Mario Adinolfi: Fedez, la Lucarelli e Nilde Iotti

6 Dicembre 2019 Mario Adinolfi
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, , Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Ho letto una secchiata di bile firmata Selvaggia Lucarelli contro Fedez: “Su Instagram: viaggi, lusso, feste, amici vip, shooting, Mulino Bianco. Nella vita: minacce di sclerosi, figlio con problemi di salute, livori personali, avvocati traditori, amicizie naufragate, gravidanze difficili, psicologo. Mettiamo il ‘segui’ a semplici narrazioni”. Che è successo di preciso? Niente di decisivo, per carità, ma il rapper lombardo ha rilasciato una intervista televisiva su un canale satellitare neanche dei più noti e i riassunti che hanno iniziato a circolare sono finiti dritti sulle prime pagine dando l’idea che Fedez abbia la sclerosi multipla e abbia finalmente raccontato perché ha litigato con J-Ax e Rovazzi. In realtà il pur bravo intervistatore, Peter Gomez del Fatto Quotidiano, ha ottenuto degli accenni sia alla malattia fisica presunta che alle ragioni dello scazzo, dichiarazioni che più o meno erano già circolate in altra forma, ma stavolta l’ufficio stampa ha lavorato meglio e le ha fatte planare dritte sulle colonne più lette dei quotidiani anche paludati. E le colonne più lette sono sempre quelle del gossip, non c’è niente da fare.

Regina del gossip è senza dubbio Selvaggia Lucarelli, che da qualche tempo prova a darsi una ripulita scrivendo sul Fatto Quotidiano impegnato e manetta, quale occasione migliore per dare lustro alla già lustra testata che inondare di fiale di fiele la già amarognola intervista del direttore del sito del Fatto ad un cantante per il quale la giudice di Ballando con le stelle nutre schietta antipatia? E si sa che se stai antipatico alla Lucarelli ti prenderà a colpi di machete sui social e così ha fatto scrivendo appunto la frase che ho riportato in apertura. In realtà è stato un suo autogol, anche molti ammiratori della blogger di Civitavecchia le hanno scritto che l’aveva “fatta fuori dal vaso”. Mettere in mezzo la paura di Fedez per una possibile malattia del figlio, le sue fragilità, l’aver fatto ricorso allo psicologo per scoprire l’acqua calda affermando cioè che sui social tendiamo a mostrare di noi il lato più lieto, evitando di mettere in piazza guai e difficoltà, è sembrato a tutti un colpo veramente basso.

Posso essere arbitro equanime perché sono stato pesantemente insultato sia da Selvaggia Lucarelli che da Fedez, quindi non ho ragioni per parteggiare per l’uno o per l’altro. A tutti è evidente che la Lucarelli adotta lo stesso identico “metro Instagram” che contesta a Fedez: mette in luce i suoi successi, i suoi viaggi, i suoi momenti sereni con il figlio o con il giovane fidanzato, non ci racconta certo le malinconie e gli scazzi e le paure che probabilmente non mancano nella sua vita. Chi segue Fedez segue certo una “narrazione” edulcorata, così come fa chi segue Selvaggia Lucarelli. La vita, la verità, sono un’altra cosa.

Ma questa è una caratteristica solo dei social? Io trovo che questo luogo comune dei social come sentina di tutti i mali del mondo debba essere in qualche modo contestato. Ovvio che i social siano zeppi solo di foto in cui si sceglie il profilo migliore, vicende da cui è scisso ogni possibile dolore, bellezze che se squarciate nascondono il marcio dell’ipocrisia oppure vere e proprie falsificazioni della realtà. Ma non facciamo così ogni volta che viene costruita una “narrazione”?

Guardavo, in stretta coincidenza temporale con la diatriba Lucarelli-Fedez sulla verità al tempo dei social, la terrificante docufiction (sì, l’ufficio stampa Rai l’ha propagandata con questo orrendo termine) su Nilde Iotti impersonata da un’Anna Foglietta che va bene per fare la smutandata di Perfetti Sconosciuti o il Dopofestival di Sanremo, un po’ meno per interpretare la più austera e nota delle donne del Partito comunista italiano. Ma questa è la stagione per cui il centrosinistra ha in mente di candidare alle elezioni suppletive della Camera nel collegio che è stato dell’ex premier e attuale commissario europeo Paolo Gentiloni nientepopodimenoche Claudia Gerini o Paola Turci. E allora vale tutto, anche la Foglietta che fa la Iotti.

Ma il plauso più estremo va agli sceneggiatori, che hanno totalmente cancellato la dinamica Iotti-Montagnana, che pure poteva essere narrativamente estremamente potente. Palmiro Togliatti si invaghisce della ventisettenne deputata all’assemblea costituente mentre è deputata anche la moglie Rita Montagnana. L’intreccio lui, lei, l’altra ha avuto nella realtà del 1946-48 una potenza immensa e non basta far vedere due vignette di striscio per rendere l’idea: aveva molto più coraggio la stampa degli Anni Quaranta della potente televisione della vigilia degli Anni Venti del secolo successivo. Alla povera Foglietta sono state scritte frasi retoriche veramente bolse da pensare ancor prima che da pronunciare, mentre carne e sangue di quel conflitto terribile sono stati del tutto cancellati. Eppure Togliatti aveva nello sparuto gruppo delle deputate alla costituente del 1946 (erano appena ventuno in tutto) sia la moglie che l’amante, dalla moglie aveva avuto il figlio Aldo, Nilde Iotti fu invece costretta ad abortire. Rita Montagnana era una partigiana comunista tosta e battagliera, la Iotti faceva l’insegnante e la Resistenza l’aveva fatta di striscio dopo una formazione alla Cattolica e pure un atto di obbedienza al Partito nazionale fascista nel 1942, per poter insegnare. Montagnana era ebrea, il figlio Aldo avuto da Togliatti ebreo di conseguenza: furono entrambi mandati a Mosca dall’antisemita Stalin (chiedere consulenza a Luciana Segre), deportati di fatto, per lasciare campo libero alla storia tra Palmiro e Nilde. Che diventa presidente della Camera nel 1979 che è l’anno in cui la Montagnana muore, dopo aver ricoverato il figlio ormai schizofrenico in una struttura di Modena (non lontano da Reggio Emilia, la città della Iotti) dove morirà isolato da tutti nel 2011. Tutto questo intreccio non era clamorosamente interessante per dare spessore al racconto della forza della figura della Iotti, narrandola nella sua verità e non in quel fumettone orrendo proposto da Raiuno? Non era tutto molto, ma molto edulcorato? Che narrazione è quella che hanno proposto a milioni di ignari telespettatori?

La sola parola “narrazione” implica in sé i concetti di edulcorazione e falso. Questo non è che avvenga sui social perché questo luogo tipico della comunicazione del ventunesimo secolo sia particolarmente a rischio. Il problema nodale è che abbiamo paura della verità, non sappiamo più maneggiarla, rischiamo di finire sempre fuori strada se proviamo a seguire quella mappa, perché abbiamo perso completamente l’orientamento, non riconosciamo più i punti cardinali. Questo è il guaio di Fedez, di Selvaggia Lucarelli e pure di chi scrive le orrende fiction agiografiche su Nilde Iotti, che non avrebbe apprezzato quel pateracchio privo d’anima e disinteressato a cogliere la verità. Era mera “narrazione”, appunto. Dovendo scegliere, allora, apprezzo più la sincerità di Fedez che ha messo a nudo le sue paure, si è mostrato con le sue fragilità e contraddizioni, ha esposto i suoi rapporti umani anche nelle categorie inevitabili delle ambiguità e dei tradimenti. E magari per una volta poteva essere risparmiato dal consueto flame da social inviperito, perché siamo noi alla fine a trasformare anche questo contesto in una parodia dei duelli all’ultimo sangue. Possiamo tutti risparmiarcelo, Selvaggia Lucarelli potrebbe cominciare dando il buon esempio. Una volta, mordersi la lingua e non intingere polpastrelli e tastiera nel veleno, specie se “l’avversario” si è mostrato fragile. Non è commozione, non è compassione, è educazione.