Ci troviamo in un cambio d’epoca

21 Settembre 2020 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Quel che la politica italiana non ha colto in questa prima elezione post-Covid è che non ci troviamo nella consueta “epoca di cambiamento” (nome che si può dare all’infinita transizione italiana aperta con la devastazione dei partiti storici ad opera di Tangentopoli e mai conclusa), qui siamo davvero davanti ad un cambiamento d’epoca. La notazione non è mia, è di Papa Francesco, che ha colto l’affacciarsi di tempi integralmente nuovi. Sembra di ascoltare il profetico richiamo di Aldo Moro al Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana nel suo discorso più bello: “Tempi nuovi s’annunciano e avanzano in fretta come non mai…”.

Davanti a quest’avanzata una leadership pur giovane e in altri frangenti brillante come quella composta da Giorgia Meloni e Matteo Salvini ha deciso di giocare tutta in difesa, con tatticismi catenacciari inadatti alla sfida. Bisognava cogliere l’occasione di quel pallone messo sul dischetto del rigore a porta quasi completamente vuota e mettere un po’ di coraggio per calciare verso la rete. Invece no. Passaggi orizzontali, tanto Toti vince e Zaia trionfa (già, Zaia, altra gatta da pelare per Salvini), nelle Marche la gente è stufa della sinistra e vedrai che “se ci dice bene vinciamo anche in Toscana e Puglia, anzi finisce proprio sette a zero”.

Quando ho ascoltato Salvini e poi Meloni parlare di “sette a zero” attraverso la PdF Radio ho spiegato che mi sembravano anche comunicativamente poco lucidi. L’asticella veniva piazzata troppo in alto e anche un buon cinque e due sarebbe visto come una sconfitta, figuriamoci questo quattro a tre con Zingaretti che corre in sala stampa a prendersi gli applausi perché il vero vincitore è lui. Ha piazzato tutte le scommesse giuste e le ha vinte, la scissione di Renzi gli ha fatto un baffo, in Puglia ride con Michele Emiliano che ha umiliato Ivan Scalfarotto battendolo per 46 a 2 (e quello aveva oltre Renzi anche Calenda e Bonino con sé). Battuto nettamente Raffaele Fitto, così come il povero Caldoro travolto dalla macchina da guerra di Vincenzo De Luca.

Se Zaia per Salvini è pure un mezzo guaio e Toti è più vicino alla Meloni che a lui, per chi può esultare il leader leghista? Ha commesso davvero l’errore di non aver letto il cambiamento d’epoca: doveva capeggiare una grande mobilitazione per il no al referendum, un no politico che doveva servire a defenestrare un governo pasticcione come quello presieduto da Giuseppe Conte. Doveva accelerare e invece ha frenato, ha provato a rassicurare dicendo che le vittorie sarebbero state solo locali e “sull’aborto devono decidere le donne”. Ha perso verve, ha fatto emergere la stanchezza, ora è un leader dimezzato dall’avanzata di Zaia e dalla crescita della Meloni che guarda con soddisfazione alle difficoltà della Lega ha far proseliti al centrosud.

Anche la Meloni non volendosi misurare con la sfida referendaria lanciata dai grillini ha perso una grande occasione. Il no al referendum è andato oltre il 30% ed è politicamente orfano perché l’unico partito che ha dato battaglia davvero per il no in Italia in questa campagna elettorale è stato il Popolo della Famiglia e noi non crediamo di valere tanto (anche se gli exit poll delle comunali ci danno in crescita, domani l’editoriale sul tema). Giorgia con Matteo potevano abbattere il governo Conte e segnare davvero il cambio d’epoca politica, ma non l’hanno saputo o potuto fare.

Si deve aprire una frase di riflessione complessiva e completamente nuova, adeguata ai tempi, che provi a mettere le basi di un’opposizione coesa all’imbroglio giallorosso che con le elezioni di ieri è sancito come unità di intenti e in prospettiva anche di obiettivi organizzativi. Zingaretti che sembrava un leader all’angolo è stato rinvigorito dalle titubanze di Salvini e Meloni. Con un M5S ridotto ai minimi termini il Pd è azionista di maggioranza della compagine di governo, che resterà in carica almeno fino alla rielezione di Mattarella all’inizio del 2022.

C’è tempo per avviare una riorganizzazione programmatica di chi si vuole opporre al progetto politico attualmente alla guida del Paese, il Popolo della Famiglia dirà la sua. Ma certo questa occasione sprecata per scarso coraggio peserà sulle spalle dei due capitani che credevano d’avere il vento in poppa e ora si ritrovano con le vele sgonfie.