L’11 maggio 2019 Luigi Di Maio (capo politico del M5S allora ministro dello Sviluppo economico), Paola De Micheli (vicesegretario nazionale del Pd oggi ministro delle Infrastrutture), Fabio Rampelli (vicepresidente della Camera in quota Fratelli d’Italia) e Mara Carfagna (vicepresidente della Camera in quota Forza Italia, almeno per ora) si abbracciavano in foto al presidente del Forum delle associazioni familiari promettendo sostegno a un piano di politiche pro family del valore di 16 miliardi di euro. Eravamo a 15 giorni dalle elezioni europee. Il 12 maggio Giorgia Meloni organizzava un flashmob davanti a Montecitorio con passeggini vuoti e un enorme striscione con la scritta “reddito di maternità”. Il 20 maggio Di Maio portava in Consiglio dei ministri il “decreto famiglia” con misure di immediato sostegno compreso un assegno fisso per ogni figlio e la detrazione fiscale del 19% delle spese sostenute come pannolini e latte in polvere. Sui giornali del 21 maggio il ministro della Famiglia leghista, Lorenzo Fontana, che aveva spuntato solo pochi spiccioli per il suo settore della finanziaria monstre che aveva varato reddito di cittadinanza e Quota 100, infuriato per l’invasione di campo annunciava un “piano per la famiglia” da 10 miliardi di euro. Con il cambio di governo alla prima stesura della finanziaria Italia Viva di Matteo Renzi annunciò un “Family Act” e il Pd rilanciò assicurando l’introduzione di un assegno da 240 euro per ogni figlio, molto simile al modello richiesto dal presidente del Forum delle associazioni familiari nell’incontro dell’11 maggio.
Sapete già la fine della storia. I rappresentanti di M5S, Fratelli d’Italia, Pd e Forza Italia non hanno dato alcun seguito concreto agli impegni assunti con la foto dell’11 maggio. Né Giorgia Meloni né alcun parlamentare di Fratelli d’Italia ha presentato anche solo un disegno di legge per istituire in Italia il reddito di maternità, eppure bastava copiare il progetto di legge di iniziativa popolare depositato dal Popolo della Famiglia in Corte di Cassazione e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 10 novembre 2018. Il “decreto famiglia” portato in Consiglio dei ministri da Luigi Di Maio il 20 maggio è stato affondato da Matteo Salvini che non poteva consentire che a cinque giorni dalle elezioni quel risultato fosse intestato al M5S, detenendo con il leghista Fontana il dicastero della Famiglia che a casa di risultati non ne aveva portato nessuno. Nella manovra economica dell’attuale governo Di Maio e il M5S non hanno in alcun modo proposto sostegni alla famiglia, di Family Act non ce n’è neanche l’ombra e Italia Viva ha fatto sparire il tema dalla sua agenda comunicativa, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri del Pd ha quantificato in 2.8 miliardi di euro in tre anni le risorse destinate alla famiglia, meno di un miliardo l’anno.
Destinare a 17 milioni di famiglie italiane meno di un miliardo di euro l’anno significa destinare meno di cinque euro al mese a ciascuna di esse. Poiché l’impegno è stato tutto concentrato sugli asili nido, in realtà per la stragrande maggioranza delle famiglie il sostegno assicurato da questa manovra economica varata da Pd, M5S, Italia Viva e LeU è: niente. Questa manovra è un insulto alla famiglia.
Circa 500mila famiglie italiane, il 2% del totale, avranno un aiuto sull’asilo nido. Sono famiglie che, se ricorrono all’asilo nido, sono presumibilmente con entrambi i genitori che lavorano almeno nella prevalenza dei casi. Per le famiglie numerose ridotte quasi in povertà per le quali tutti i partiti politici si erano impegnati a varare il “fattore famiglia” (quello che noi del PdF preferiamo chiamare più chiaramente “quoziente familiare”) prima delle elezioni del 4 marzo 2018, sempre nel consueto rito della foto di gruppo con il presidente del Forum con tanto di firma sul consueto documento di impegni che ormai andrebbe scritto su carta da culo, nulla è arrivato. Niente di niente, altro che riforma fiscale. Per combattere la denatalità e incentivare le giovani coppie a mettere su famiglia e fare figli, niente di niente. Eppure a chiacchiere sono tutti d’accordo nell’affermare che la peste bianca d’Italia è la tragedia chiamata culle vuote, fanno pure i flashmob con lo striscione “reddito di maternità”. Ma a chiacchiere. Quando dalle chiacchiere si deve passare alla produzione tutto si arena.
Tutto si arena e tutti sono ugualmente complici perché al governo in questi anni ci sono stati tutti, gialli e verdi, rossi e viola, bianchi e azzurri, ex comunisti e ex fascisti, populisti e popolari, tecnocrati e uno-vale-uno, li abbiamo veramente testati tutti negli ultimi dieci anni, con l’imbarazzante cronaca degli ultimi sei mesi che ho delineato nel primo paragrafo di questo articolo.
Serve un cambio di passo e di paradigma, chi crede che le politiche per la vita e per la famiglia siano la priorità necessaria per disincagliare questo Paese dalla palude in cui è affondato, deve lavorare al rafforzarsi di chi di queste politiche ha fatto il senso stesso della propria azione. Affidarle a questi partiti, tutti questi partiti, equivale ad affidare a Dracula la banca del sangue: se ne ciberà per darsi sostentamento, restituendo nulla.
Per favore, alle chiacchiere di questi politici non credete mai più. Il loro ennesimo insulto alla famiglia sia almeno di definitivo insegnamento e provochi in noi il necessario disincanto così come la spinta a sperimentare strade nuove fino ad ora considerate non degne di “voto utile”. Ma se il voto utile l’avete dato a chi è inutile rispetto alle battaglie che dite di avere a cuore, non credete d’averlo clamorosamente sprecato?
Non ripetete ancora questo tragico errore.