Mario Adinolfi: eppure il vento soffia ancora

27 Maggio 2019 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Ho condotto per un paio di stagioni a Radio Maria una trasmissione che forse qualcuno ricorda, Il mormorio di un vento leggero. Molti mi chiedevano la ragione di questo titolo considerato bizzarro, i più colti vi riconoscevano una citazione biblica dal primo libro dei Re. Elia viene invitato dal Signore a incontrarlo. E arriva la tempesta, arriva il terremoto, arriva il fuoco, ma il Signore non è nella tempesta, non è nel terremoto, non è nel fuoco. Arriva con una brezza: è nel mormorio di un vento leggero. Ci ripensavo perché nel giorno del suo addio al calcio, avvenuto il 26 maggio anniversario per i romanisti della più catastrofiche delle sconfitte, un pur triste Daniele De Rossi ricordava una scritta dei tifosi dalla fede vera: “27 maggio: eppure il vento soffia ancora”.

Siamo così un po’ frastornati dopo una sconfitta, come Popolo della Famiglia. Si è abbattuta su di noi la tempesta, abbiamo sentito il terremoto, si è scatenato il fuoco (spesso amico). Sappiamo bene che Dio non è là. Matteo Salvini ha trionfato, può presentarsi in conferenza stampa baciando quanti crocifissi vuole, ma resta sempre ostentazione di moneta falsa. Detto questo, ha dimostrare un’abilità politica similare a quella del Matteo che l’aveva preceduto come trionfatore alle europee. Quello irretì gli italiani con gli ottanta euro e ottenne il 40.8% dei voti. Salvini si è giocato alla grande la carta di quota 100 e tasse al 15%, più condoni e indicazioni securitarie su immigrazione e temi limitrofi, ottenendo lo stesso impensabile risultato: un balzo dal 17% delle politiche al doppio esatto.

Salvini (insieme alla succhiaruote Meloni) è l’unico ad avanzare in termini di voti assoluti. Tutti gli altri sono completamente traumatizzati dalla sua dimostrazione di potenza, dalla tempesta unita a terremoto: il leader leghista oltre a raddoppiare la percentuale acquisisce quasi quattro milioni di voti in più. Ne perde sei milioni e mezzo Luigi Di Maio, più di due milioni Silvio Berlusconi, centomila persino il Pd di Nicola Zingaretti che pure percentualmente avanza. Sui “piccoli” Salvini toglie due terzi dell’elettorato a CasaPound, azzera praticamente Forza Nuova e ovviamente intacca anche noi togliendoci centomila voti. Che però sarebbero stati compensati dagli ottantamila che ci sono stati sottratti dall’operazione improvvisata dell’ex ministro Mario Mauro che ha spedito al disastro una sua lista raffazzonata messa su negli ultimi giorni, con il logo Popolari per l’Italia. In molti seggi mi sono state segnalati voti con la terzina di preferenze nostra del Lazio (Adinolfi Terrana Pianeselli) data sul simbolo di Mauro. Uno spreco davvero senza senso. Controprova? Alle regionali del Piemonte, dove i Popolari non si sono presentati, il PdF con Valter Boero candidato presidente ha ottenuto un risultato migliore di quello delle europee, proprio di un paio di decimali.

Ci restano oltre 114.000 voti che significa comunque essere un movimento con un elettorato a sei cifre, dunque non trascurabile. Abbiamo dimostrato anche una certa disciplina militare nelle preferenze e mi fa piacere segnalare i primi dieci votati, ringraziando tutti i candidati pidieffini che hanno dato il massimo (per parametrarci, Federica Picchi che godeva degli appoggi di tutti i prolife “istituzionali” e che era candidata in un partito che ha preso quindici volte i nostri voti, dunque un bacino immensamente più grande del nostro e senza fuoco amico sul voto utile, ha avuto quattromila preferenze). Su 114.000 voti alla lista sono stati espressi oltre 30.000 voti di preferenza, prova di discreta capacità organizzativa. Questo, dicevamo, l’elenco dei top 10.

Mario Adinolfi 2.929
Nicola Di Matteo 2.280
Mirco De Carli 1.987
Elena Di Pietra 1.902
Fabio Nalbone 1.814
Paolo Alli 1.499
Eraldo Rizzuti 1.326
Marianna Puzo 1.047
Gabriella D’Amato 994
Maria Daniela Paglietti 905

La lezione politica che apprendiamo da queste elezioni è che resistiamo solo dove sviluppiamo radicamento territoriale. Potrei fare un lungo elenco di comuni dove la nostra militanza ha prodotto risultati superiori alla media nazionale. Il caso più eclatante è Gela dove al 5.64% delle scorse amministrative ha corrisposto un 8% abbondante alle europee, con un 2% in tutta la provincia nissena. Ora in uno dei centri più importanti della Sicilia abbiamo piantato le tende. Molto significativo anche lo sforzo del PdF piemontese per le regionali e alcuni bei risultati ottenuti alle amministrative. Ma non dobbiamo cercare pannicelli caldi consolatori.

Esiste un problema relativo alla capacità di espansione del consenso del Popolo della Famiglia. Come si fa a crescere senza avere accesso ai media, senza soldi, con l’astio militante di chi intanto è saltato sul carro dei vincitori, senza potere da gestire? Ha senso ancora spendere tempo ed energie per un soggetto politico autonomo di ispirazione cristiana chiamato Popolo della Famiglia o conviene dichiarare fallita l’esperienza e iscriversi come fanno altri ai partiti “sovranisti”?

Io credo che noi siamo altra cosa rispetto a Salvini e alla Meloni. Siamo preziosi proprio come altra cosa. Siamo quelli che stanno gridando sull’eutanasia e sul crimine giuridico che sarà compiuto il 24 settembre prossimo dalla Corte costituzionale sul suicidio assistito per non mandare in carcere Marco Cappato, così come siamo stati quelli che hanno denunciato il caso triptorelina quando l’abbiamo visto arrivare in gazzetta ufficiale con il governo complice e silente, non come hanno fatto certe cattoliche che hanno ritenuto di accorgersene solo quando è stato occasione di conflitto intra-ecclesiale (mesi dopo, come sempre). Noi arriviamo prima, noi leggiamo le norme e le spieghiamo a chi non le capisce, individuiamo i percorsi del piano inclinato e proviamo a essere ostacolo politico al realizzarsi di norme pericolose per la vita, per la famiglia, per il buonsenso. Poi abbiamo un impianto politico elaborativo, produciamo idee e proposte di legge, come ad esempio il reddito di maternità. Potremmo trasformarci certo in centro studi collegato al partito sovranista potente di turno, ma sarebbe utile?

No, il Popolo della Famiglia continua a credere che la strada maestra sia quella della politica: produzione di idee e confronto di esse con il consenso e con le difficoltà dell’organizzazione necessaria per raccoglierlo. Questa è la strada scelta dai radicali: non si sono mai iscritti al partito socialista o comunista, hanno tenuto aperta la loro baracca e alla fine loro sono ancora lì, Psi e Pci sono sepolti da decenni. Le battaglie sul costume le hanno vinte, con determinazione, combattendo per decenni arrabattandosi attorno allo zerovirgola. Così come zerovirgola fu la Lega degli Anni Ottanta e sei anni fa il M5S aveva zero parlamentari. Serve tenacia, serve tempo, serve fede, serve un impianto di proposte (che per inciso sono esattamente opposte a quelle radicali, ma forse è il tempo per noi questo di render pan per focaccia). Soprattutto serve organizzazione, serve formazione, serve forte radicamento territoriale.

Mia intenzione per settembre è mettere mano a una vera e propria università della politica itinerante che formi le nostre classi dirigenti, le selezioni, assegni ruoli e costruisca percorsi. Avremo forse qualche mese di respiro, anche se credo che il risultato del 26 maggio consegni al governo Conte solo un paio di stagioni di vita: questo scampolo di primavera, l’estate, forse l’inizio dell’autunno non di più. Le elezioni politiche sono dietro l’angolo e c’è da chiedere anche alla Chiesa italiana di darsi una mossa: basta generici appelli, ora è il tempo di organizzare e ispirare una presenza coesa di cristiani in politica, se si vuole in qualche modo limitare questa ondata sovranista condizionandola almeno sui versanti più controversi. E quei prelati che sperano che la soluzione arrivi dal Pd di Zingaretti sono completamente fuori strada. O qui si riorganizza la presenza di un soggetto autonomo di ispirazione cristiana che abbia il via libera della Chiesa o i cattolici sono destinati a sparire dalla vita pubblica. A me è estremamente chiaro: senza cattolici organizzati in un soggetto politico, il 24 settembre la Corte costituzionale depenalizzerà il suicidio assistito. Salvini e Meloni non alzeranno un solo dito per impedirlo. Diranno che la colpa è della Corte costituzionale. Se noi del Popolo della Famiglia fossimo in Parlamento depositeremmo subito una mozione per il mantenimento dell’articolo 580 dei codice penale che punisce duramente con il carcere fino a dodici anni l’aiuto al suicidio. Per questo, anche per questo, chiedevamo i voti il 26 maggio. Per questo ci dispiace di averne presi meno del previsto, ma davvero non molliamo.

Perché è il 27 maggio ora che scrivo ed eppure il vento soffia ancora.