Un lavoro che continua

6 Ottobre 2021 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi
Cinque anni fa, nel giugno 2016, quando il Popolo della Famiglia esordì alle amministrative, non eleggemmo nessuno. Immediatamente ci diedero per “morti nella culla” e si alzarono voci esterne ma anche interne che tra il cattivo e il derisorio chiedevano la chiusura immediata dell’esperimento politico di un soggetto politico autonomo cristianamente ispirato che intendeva dare battaglia in particolare sui “principi non negoziabili” indicati da Papa Benedetto XVI al raduno del Partito popolare europeo del 30 marzo 2006. Ricordo un Maurizio Crozza violentissimo affibbiarmi l’epiteto di “prefisso” per lo zerovirgola ottenuto a Roma come candidato sindaco. Mi chiesi già allora perchè tutta quella attenzione cattiva verso di noi quando c’erano altri che avevano preso meno voti ed avevano storie ben più lunghe della nostra. È accaduto anche ieri con la povera Fabiola che ha ben dieci candidati sindaco votati meno di lei, che portano simboli storici come la falce e martello o la fiamma, ma per loro nessuna irrisione.
Ci volevano morti in culla e invece fummo tenaci e cominciammo ogni anno ad eleggere consiglieri comunali e municipali in tutta Italia. A ogni elezione qualche pidieffino entrava nelle istituzioni. Con la tornata del 3 e 4 ottobre 2021 stabiliamo un record per quantità e qualità degli eletti: un consigliere comunale a Napoli con quattro consiglieri municipali, un consigliere a Pianezza, uno a Busto Arsizio, uno a Gallarate, pronti a lavorare per centrare con la vittoria al ballottaggio anche il seggio a Varese. Resta il rammarico per Inverigo dove l’elezione ci sfugge per 3 preferenze e soprattutto per il consiglio regionale della Calabria dove non basta il 3.1% e il pidieffino come candidato più votato della lista unitaria con NCI perché per la legge calabrese lo sbarramento è più alto e fissato al 4%.
Questo gruppo corposo di eletti si innesta su un tessuto di pidieffini già presenti nelle istituzioni da tempo, dal Veneto all’Emilia Romagna al Lazio. Ci volevano uccidere in culla e invece oggi siamo il partito extraparlamentare più forte che esista in Italia, per quantità e qualità di eletti nelle amministrazioni locali in maggioranza come a Venezia, all’opposizione come a Modena, al lavoro per la ricostruzione di un’alternativa come a Napoli. In cinque anni abbiamo fatto questo e a ogni elezione ne mandiamo nelle istituzioni qualcuno in più. Al congresso nazionale di un anno fa abbiamo indicato l’obiettivo di andare al governo del Paese. Una forza che prende 42.711 voti in condizioni così difficili su meno di cinque milioni di schede valide, è una forza che sui trenta milioni di schede valide delle elezioni politiche vale già centinaia di migliaia di voti. Vanno fatti crescere, va proseguito il lavoro, senza lasciarsi impressionare da qualche cattiveria lanciata approfittando di uno o due risultati particolarmente negativi, dovuti alle condizioni impossibili di praticabilità politica visto il totale azzeramento mediatico che ha riguardato ad esempio a Roma i 18 candidati sindaco completamente ignorati rispetto ai 4 principali e quindi condannati scientemente e tutti all’irrilevanza.
Bisogna proseguire in un lavoro che in cinque anni ha dato frutti evidenti che mai sarebbero nati se avessimo creduto alla ferocia di Crozza e di alcuni suoi epigoni interni nel 2016. Come presidente eletto al congresso nazionale mantengo fermo il mio impegno a far crescere il PdF pronto come sempre a comprendere chi dovesse sentirsi stanco, tanto abbiamo sempre trovato i sostituti dei delusi, senza dover faticare neanche tanto. La linea è chiara e non cambia. Oggi a Roberto D’Agostino che, svolgendo il lavoro di Crozza nel 2016, mi invitava a tornare a giocare a poker abbandonando la politica ho dovuto rispondere che non posso. Non posso perché Marco Cappato ha appena consegnato 1,2 milioni di firme sull’eutanasia e se non ci fosse il Popolo della Famiglia non ci sarebbe nessuno a opporsi, nessun altro partito ha emesso un fiato contro quel referendum di morte. E non posso perché tra due settimane torneranno alla carica con il ddl Zan e abbiamo capito ormai che nei momenti decisivi in alcuni partiti delle assenze strategiche potrebbero causare una sorprendente approvazione della legge più liberticida della storia della Repubblica. Non posso perché vogliono un referendum pure su droga libera e patente lasciata in mano a chi viene trovato con addosso più dosi e se non ci fosse il Popolo della Famiglia non sapreste neanche cosa c’è scritto veramente in quel quesito e quali conseguenze comporta.
Il piccolo partito denominato Popolo della Famiglia assolve ad un ruolo storico di rappresentanza politica di un’area e di alcuni valori precisi. Lo fa con i suoi sempre crescenti eletti nelle istituzioni, lo fa con la sua elaborazione politica (leggere gli Albi cartacei de La Croce per credere), lo fa con la battaglia quotidiana sui media. Lo fa in vista dell’ormai non lontano ingresso al governo del Paese, obiettivo che resta indicato come scopo di questa intensa e faticosissima attività elettorale di cui però come pidieffini siamo orgogliosi perché in questi cinque anni tanta strada è stata fatta, con risultati tangibili che sarebbe sciocco minimizzare. Nessuno ha il numero di eletti nelle istituzioni che ha il Popolo della Famiglia, da Nord a Sud e fino alle Isole, tra i partiti che stanno fuori dal Parlamento. E in Parlamento presto entreremo per combattere anche da lì le nostre chiare e note battaglie. Che se non ci fosse il Popolo della Famiglia non combatterebbe nessuno.