Mario Adinolfi: Al Valzer di Matteo e Giorgia

28 Ottobre 2020 Mario Adinolfi
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, Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Leggo stupefatto il titolo che campeggia dopo ore e ore dai dati definitivi sulle elezioni umbre su molti autorevoli siti: “Trionfo del centrodestra”. Mai fake news fu più evidente visto che il trionfo è tutto di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, i due giovani leader della destra più forte d’Europa. Destra. Una parola che, lo capisco, nel lessico politico italiano ha sempre avuto poca cittadinanza anche perché prendeva pochi voti. Era di destra Almirante e non superò mai il 6%, era di destra Fini e si issò fino al 12%, ma da quando esiste la Repubblica italiana è sempre dal centro che è stato possibile governarla: le forze di perno del sistema sono state la Democrazia Cristiana prima, Forza Italia poi, persino quando è toccato alla sinistra i premier con l’eccezione della breve parentesi di Massimo D’Alema venivano sempre pescati dall’area di derivazione centrista e ex popolari-margheritini (Prodi, Letta, Renzi, Gentiloni). Non è ancora accaduto che un presidente del Consiglio schiettamente e evidentemente di destra sia arrivato a conquistare Palazzo Chigi.

A dar retta superficialmente al voto in Umbria, sembra che possa essere Matteo Salvini questo primo premier espresso dalle destre italiane che il centro l’hanno mandato bellamente a mare. Clamorosamente primo partito alle regionali, ha consegnato un territorio da mezzo secolo amministrato dalle sinistre alla gentile signora Tesei, ovviamente proveniente da Forza Italia ma arrivata alla corte del re leghista, perché il berlusconismo è tramontato da tempo e non attrae più. Come sempre accade in politica, Silvio era bello e sexy, ma quando vinceva. Adesso l’attraente è il Capitano. Ma anche sulla sua potenza circolano dalle fake news che sarà bene illustrare come tali.

In Umbria non c’è stato alcun “trionfo del centrodestra”, c’è stata una grandissima vittoria delle destre di questo Paese che hanno dimostrato l’inconsistenza delle sinistre che si sono raggrumate in un patto di governo posticcio che hanno provato a proporre anche come patto politico, risultando clamorosamente non credibili. La surreale “foto di Narni” con Zingaretti, Di Maio, Conte e Speranza nell’ultimo minuto utile di una campagna elettorale che anche i muri sapevano persa, è la prova della insipienza politica di questi supposti leader. Di Maio è riuscito in 18 mesi a portare il M5S dal 33% delle politiche al 17% delle europee al 7% di domenica in Umbria; Zingaretti prende schiaffi ad ogni elezione dal Friuli alla Sardegna, ora comincia a perdere le regioni rosse e se dovesse perdere l’Emilia Romagna si dovrà ritirare dalla politica, altro che crisi di governo, in più ha perso la faccia perché il suo obiettivo di andare ad elezioni politiche anticipate l’ha dovuto accantonare dopo la cinica ma brillante mossa di Renzi; Speranza è ministro della Salute in virtù della leadership di un partito, Liberi e Uguali, che si è addirittura sciolto un anno fa; Conte, poi, dopo le rivelazioni del Financial Times sui suoi conflitti di interessi è davvero appeso a un filo. Insomma, se le sinistre sono costoro, davvero c’è poco da temere, sono tutti destinati a sparire.

Ma torniamo a Salvini. Guardando i dati umbri a me sembra che il trionfalismo che come sempre attornia il Capitano, perché gli adulatori sul carro dei vincitori non mancano mai, sia in realtà fuori luogo. Rispetto alle europee di cinque mesi fa la Lega in Umbria arretra: passa dal 38.2% al 37%. E se Zingaretti che ha il Pd che va dal 24% al 22.3% è uno sconfitto, chi ha un arretramento simile non è un trionfatore. Anzi, aggiungiamo un altro dato: in termini assoluti, rispetto ai 171.458 voti ottenuti dalla Lega in Umbria il 26 maggio, Salvini ne perde il 10%, chiudendo domenica a 154.413, oltre 17mila voti in meno. Risultato assai diverso è quello di Giorgia Meloni che rispetto alle europee del 26 maggio cresce sia in termini percentuali che assoluti: passa dal 6.6% al 10.4% e da 29.551 a 43.443 voti, oltre che da quarto a terzo partito della regione. Per completezza spieghiamo che l’inconsistenza della dizione “centrodestra” è certificata dalla irrilevanza del voto a Forza Italia, che raccoglie un 5.5% completamente inutile visto che la Tesei ha vinto con venti punti di vantaggio. Insomma i berlusconiani riportano un altro brusco calo dopo politiche e europee, con il problema che si ritroveranno tra poco ad essere un partito che dovrà battagliare per superare le soglie di sbarramento. Il centrodestra non esiste più. Esistono destre in salute con ambizioni e numeri sufficienti per andare al governo del Paese, in un valzer tra Matteo e Giorgia che potrebbe avere però esiti sorprendenti.

Non credo che Salvini andrai mai a Palazzo Chigi a occupare la poltrona di presidente del Consiglio. Credo che il piano di Giorgia Meloni, che non a caso ha rifiutato qualsiasi ipotesi di correre per il Campidoglio come sindaco successore di Virginia Raggi, sia quello del cavallo di rincorsa di ogni Palio. Lascia andare avanti il più vigoroso, per approfittare alla fine della strada da lui aperta. E così al pezzo di Italia, anche ben saldo in istituzioni nazionali e sovranazionali, che ha orrore della sola idea di vedere Salvini premier, è pronta a offrirsi come alternativa femminea e come tale di per sé meno preoccupante. A mio avviso questa dinamica concorrenziale a destra tra Salvini e Meloni, oggi invisibile ai più, determinerà progressivamente passaggi politici per ora neanche immaginabili. Ma d’altronde chi avrebbe pensato tre mesi fa che Conte sarebbe diventato premier di un governo con Di Maio, Zingaretti, Fratoianni e Renzi in maggioranza? Aspettatevi di tutto. Anche che Salvini rompa prima o poi con la Meloni decidendo di correre completamente da solo, dandosi sponda proprio con l’omonimo e semirivale Renzi: è questo il bipolarismo che piacerebbe al Capitano.

E per il Popolo della Famiglia, questo che risultato è? Noi non siamo e non saremo mai un partito di destra. La nostra appartenenza al popolarismo italiano ed europeo ci rende dal punto di vista dei cliché un partito fuori moda. Ma le mode passano e le cose cambiano. Abbiamo sempre detto che facciamo politica per fare cose importanti, abbiamo sottolineato il taglio di centinaia di milioni di euro di Trump alle cliniche abortiste, ecco noi siamo in politica per fare cose così, il nostro metodo per ottenere lo stesso effetto del taglio trumpiano è il reddito di maternità, ma insomma ci è chiaro quali sono le priorità, le abbiamo stilate nel “Decalogo di Pomezia” e sintetizzate in tre espressioni: vita, famiglia, libertà educativa. Noi abbiamo visto Salvini e Meloni andare al congresso di Verona attardandosi in dichiarazioni fin davanti all’ingresso della sala che definivano l’aborto “una conquista civile” delle donne, che né l’uno né l’altra vogliono limitare in nessun modo. Trump ha intrapreso una battaglia feroce contro l’ideologia transgender, il governo di Salvini è stato quello del via libera alla triptorelina. Noi del PdF abbiamo imposto nell’agenda politica il tema del reddito di maternità come arma contro la denatalità, la Meloni si è fatta le foto in campagna elettorale con uno striscione copiando persino il nome della nostra idea, poi però in venti mesi di legislatura si è dimenticata di presentare un progetto di legge sul tema. Per inciso, per comodità, può copiare la nostra.

Sul terreno valoriale, insomma, le destre sono totalmente inaffidabili e di fatto non interessate. Il compagno della Meloni è fortemente contrario al matrimonio, teorizza le adozioni gay e vuole la liberalizzazione di tutte le droghe, anche quelle pesanti. Per carità, Giorgia dichiara l’esatto opposto, ma io faticherei a vivere con Silvia se desse interviste dichiarando di credere a una piattaforma opposta a quella del Popolo della Famiglia. Sarebbe la spia di qualcosa che non va. Sui principi non negoziabili servono fatti, non recite.

Sono convinto di conseguenza che lo spazio attualmente non occupato sia quello proprio dei valori, impossibile da presidiare sia per queste destre che per queste sinistre. Uno spazio davvero imbevuto di una capacità di elaborazione nuova (con le radici nella dottrina sociale della Chiesa) di attenzione agli ultimi che sono i poveri, i sofferenti, gli emarginati ma anche i bambini non nati e gli anziani da eutanasizzare, i neonati comprati dai gay e le donne costrette dal bisogno a affittare l’utero. Serve un civismo davvero onesto, non eticamente fragile come quello grillino pronto a servire qualsiasi padrone pur di non sparire, che sappia individuare in una giovane coppia che vuole sposarsi e fare figli, in due fratelli che vogliono rispondere alla difficoltà di trovare lavoro aprendosi una piccola attività, il futuro di un paese operoso e finalmente pronto a lavorare alla speranza, non ad essere assistito verso la disperazione con mance orribili come il reddito di cittadinanza.

Tra le destre ormai vincenti, inevitabilmente inospitali, e le sinistre becere politicamente sconfitte e eticamente marce, c’è uno spazio che potrà essere occupato da chi si dimostrerà programmaticamente capace di farlo. Ci sarà bisogno di radicalità nella proposta valoriale, ma di moderazione nel ragionamento e nella capacità di proporlo a chi è interessato alla complessità, perché i problemi complessi di soluzioni complesse e studiate da persone formate hanno bisogno.
Le formule di alleanza poi si studieranno quando sarà chiaro con qualche legge elettorale si andrà a votare, io continuo a credere nella proposte del Popolo della Famiglia che abbiamo chiamato “metodo Ruffilli”: proporzionale senza sbarramento e premio di coalizione, una sola scheda con cui scegliere da chi farsi rappresentare e conseguentemente la coalizione da cui farsi governare. Il cittadino sarebbe arbitro tra le varie proposte politiche in campo, con quella pidieffina tra queste. Mi consola rispetto all’idea che uno spazio vuoto tra queste destre e queste sinistre esista davvero, che in Umbria il 35.3% non sia andato a votare e tra i votanti il 5% abbia espresso il voto per un candidato presidente che non era dei due prevalenti schieramenti.

Fuori da queste destre ingarbugliate e queste sinistre disastrose, c’è uno spazio politico su cui lavorare. Il probabile liquefarsi degli undici milioni di voti andati al M5S alle elezioni del 4 marzo 2018 sarà intercettato da una proposta valoriale, perché valoriale era quel voto di generico disgusto verso il sistema politico tutto intero. Infatti ora finisce praticamente tutto alle destre e in queste elezioni particolari va alla Meloni e non a Salvini, perché la Meloni è apparsa assai più coerente rispetto alle piroette del leghista tra governo con Di Maio, crisi del Papeete e opposizione. Il M5S, che aveva gonfiato i suoi confini grazie al voto dei “legge e ordine”, ora da baluardo è diventato scoglio che non può arginare il naturale defluire del mare di questi consensi verso i lidi della destra. Una proposta identitariamente costruita attorno alla affascinante radicalità del cattolicesimo politico, da cento anni attraente per chi non si fida né dei rossi né dei neri, ha nel Popolo della Famiglia un seme innaffiato che è diventato piccolo arbusto e può con il tempo diventare albero i cui frutti non potranno che essere appetibili per noi e non solo per noi. Per chi voglia iscriversi invece ai carri destrorsi dei temporanei vincitori, scegliendo la strada più facile e illudendosi di avere una qualche capacità di poter incidere sulle loro decisioni, per noi nulla quaestio. La strada è più comoda rispetto al progetto da noi delineato. Ma attenzione, poiché è sport nazionale, troverete una fila lunga. Conviene attrezzarsi a costruire un proprio carro e poi, se le condizioni renderanno la cosa possibile, affiancarsi per un tratto mettendoci d’accordo su un comune traguardo.

Dopo il 26 gennaio, quando le elezioni in Emilia Romagna determineranno il destino di questa legislatura e di molti dei leader che ne sembrano protagonisti, occorrerà promuovere un tavolo in cui le forze capaci di parlare un linguaggio simile comincino a confrontarsi sul serio. Ma questa sarà un’altra storia.