di conflittualità tra diritto naturale e diritto positivo o tra trattati di biologia e manipolazioni gender ma che si tratta di riconoscere la responsabilità oggettiva della figura genitoriale nel definire quale percorso educativo sia più idoneo per il figlio. Lo Stato non ha alcuna prerogativa, se non quella di tutelare il minore in casi particolari riconosciuti esplicitamente dalla legge ordinaria, che però non autorizzano in alcun modo i funzionari pubblici di ogni ordine o grado (insegnanti compresi) di proiettare un pensiero etico pubblico nell’orizzonte della crescita formativa del ragazzo. I regimi proponevano e imponevano un’etica di stato che ribaltava il significato autentico di “educazione” sostituendolo con quello di “manipolazione” per mezzo di ideologie costruite ad hoc per soggiogare popoli e comunità a un potere violento e spregiudicato.
“Non insegnate ai bambini
Non insegnate la vostra morale
è così stanca e malata
Potrebbe far male
Forse una grave imprudenza
è lasciarli in balia di una falsa coscienza”
ci ha insegnato Giorgio Gaber evidenziando plasticamente con una canzone le deformazioni in atto nel processo educativo/formativo dei più piccoli nell’età comtenporanea.
La famiglia ancora una volta può davvero essere la locomotiva della società e la guida più sicura per la crescita del tesoro più prezioso di una collettività: i figli. Per questo, come figlio e come politico, sono convinto che la partita per un’educazione ancorata al dato biologico e non al puro e desiderio (troppo spesso manipolato in età infantile dagli adulti) posso essere vinta se le mamme e i papà di ogni nazione saranno capaci di chiedere rispetto per i loro diritti e di “prendersi letteralmente cura” delle loro creature, vivendo “carnalmente” un altro importante pilastro normativo quale quello della cosiddetta “patria potestà”.
Ora non commettiamo l’errore imperdonabile di portare il confronto/scontro sul campo dell’etica o della morale: viviamolo dentro allo sguardo pieno di amore di un genitore per un figlio. Solo quell’amore saprà rigettare pratiche distruttive per l’educazione di un ragazzo come il cambio dell’identità di genere e il blocco della crescita ormonale; la politica faccia non uno ma mille passi indietro e riconosca ciò che “viene prima” dello Stato (la famiglia) e la sostenga, la incoraggi e non la ostacoli nella sfida più importante ed ambiziosa del nostro tempo: l’educazione dei nostri ragazzi, della nostra futura classe dirigente.