E negli USA si parla di detransizione

3 Giugno 2021 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi
Il programma giornalistico d’inchiesta probabilmente più noto al mondo (un Report all’ennesima potenza per capirci) è 60 minutes. Negli Stati Uniti va in onda da 53 anni su Cbs e qualche giorno fa, grazie al coraggio della giornalista di lungo corso Lesley Stahl, ha fatto luce su come avvengono in moltissimi casi le diagnosi di “disforia di genere” e su come siano sempre di più i ragazzi disperati per aver bloccato la loro naturale pubertà iniettandosi ormoni per trasmigrare poi attraverso mutilazioni (castrazione o mastectomia) al sesso opposto. Lesley Stahl è la prima giornalista di un grande programma televisivo popolare ad avere parlato di un fenomeno in fortissima crescita negli Stati Uniti: quello della “detransizione”. La disperazione di ragazzi trans che vogliono tornare indietro, tornare al loro sesso biologico d’origine dopo aver subito le operazioni chirurgiche folli che ne hanno determinato la trasformazione, ha questo nome: detransition.
Ne scrivo oggi forse per primo in Italia perché proprio in Italia vedo affacciarsi l’alba di una stagione che negli Stati Uniti, grazie anche al lavoro di Lesley Stahl e di 60 minutes, forse sta per imboccare la via del tramonto dopo aver mietuto infinite vittime e altre ne mieterà ancora. In Italia, per favore, fermiamoci subito. Sono stato ospite di un primario programma televisivo nazionale che ha sottoposto agli ospiti un servizio su un bambino di 11 anni a cui è stata bloccata la pubertà e ora dopo due anni si procede a prepararlo al cambio di sesso, cioè all’evirazione dopo la chimica castrazione. Tutti gli ospiti, non solo l’inevitabile e onnipresente esponente del mondo trans, ma anche i commentatori di destra come quelli di sinistra hanno ostentato tranquilla comprensione e approvazione per questa pratica violenta, criminale e barbara. E in effetti l’approvazione della somministrazione della triptorelina anche ai bambini di 10 anni è arrivata tre anni fa, nel 2018, con il governo Conte 1 quando a comandare c’erano il M5S e anche la Lega. L’intero arco delle forze politiche italiane attualmente presenti in Parlamento non ha proprio le categorie per comprendere la pericolosità di queste folli procedure che vogliono trasformare in transgender anche i bambini di otto anni.
Attenti, perché la questione è tutta politica. È stata la politica statunitense a consentire l’utilizzo della triptorelina sui bambini. Donald Trump non l’ha vietata, Joe Biden ne ha fatto una bandiera della sua campagna presidenziale e non a caso, dopo aver firmato nel giorno di insediamento alla Casa Bianca sia l’atto che consente ai trans di competere nelle gare femminili che la nomina di un transgender a viceministro della Salute, ha affermato che “anche un bambino di otto anni va aiutato e non discriminato quando manifesta la disforia di genere”. Traduzione dal politichese: dategli la triptorelina, iniettategliela e bloccategli la pubertà. Ecco la ricetta esplicitamente approvata da Biden e il giornalista Tucker Carlson ha scritto che nelle classi delle scuole medie e superiori americane ormai una minorenne su tre dichiara possibili sintomi di “disforia di genere”. Una su tre. Ho tre figlie: immaginate il mio panico. Fino a cinque anni fa, scrive Carlson, casi del genere si contavano sulle dita di una mano in tutti gli Stati Uniti.
Lesley Stahl nel suo lavoro d’inchiesta per 60 minutes ha voluto approfondire la modalità con cui avviene la certificazione di disforia di genere nei giovani. Ha raccolto esplicite testimonianze a volto scoperto con nome e cognome, sia di transgender che di medici e psicologi, che hanno confermato che la procedura è ormai velocissima. Anche per chi è appena maggiorenne dalla seduta in cui si afferma davanti allo psicologo che non ci si “ritrova” più nel proprio genere al momento in cui viene praticata la castrazione o la mastectomia, passano dai tre ai quattro mesi. Mesi impiegati a bombardare il corpo di ormoni. Un medico ha spiegato a Lesley Stahl: “Abbiamo paura, se non ci dimostriamo immediatamente collaborativi con chi ci chiede di cambiare sesso, di essere denunciati e bollati dalle associazioni trans”. Che negli Stati Uniti sanno essere violentissime, chiedere alle femministe e alla scrittrice Jk Rowling informazioni al riguardo.
Le stesse violente proteste da parte delle associazioni trans sono piovute su 60 minutes e su Lesley Stahl, ma la giornalista è ben navigata e il programma ha troppa storia per esserne scalfito. La Stahl ha fatto vedere per la prima volta su una trasmissione di risonanza mondiale i volti di questi ragazzi disperati che vorrebbero tornare indietro ma che ormai non possono più. Ha intervistato una ragazza condotta in tre mesi dalla dichiarazione di disforia alla mastectomia: “Non ho mai avuto pensieri suicidi prima, dopo l’operazione non pensavo ad altro se non a farla finita”. Non è la storia di un singolo, Lesley Stahl è giornalista seria e ha citato a supporto studi svedesi (nazione non a caso “all’avanguardia” contro ogni forma di omotransfobia) che dimostrano che il rischio di suicidio è enormemente più alto tra i transgender, così come il forte consumo di alcool e droghe.
Spero che la puntata di 60 minutes andata in onda a fine maggio su Cbs e commentata sui media di tutto il mondo tranne che in Italia squarci il velo sulla sofferenza delle ragazze e dei ragazzi che chiedono la detransizione, sono persone letteralmente odiate dalla comunità trans e ferocemente discriminate da coloro che gridano contro le discriminazioni subite. Sono odiate perché sono la prova vivente dei colossali danni che sta facendo l’ideologia gender alla Generazione Z, ai nati nel terzo millennio; sono la prova vivente della superficialità con cui medici e psicologi si piegano ai diktat della nota lobby, alcuni arricchendosi sulla pelle di queste sofferenze; sono la prova vivente della fragilità del “percorso” che in realtà è fatto di ormoni frettolosamente somministrati persino ai bambini e operazioni mutilatorie compiute con sconcertante oltre che irreversibile precipitazione; sono la prova vivente che questa è una moda e non una necessità, una ideologia dilagante e non un bisogno, a cui una politica ottusa ha offerto un troppo facile lasciapassare che andrà prima o poi totalmente ritirato.
Grazie a Lesley Stahl e a 60 minutes per il coraggio e la professionalità, grazie ai “detransitioner” e ai medici intervistati che saranno esposti a un massacro ma ci hanno permesso di sapere e di capire. Fermiamoci, in Italia, prima del baratro. E speriamo di non restare da soli a lungo, in uno studio televisivo, a dover dichiarare “dolore” per aver visto un bambino di 11 anni condotto al macello gender dai suoi stessi genitori ideologizzati da teorie senza capo né coda.