Una crescita figlia della lotta

17 Maggio 2020 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Abbiamo combattuto alcune battaglie in maniera molto netta e questo permette al Popolo della Famiglia di confermarsi come decimo partito nazionale per consensi, dopo i sei con gruppo parlamentare (M5S, Pd, Lega, FI, Fdi e LeU) e i tre che ne sono privi (Verdi, +Europa, Partito comunista). Rispetto alle europee di un anno fa la nostra percentuale è raddoppiata secondo i sondaggi e nelle urne reali delle suppletive per la Camera del 1 marzo è addirittura triplicata. Come mai?

Abbiamo affrontato l’emergenza Covid lottando fin dal 21 febbraio quando chiedemmo da soli il ritiro dello spot del ministro Speranza con Michele Mirabella che diceva “non è affatto facile il contagio”. Dicevamo in quella data “lockdown” mentre tutti i partiti dicevano “l’Italia non si ferma” e andavano di aperitivi sui Navigli. Il governo Conte non sapeva che fare e noi proponevamo subito l’helicopter money di Trump che oggi qualcuno tardivamente scopre (2.400 dollari a famiglia più 500 dollari a figlio) e sostenevamo il modello disobbediente “test and track” di Luca Zaia.

Poi le battaglie per la libertà religiosa, per le scuole non statali, per modelli di mutuo soccorso per le famiglie in difficoltà, per il sostegno alla maternità con il nostro RdM, per l’ascolto di quello che ieri ho chiamato con il cardinale Zuppi “il grido dei penultimi”. Aver lottato in maniera così netta (anche se visibile presso una percentuale ancora insufficiente della popolazione) ha prodotto la crescita del Popolo della Famiglia in questi mesi, forse non a caso da quando si è intrapresa la strada formativa della Università della Politica. Lo vediamo anche nell’attenzione “diversa” al lavoro del quotidiano La Croce e persino alle puntate di Stampa&Vangelo che in questi giorni trasmesse dalla pagina di Papa Giovanni Paolo II per la festa del centenario della nascita di Wojtyla hanno fatto registrare punte con più di trentaduemila spettatori.

Lotta sui temi concreti e mai ideologici o paranoici, comunicazione più efficace e presenza sul territorio: battendo con determinazione su questi tre tasti, il PdF si appresta a diventare una credibile forza politica che mira al governo del Paese. Le sfide del futuro saranno ancora più difficili e a mio avviso riguarderanno tre fronti precisi, oltre quello della risposta economica alla crisi terribile che dovrà essere affrontata dalle famiglie non solo nel 2020.

I tre fronti sono: la lotta contro l’espansione della banalizzazione dell’aborto portato a domicilio con la pillola Ru486 (l’antidoto a questo veleno può essere solo uno, il reddito di maternità per un rifiorire dell’Italia partendo dalla lotta alla denatalità, partendo dai figli); la lotta contro quella che Papa Francesco chiama “la cultura dello scarto” che ha portato addirittura alcuni grandi intellettuali cattolici a esaltare il modello olandese della gestione Covid, con i moduli fatti firmare agli over 70 affinché non si ricoverassero in ospedale morendo a casa per evitare di “intasare” le terapie intensive (per noi le vite di anziani, disabili, indifesi in genere sono le più preziose da difendere); la lotta per il rilancio dell’istituto del matrimonio, per il pieno rispetto e la piena attuazione dei primi tre articoli del Titolo II della Costituzione repubblicana con particolare attenzione all’articolo 31 che, recependo il dettato dell’articolo 29 che definisce la famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”, così recita: “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Semplice, chiaro come solo i padri costituenti seppero essere, tragicamente dimenticato da tutti, perfino da molti dirigenti del PdF stesso che ho verificato non conoscere questo articolo della Costituzione, figuriamoci nelle altre forze politiche.

Se a un pidieffino verrà chiesto, magari dal solito interlocutore irridente che mira a scoraggiarne l’impegno, perché spende il suo tempo nel Popolo della Famiglia, la risposta più semplice e immediata deve essere: “Per far rispettare i primi tre articoli del titolo II della Costituzione repubblicana, in particolare l’articolo 31, sai cosa dice?”. Davanti alla faccia a punto interrogativo dell’interlocutore, il pidieffino reciterà a memoria il breve testo e otterrà due risultati: instillerà nell’irridente la sensazione di essere ignorante e inadeguato all’obiettivo di scoraggiare la militanza nel Popolo della Famiglia (e il sorrisetto ecco dove se lo può ficcare); fornirà una lezione politica e un programma di azione sinteticissimo che immediatamente, identificando il PdF con chiarezza, potrà renderlo anche potenzialmente assai attrattivo. E pensare che Articolo 31 è il nome del gruppo rap più famoso d’Italia (e no, il riferimento non è all’articolo 31 della Costituzione).

In questi giorni ho partecipato a diciotto coordinamenti regionali e a due riunioni del Gruppo Giovani del PdF. Ho trovato centinaia di dirigenti del Popolo della Famiglia lieti di fare squadra, di ritrovarsi anche se solo via Zoom o Jitsi in vista delle grandi battaglie elettorali che ci attendono: le regionali, le comunali, le suppletive per il Senato in Sardegna dove dimostreremo che la percentuale ottenuta dal PdF alle suppletive per la Camera non è episodica. Non escludo poi che siano molto più vicine di quanto possiamo credere le elezioni politiche anticipate: molti interessi convergenti, di maggioranza e di opposizione, mirano dritti verso questo esito. Il Popolo della Famiglia deve farsi trovare più che pronto per l’obiettivo che è al fondo dell’azione di ogni forza politica: invadere le istituzioni con i propri eletti.

Abbiamo dimostrato in questi primi quattro anni di attività che non abbiamo l’ossessione della “poltrona”: non ce l’hanno i nostri militanti e non ce l’hanno i nostri dirigenti (chi puntava a quella, grazie a Dio, se ne è subito andato anche se predicava evidentemente solo a chiacchiere “la pazienza del contadino”). I 220mila italiani che hanno votato Popolo della Famiglia due anni fa non ci chiedevano di vincere subito, era impensabile. Ci è stato chiesto di costruire una casa dove si potesse parlare di famiglia, di vita, di bambini, di anziani, di disabili, di madri, declinandone i veri diritti non rinunciando a quell’ispirazione cristiana, popolare nel senso sturziano del termine, che in troppi non vedevano l’ora di spazzare via dall’orizzonte politico e anche culturale di questo Paese.

Il Popolo della Famiglia è oggi quella casa che è rimasta in piedi dopo la tempesta, con porte e finestre spalancate perché mira a lavorare insieme ad altri, mai arroccato nelle proprie certezze ma aperto a nuovi incontri. In particolare mi ha colpito la disponibilità al dialogo con noi di molti cardinali e vescovi con cui ho potuto dialogare anche di persona, da Agrigento a Bologna, da Imperia a Lecce, da Teramo a Cuneo. Confido davvero in un risveglio della Chiesa nel sostegno ai laici impegnati in politica, ma a quei laici che appunto hanno dimostrato di non essere interessati alla poltrona, ma a costruire un orizzonte nuovo per il bene comune. I tre mesi di emergenza Covid hanno reso chiaro alla Chiesa italiana, credo, che affidandosi alle forze politiche attualmente presenti al governo e in Parlamento, otterrà tante promesse a chiacchiere e molteplici concreti attacchi invece ai propri interessi e alla propria stessa libertà.

E ora, forza, ai remi. A una dirigente che ieri mi sospirava uno “speriamo”, io ho risposto con il consueto gusto per la frasaccia: “Lavoriamo. Sperare è una perdita di tempo”. Con il lavoro e solo con il lavoro, che in politica di chiama lotta, siamo diventati un movimento che nei consensi degli italiani stacca movimenti con molti eletti come Cambiamo del governatore Toti e arriva a valere la metà di partiti strutturati (con tanto di finanziamenti da George Soros) come +Europa della Bonino. Questo è il risultato della tenacia che è forse la caratteristica più evidente del dirigente e del militante pidieffino, perché noi siamo gente che non molla mai. E il meglio deve ancora venire. Il meglio sta per venire.