Mario Adinolfi: un voto per la famiglia in Emilia-Romagna

22 Gennaio 2020 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Le sardine mi perdoneranno o al limite mi riserveranno uno dei loro sorrisini irridenti carichi d’odio, ma io ho deciso di chiudere la campagna elettorale in cui chiedo il voto per il Popolo della Famiglia alle prossime elezioni regionali in Emilia Romagna, a San Martino in Rio. San Martino in Rio è giusto a metà strada tra le province di Reggio Emilia e di Modena, è il mio immaginario punto mediano tra Bibbiano e Massa Finalese, tra Val D’Enza e Mirandola, tra Angeli&Demoni e Veleno. Per me è il racconto di una storia, non di un episodio. Per me è il simbolo del nostro contrasto a un’ideologia mortifera, contraria alla famiglia naturale giudicata “patriarcale” e “oppressiva”. Io a San Martino in Rio pianto la nostra bandiera in cui una mamma e un papà tengono per mano i loro figli e chiedo di sventolarla il 26 gennaio, di votarne il simbolo perché sarà un voto dato con il sorriso e con il sapore di chi rende giustizia.

Di Bibbiano non vogliono che si parli, mica solo le sardine, ho visto anche il solitamente pacioso Pierluigi Bersani inalberarsi davanti a chi gli spiegava che non è il caso di provare a ridurre il caso a “un raffreddore”, invece è il racconto di un vizio ideologico che il voto del 26 gennaio, per quanto concerne il PdF, deve essere scaraventato via dalla regione Emilia Romagna, altrimenti rischia di diventare un virus e poi un cancro. Votare Popolo della Famiglia è l’antidoto al veleno.

Già, veleno. I “diavoli della Bassa”, i terribili titoli assertivi contro i genitori di sedici bambini e un povero prete. Tutti in una setta satanica che faceva sacrifici umani, decapitava neonati con la ghigliottina, costringeva i bambini a berne il sangue. Questo racconto folle e insensato venne svelato per primo da un giornalista di Repubblica, Pablo Trincia, con l’inchiesta Veleno, appunto. La psicologa di Mirandola, Valeria Donati, certificò l’esistenza degli abusi. La ginecologa Cristina Maggioni parlò di bambini sessualmente violentati “centinaia di volte”, accertò tecnicamente il dissolvimento dell’imene per via di queste violenze in bambine che vennero così strappate ai genitori che ne abusavano. Sedici bambini strappati alle famiglie. Ma era tutto falso. Una mamma si è lanciata dalla finestra, un papà è morto di crepacuore, un altro si è fatto undici anni di galera come pedofilo senza esserlo mai stato, il sacerdote raccontato dai pm come capo della banda satanica è morto d’infarto nello studio del suo avvocato dopo che il pm aveva chiesto per lui quattordici anni di carcere. Ma era innocente. Totalmente innocente. Donati e Maggioni e il centro studi Hansel e Gretel di Claudio Foti si erano inventati tutto. I bambini sono stati strappati alle famiglie tra il 1997 e il 1998. Nessuno ha mai fatto ritorno alle famiglie d’origine. I genitori hanno dovuto attendere il 2014 per ottenere giustizia e essere assolti, senza però poter riabbracciare i bambini.

Valeria Donati e Cristina Maggioni e il centro studio Hansel e Gretel, Claudio Foti e le sue due mogli hanno pagato per lo sconfinato dolore provocato nella Bassa Modenese? No, nessuno li ha toccati. Perché questo impunità? Godevano forse della protezione di qualche potere ben strutturato, magari egemone politicamente in quei territori? Pare proprio di sì perché proprio Claudio Foti e sua moglie vengono chiamati da Federica Anghinolfi a costituire in Val d’Enza, provincia di Reggio Emilia questa volta, la nuova cricca targata Hansel & Gretel che stavolta punta su nove bambini di Bibbiano. Eppure nel 2017 su Repubblica era uscita per intero l’inchiesta-denuncia di Pablo Trincia, Veleno era sulla bocca di tutti in zona. Ma da Modena ci si sposta a Reggio Emilia e a Bibbiano si torna a trafugare bambini ai genitori naturali, sempre inventando falsi abusi, con lo stessa schema ideologico a cui si aggiunge quello della lobby Lgbt incarnata dalla Anghinolfi, che per teorizzare il diritto alla omogenitorialità deve descrivere come tossico l’ambiente della famiglia naturale. Il Partito democratico, l’associazionismo Lgbt, la banda capitanata dallo psicologo senza laurea in psicologia Claudio Foti sono un unico blocco di interessi che garantisce logistica, legittimazione giuridica e denari a questo centro di interessi.

E Valeria Donati, la psicologa di Mirandola? Dopo aver strappato sedici bambini ingiustamente ai genitori di Massa Finalese continua a fare la psicologa dei servizi sociali. Dalla provincia di Modena si sposta al Centro di aiuto al bambino della provincia di Reggio Emilia e lì ottiene finanziamenti per 2.209.400 euro. Non è stata punita la Donati, è stata anzi premiata da milioni di euro di finanziamenti pubblici. Così nel 2006 può ancora intervenire nel caso di due bambini apparentemente colpite dal papà violento e finite al pronto soccorso di Guastalla, provincia di Reggio Emilia. La mamma si distacca da quel papà ma le bambine, 5 e 8 anni, non le vengono mai più ridate. E qui arriviamo al paradosso dell’orrore: la più piccola viene adottata dalla stessa Valeria Donati, la più grande da dei suoi vicini di casa. Chi firma la relazione tecnica che viene inviata al tribunale di Bologna fondamentale per l’adozione da parte della Donati, che peraltro è “single”? Federica Anghinolfi. Nel 2020 la mamma delle bambine attende ancora giustizia. Anche Cristina Maggioni, la ginecologa che si era inventata le centinaia di violenze sessuali subite dai bambini di Massa Finalese, continua a far danni: a Milano un tassista viene accusato di pedofilia sulla figlia in base alla perizia della Maggioni, che si rivelò del tutto falsa. La pm accusò tutta la cricca dei consulenti di cui faceva parte la Maggioni di essere “incompetenti o in malafede, questa è una discesa agli inferi”: lo disse perché accertò che la sola procura di Milano aveva affidato a costoro le perizie di ben 358 casi analoghi. Eppure nessuno è stato punito.

Capisco bene perché le sardine o i comunisti storici come Bersani non vogliano che la chiusura della campagna elettorale non verta attorno ai temi della famiglia in Emilia Romagna. Ma è proprio per questo che io ho scelto di consumare queste ultime ore di campagna elettorale tra Bologna, Reggio Emilia e Modena che è il triangolo delle Bermude in cui precipita la narrazione di sinistra, perché è il luogo dove si è reso evidente il frutto marcio di un’ideologia la cui radice io rintraccio in una manifestazione a piazza Maggiore convocata dalla Fgci di Massimo D’Alema nell’aprile del 1975 per esaltare la conquista da parti dei khmer rossi della capitale Phnom Penh. Scrissi allora su La Croce: “Phnom Penh, provincia di Bibbiano”. La rivoluzione comunista ferocemente antifamilista di Pol Pot in cui si sognava una palingenesi in cui nulla fosse di nessuno, neanche i figli dei genitori, ha piantato radici malsane in Emilia Romagna.

L’albero nato da quelle radici è Veleno, è Angeli&Demoni, è il lobbismo Lgbt per l’omogenitorialità, è l’eugenetica nazista del Nipt di massa per sterminare i nascituri Down introdotto da Bonaccini dal 15 gennaio 2020 a Bologna, è il saldo nati-morti colossalmente in mano ai morti perché la denatalità trionfa, è l’ideologia della droga libera e dello sballo, tanto alla fine se nulla è nostro che non lo sia neanche la coscienza di noi stessi e del valore della nostra vita.

Continuerò a chiedere il voto a favore del Popolo della Famiglia il 26 gennaio in Emilia Romagna per dire che un’altra strada è praticabile, è quella che mette la famiglia naturale al centro, la sostiene sia nel suo farsi che nel suo crescere, la irrobustisce se si fa impresa, la tutela nella fase della fatica, la assiste nei suoi elementi più deboli siano essi disabili, anziani, disoccupati, malati o depressi. Non dimentichiamo quel che è stato, perché non è stato “un raffreddore”, ma un sintomo di una malattia ben più grave a cui i cittadini emiliano-romagnoli possono ora con il loro voto porre rimedio, con buona pace di chi dice che di questi argomenti non bisogna parlare.