Il problema del metodo sbagliato

7 Ottobre 2020 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Si discute in questi giorni dell’Assegno Unico per il Figlio, il provvedimento che il governo giallorosso aveva immaginato come sostegno alla famiglia e glorificato dopo l’approvazione del Family Act in Consiglio dei ministri l’11 giugno scorso con passaggio alla Camera a luglio senza oppositori. Sia dopo il varo in Cdm che dopo il voto di Montecitorio sono stati registrati titoli di apertura di tutti i giornali e telegiornali con il plauso unanime dell’associazionismo cattolico guidato dal Forum delle associazioni familiari che ha reso omaggio al ministro della Famiglia, Elena Bonetti, con ringraziamenti espliciti del presidente Gianluigi De Palo anche al premier Conte oltre che a Luigi Di Maio, con cui è stato trattato il provvedimento fin dalle origini.

A fare i guastafeste solo il quotidiano La Croce e il Popolo della Famiglia. Ci siamo messi a fare i conti e abbiamo scoperto che per molte famiglie l’assegno unico avrebbe costituito un danno. I nostri calcoli sono stati confermati quando si è spiegato che mancavano in effetti almeno sette miliardi di euro per far sì che nessuno ci perdesse. Dopo l’approvazione del Family Act alla Camera abbiamo sgranato gli occhi: l’abbiamo definito immediatamente una presa in giro, una scatola vuota. Si parlava di assegno senza specificare alcuna quantificazione o stanziamento. Il ministro Bonetti aveva costruito una presa in giro. Non fummo ascoltati. Anche a luglio titoloni ovunque (anche su Avvenire ovviamente) e congratulazioni dei cattolici già citati.

Ora siamo al dunque. Il governo ha pubblicato la Nadef, la Nota aggiuntiva al documento di economia e finanza. L’assegno per il figlio viene collegato ad una futuribile riforma fiscale lasciata senza data. I miliardi necessari non vengono stanziati per la famiglia, ma dirottati sulle richieste del ministro del Pd Provenzano. La Bonetti non protesta, non dice una parola. Ha lasciato che il Family Act approvato alla Camera fosse insabbiato al Senato, quattro mesi dopo il varo in Consiglio dei ministri non è neanche incardinato per una discussione in commissione, dove invece si discute la legge sull’eutanasia mentre la Camera si appresta ad approvare “con urgenza” la legge sulla omotransfobia. Per la famiglia, ancora una volta non c’è niente. Lo abbiamo denunciato con una prima pagina esplicita de La Croce. Quello che spiegavamo ai nostri lettori a giugno si è puntualmente realizzato. La presa in giro oggi è palese.

De Palo è rimasto infastidito dalla nostra prima pagina. Ha definito La Croce e il Popolo della Famiglia “profeti di sventura”. Poi ha detto che lui non ha mai scritto che il 1 gennaio 2021 ci sarebbe stato l’assegno per il figlio, ma che continua a battersi affinché il 1 gennaio 2021 ci sia questo assegno e vuole scrivere con il governo una “road map” per centrare questo obiettivo. Sveglia Gigi, la guerra è finita: hanno messo nero su bianco che l’assegno non ci sarà. Chi dice il contrario o non sa leggere o è in malafede. Non ci sarà perché il vizio di fare codazzo ai potenti certi cristiani non lo vogliono perdere. E a chi è spontaneamente codazzo non serve concedere niente. De Palo si lamenta che noi saremmo inutilmente polemici mentre lui “si spacca la schiena” per le famiglie italiane. Lo abbiamo invitato a raddrizzarla, la schiena. Ascoltando Papa Francesco nell’udienza del mercoledì che dice con chiarezza: “Servono cristiani coraggiosi che dicano no ai potenti”.

Poiché De Palo ha messo su pure una lezionicina morale secondo cui noi dovremmo evitare di fare sempre opposizione e dire quello che non va, ma dovremmo costruire ponti e fare politica come “più alto atto di carità” anziché “fare caciara”, rispondiamo ringraziando del consiglio e replicando con un altro: eviti di fare presentazioni del suo libro con il ministro della Famiglia Elena Bonetti, altrimenti il pappa e ciccia poi diventa troppo evidente. E il monito di Papa Francesco all’udienza del mercoledì sempre più struggente.

Il problema è il metodo sbagliato. Si continua a immaginare una dimensione politica priva di conflitto, una scarrozzellata su tappeti di rose piena di volemose bene. Invece la politica è esigente, richiede la accettazione della dimensione del conflitto. Poi, la buona politica dopo aver misurato inevitabilmente i rapporti di forza è il luogo della composizione degli interessi confliggenti. Se non si apprende questa basilare lezione e si vuole ottenere qualcosa da questa politica con i selfie sorridenti e tanta gentilezza, beh, si è fuori strada e per niente caritatevoli, non crediate di ottenere così i favori di Montini come di Bergoglio. In politica si parte dai no per ottenere dei sì. No alla mortificazione continua della famiglia, si a una riforma fiscale sul modello del quoziente familiare e al reddito di maternità. Si parte dal rifiuto di un’ingiustizia per ottenere giustizia e ci si fa parte nel conflitto per ottenerla. Questo è il criterio universale che anima e regola l’azione politica, si patisce un’ingiustizia, si prende coscienza dell’ingiustizia effettiva e dei soggetti che la subiscono, si costruisce una comunità che condivide che quella sia un’ingiustizia, la so conduce in battaglia quando si hanno forze sufficienti per reggerla e cambiare così le cose. Andare da coloro che sono i fautori di tale ingiustizia chiedendo gentilmente di modificarla plaudendo a ogni sospiro compiuto ha lo stesso livello di efficacia che hanno avuto i kapò nei campi di concentramento: forse loro si sono salvati da collaborazionisti, ma per salvare i sopravvissuti all’ingiustizia c’è voluto l’arrivo dei carri armati dei liberatori. Funziona sempre così la politica, da che mondo è mondo, in ogni frangente storico o geografico, il modello per ottenere qualcosa è perennemente identico.

Spero di non dover ripetere per tutta la vita questi concetti basilari a chi pensa di potermi fare pure la lezioncina dopo anni di prese in giro fatte subire alle famiglie italiane.