Mario Adinolfi: se gli ultimi saranno i primi, i “penultimi” del nostro paese che fine fanno?

3 Luglio 2020 Silvia Lucchetti
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Ho finito di leggere il libro, così denso di suggestioni e appena pubblicato: “Il grido dei penultimi” di Mario Adinolfi (Youcanprint, 2020) e la sensazione che mi è rimasta addosso è che sia un’opera di dolore e d’amore, che poi in fondo sono la stessa cosa, di quel “sottile dispiacere” che prova soltanto chi ha a cuore la vita dell’altro, specialmente quando patisce ingiustizie. Chi vuole, discostandosi da un mainstream allineato e ideologizzato, dare ascolto e voce ai “penultimi”, ai milioni di italiani in difficoltà, con il fiato corto ora più che mai a causa della crisi economica e sociale che il Covid-19 ha provocato: cittadini svuotati, soli, ancora più poveri e abbandonati. Questi sono i penultimi di cui nessuno raccoglie l’urlo spento.

Di alcuni “penultimi” Mario ci racconta la storia. Intervistando Francesca, figlia del magistrato Pietro D’Amico che ha effettuato il suicidio assistito in Svizzera, affronta la tematica della mistificazione oggi sempre più subdola sull’eutanasia, dove interessi economici e miopi posizioni ideologiche inquinano le coscienze negando di fatto il valore assoluto della vita. Poi ci sono Luca e Maria con i loro 10 figli in missione nella secolarizzata Olanda, che testimoniano il clima culturale ormai diffuso in quel Paese, che giustifica la soppressione di vite non produttive, o che comportano l’assunzione di rilevanti costi economici da parte della società, finanche di bambini. Con la vicenda di un altro Mario, ex deputato cattolico, papà di cinque figli, che ha rischiato di morire per il coronavirus, viene messa in evidenza la grave situazione dell’assistenza sanitaria pubblica in Italia, che la pandemia ha rivelato, a causa delle politiche degli ultimi decenni che hanno gravemente depotenziato le capacità di risposta del servizio sanitario nazionale. Infatti egli è vivo grazie a Dio e al respiratore di cui ha potuto fruire al posto di un paziente più anziano, la cui vita è stata di fatto è stato sacrificata.

L’autore contemporaneamente, con il suo stile diretto e autoironico, tipicamente romano, ci confida passaggi e momenti cruciali della vita della sua famiglia di origine. E così conosciamo in qualche modo suo papà Ugo, aspirante attore poi divenuto impiegato dello Stato, la mamma Louise australiana d’origine e testaccina per amore, che si è dedicata totalmente alla famiglia rinunciando ad un lavoro in ambasciata ben retribuito, e la sorella Ielma di cui ci racconta la tragica morte per suicidio.

Chi sono i penultimi?

Mario Adinolfi vuol dare parola alla sofferenza dei penultimi che non fa ascolti, che non fa figo, che non è patinata, e resta perciò quasi sempre fuori dai salotti tv, perennemente assente sulle scrivanie dei governanti. Un grido inascoltato, solitario, strozzato. Dare volto a tutti i disgraziati “non instagrammabili”, che non rientrano nelle categorie protette in voga ai giorni nostri, nella tipologia di vittime per cui ci si indigna epidermicamente perché altrimenti non si è graditi, per cui si scrivono tweet formalmente accorati, per cui si piange di fronte alle telecamere.

(…) c’è una moltitudine di addolorati e oppressi il cui grido è muto o forse giunge a orecchie sorde, che non si può più ignorare. Solo in questo nostro disgraziato Paese ogni concreto elemento di welfare è demandato alla famiglia e la famiglia non è sostenuta in nulla. Ogni bambino disabile, ogni anziano non autosufficiente è consegnato alla cura dei familiari e se familiari non ce ne sono rischiano l’abbandono. Chi fa piccola impresa, soprattutto impresa familiare, dopo aver attraversato i mesi apocalittici del Covid si ritrova sostanzialmente senza reddito. Milioni di lavoratori, a partire dai giovani con i contratti a tempo determinato, hanno perso il posto. C’è chi offre una valutazione di tutto questo solo sotto l’ottica del disagio economico, senza capire che si tratta soprattutto di un disagio esistenziale.

Chi sono invece gli ultimi?

“I penultimi” sono fuori tema per i tempi attuali, fuori moda, tagliati fuori. Non conviene ascoltare la loro richiesta d’aiuto perché non sono ritenuti abbastanza sfigati come quelli che si trovano all’ultimo gradino della scala sociale, e che invece, proprio per questo, al loro confronto risultano incredibilmente “privilegiati”, in quanto destinatari di attenzione e di iniziative di solidarietà. Ovviamente l’autore non intende dire che non sia necessario e importante occuparsi degli ultimi, ma si domanda (e nel libro scoprirete che lo chiede anche a un pastore della Chiesa): se gli ultimi saranno i primi, i penultimi che fine fanno?

Esistono degli “ultimi” privilegiati: l’immigrato di colore, il bracciante clandestino per il quale il ministro versa lacrime e scrive norme, le comunità di religioni diverse dalla cattolica, la donna “che ha subito violenza”, il gay “vittima della discriminazione degli omofobi”. Sono diventati costoro delle vere e proprie “figurine del disagio”, statuette del presepio del bisogno. Ma sono solo una rappresentazione. (…) Insomma, rispetto al vasto esercito degli affaticati che sono i “penultimi” di questo Paese, gli ultimi rappresentano quasi la proposizione di un cliché in cui la sofferenza è più che lenita dalle reti di protezione a cui i penultimi non hanno alcun accesso, fattore che scatena la loro rabbia che può trasformarsi in pericoloso odio. In più difendere quegli “ultimi” è attività alla moda, è una tonalità che si porta perfettamente bene in società, a cui giornali e televisioni spalancano le braccia per offrire il consueto angolino di moralina borghese priva di etica al tema ovvio del momento, che sia il no al razzismo o la lotta alla violenza sulle donne.

Le donne: da penultime a nuove protagoniste

Le “penultime” a cui Mario dedica le pagine più toste e più belle sono le donne. Il suo è un vero inno, non fuffa, non poesia straccia, niente captatio benevolentiae, ma elogio autentico. L’autore afferma con vigore e convinzione:

Riconosco alla donna una elasticità ed una capacità di sacrificio totalmente incomparabili con quelle di noi maschietti. L’istinto per la cura dell’essere umano è davvero tutto femminile ed inevitabilmente connesso all’istinto materno, anche nelle donne che non hanno figli. La stagione del Covid ha evidenziato ancora di più ai miei occhi questa attitudine, mia moglie Silvia ha giganteggiato nella gestione delle piccole e grandi difficoltà, io mi ero sostanzialmente rintanato nel guscio. Ho imparato dalla mamma delle mie figlie che si può rendere il proprio servizio ventiquattro ore su ventiquattro alla famiglia senza chiedere niente in cambio, neanche un gesto di gentilezza. Solo una donna può.

E poi:

Abbiamo bisogno di una nuova stagione di protagonismo femminile, le donne italiane devono assolutamente assumere la guida morale del Paese per trascinarlo (e trascinare loro stesse) fuori dalla secca in cui si è incagliato.

 

La riscossa dei penultimi

Di fronte ai falsi miti di progresso della cultura dominante, che sbandiera come verità acquisite affermazioni assurde o vere e proprie mostruosità logiche ed etiche, Adinolfi apre gli occhi all’enorme schiera dei penultimi, dimenticati e quasi rassegnati, incitandoli invece ad un risveglio morale e culturale combattivo perché “gli innocenti non devono andare obbligatoriamente al macello. Non più, se imparano a gridare, facendo ascoltare il loro grido”:

C’è un’altra strada rispetto a quello di conformarsi supinamente. Per i penultimi, peraltro, questa è l’unica strada che porta alla salvezza. Chi si conforma alla nuova dittatura conservatrice di chi pensa che progressismo sia varare il diritto al suicidio, assegnare allo Stato quello di ammazzarti con il pentobarbital se sei nato e a non farti nascere se per qualsiasi ragione non sei desiderato da questo mondo, costringere le donne nel circo dei mezzi diritti a lavorare sacrificando sempre di più maternità e famiglia senza consentire mai loro la pienezza di una vera scelta (questa sì è violenza, altro che femminicidi), violare qualsiasi idea di sacro per far sì che la persona umana possa essere pienamente reificata, resa del tutto uguale a una cosa, da acquistare o affittare o eliminare se ormai improduttiva, chi crede davvero che tutta questa paccottiglia ideologica sia il progresso, è semplicemente fottuto. Bastano tre mesi di Covid, a quel punto, per piegare la flebile resistenza su tutti i piani, a partire da quello economico, mandando le vittime designate al macello. Non farti fottere. (…) Per i penultimi il destino non è scritto ancora. C’è lo spazio per una grande battaglia non conformista in questo Paese.

Sono anche pagine che fanno sorridere, di tenerezza e simpatia (viene voglia di sedersi accanto a Mario bambino e mangiare con lui il cialdone dolcissimo insieme al latte macchiato che solo due volte l’anno, per le ristrettezze economiche, suo papà Ugo gli poteva offrire).

Sono soprattutto pagine intime, intrise di nostalgia – anche per una Roma non che non esiste più, come cantava Gabriella Ferri:

E li sogni sognati all’ombra d’un cielo blu, so’ ricordi der tempo bello che nun c’è più.

Sono pagine che scorrono in fretta, ma ci si accorge soltanto dopo quanto sia necessario rileggerle. Io la maggior parte le ho divorate di notte, tra una poppata e l’altra, con gli occhi desiderosi di consumare più schermo possibile prima di vedere la batteria del telefono morire.

Leggendole vien voglia di continuare ad ascoltare il racconto personale dello scrittore, di domandargli: “e poi?”. Raggiungerlo al tavolino del bar e fingersi con lui intellettuali per un giorno. Le pagine autobiografiche, che mostrano ferite mai completamente rimarginate, fanno venire i brividi e commuovere, e mostrano un lato dell’autore sconosciuto ai più, facendoci sentire Mario “fratello nel dolore” che tutti ci accomuna, come egli stesso ben scrive nell’ultimo capitolo.

E se mentre all’inizio della lettura viene da pensare che i penultimi a cui fa riferimento il titolo siano fondamentalmente altri, poi ci si accorge addentrandosi nel testo che questi penultimi siamo noi, Marione compreso.

Fonte: Aleteia