In politica per militare contro l’aborto

1 Giugno 2020 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Continuano a giungere commenti orripilati per la decisione di New York di consentire l’aborto al nono mese di gravidanza. Bisogna capire però con chiarezza un punto: dal momento che ammetti la liceità della soppressione di una vita umana, se essa non è visibile ma contenuta nel ventre materno, prima o poi tutti i limiti posti all’esecuzione di quella sentenza di morte inevitabilmente cadranno. La sentenza Roe vs Wade, come sa chi ha letto il mio O Capiamo o Moriamo, fin dal 1973 ha fissato un punto giuridico: il feto è pertinenza del corpo della donna, se la donna per una qualsiasi ragione va in sofferenza può decidere di eliminarlo. Chiaramente da questo principio giuridico non può che derivare ciò che è stato deciso a New York e ciò che è stato già praticato dalle cliniche di Planned Parenthood in molti Stati degli Stati Uniti e che va sotto il nome di partial birth abortion. In sostanza si fa partorire la donna ma si tiene la testa del bambino ancora nel suo corpo per poi schiacchiarla prima che esca, rispettando così la Roe vs Wade.

La sentenza della Corte Suprema americana del 1973 ha aperto la strada alle legislazioni abortiste in tutti i paesi del mondo, da noi la legge 194 del 1978 ha posto un limite al novantesimo giorno dal concepimento, ma in moltissimi paesi ci si spinge assai più in là, non solo negli Stati Uniti: in Olanda il limite è alla ventiduesima settimana, in Svezia alla diciottesima, in Spagna alla quattordicesima. Ma, diciamoci, la verità: fondamentalmente, cosa cambia? Se cade il principio della tutela della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, l’assalto alla vita nascente come a quella morente sarà inevitabilmente sempre meno contrastato, per poi spostarsi alla vita “non degna di essere vissuta”, locuzione che si trasformerà senza perdere troppo tempo in quel che veramente questi assassini intendono, cioè “vita improduttiva”. Gli esseri umani funzionali alla dimensione produttiva della società saranno quelli la cui vita sarà tutelata, gli altri che sono scarti della società saranno progressivamente sempre più inviati verso i moderni forni crematori. Che si chiamano aborto, aborto tardivo, aborto post-nascita, suicidio assistito e eutanasia.

Nel momento che in Italia, nella cattolica Italia, sono state vendute nel 2017 seicentomila scatole di Norlevo, Levonelle e EllaOne per impedire l’annidamento dell’ovulo fecondato fino a cinque giorni dopo il rapporto sessuale, facendo diventare le pillole abortive semplici “contraccettivi d’emergenza”, che senso ha mettersi a discutere sui limiti temporali in cui l’aborto deve essere praticato? Mi pare del tutto chiaro che se si considera accettabile sopprimere una vita con un farmaco da banco addirittura venduto senza ricetta medica, prima o poi le logiche conseguenze verranno da sé perché porre il limite al nono giorno o al nono mese non ha alcun senso.

L’unica battaglia possibile in materia di aborto è quella politica. Occorre sradicare le norme e impiantarne di nuove, di segno culturale opposto. Il Popolo della Famiglia per questo si impegna in politica e lo fa come unico movimento nazionale di ispirazione cristiana che pone al centro della sua battaglia politica e della sua piattaforma programmatica la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, indicando nella denatalità la principale tragedia italiana. Anche la nostra proposta di reddito di maternità è inserita in una dimensione valoriale di varo di normative di segno culturale opposto rispetto a decenni di proposte che sulla natalità hanno fatto di tutto solo per limitarla: il reddito di maternità eviterà decine di migliaia di aborti e sarà il primo colpo mortale alla cultura della legge 194 che vede nel figlio un problema, quando un figlio è prima di tutto una ricchezza.

L’avvento di una classe politica schiettamente antiabortista è l’unica chiave possibile per evitare che l’aborto entro il terzo mese diventi come a New York l’aborto al nono mese, poi come in Gran Bretagna la soppressione di Charlie Gard e Alfie Evans.

Il piano è inclinato e la pallina rotola inevitabilmente verso il baratro a meno che non arrivi qualcuno che con un pugno lo ribalti. Quel pugno è possibile da dare, lo stanno dimostrando Donald Trump e Mike Pence negli Stati Uniti, ma anche molti politici in Europa. Ma senza una organizzazione politica che sappia costruire consenso su questa piattaforma, si resta nel territorio delle lamentazioni e dei commenti scandalizzati davanti a New York, ma New York è conseguenza inevitabile.

Nono giorno o nono mese, in realtà non c’è differenza, se ammetti quello arriverai presto o tardi a questo. Una volta immesso il principio giuridico della Roe vs Wade nel tessuto sociale, quello si espande come un agente cancerogeno e uccide sempre di più. Serve una nuova sentenza della Corte Suprema americana che dichiari illegale l’aborto e gli attuali equilibri modificati grazie a Trump fanno sognare un esito del genere nei prossimi decenni. Ma deve essere chiaro che la battaglia si fa sul fronte delle norme e dunque della politica.

Mi piacerebbe che qualcuno andasse a chiedere a Matteo Salvini se è intenzionato a mettere nella piattaforma di un suo futuro governo privo dell’apporto dei pentastellati (che, come si sa, sono tutti abortisti) la proclamazione del diritto universale a nascere con la carcerazione dei medici che, violando il giuramento di Ippocrate, dovessero provocare intenzionalmente la morte di bambini nascituri. Il Popolo della Famiglia ha questo obiettivo nel proprio programma da sempre: il diritto a nascere è un diritto primario non comprimibile, puntiamo a passare dal 70% al 100% dei medici obiettori, vogliamo strutturalmente aiutare le donne in difficoltà con il reddito di maternità, il tutto inserito in un programma organico di difesa dei diritti della persona che deriva direttamente dall’ispirazione cristiana e dalla Dottrina sociale della Chiesa. Non vedo altre strade rispetto alla ricerca di consenso nella società su questa piattaforma politica ed è la ragione per cui chiediamo firme, voti e militanza a sostegno del Popolo della Famiglia, continuando a stimolare quotidianamente su La Croce un dibattito su questi argomenti. Chiunque voglia dare operativamente una mano a questo percorso è il benvenuto perché la battaglia è in corso e chi non si arma ma si limita alla lamentazione sui social in sostanza è un disertore.

Fonte: La Croce quotidiano – Gennaio 2019