Mario Adinolfi: Ai critici del reddito di maternità

15 Febbraio 2019 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Nel giro di poche ore, mentre noi finalmente ottenevamo spazio televisivo addirittura a Canale5 (alla faccia di Barbara D’Urso) per spiegare la nostra proposta sul reddito di maternità, dall’Emilia Romagna sono arrivati invece alcuni attacchi alla nostra idea. Inizio con il ringraziare chi critica, vuol dire che si è interrogato attorno a ciò che proponiamo e ha inteso dire la sua, passaggio che arricchisce sempre un dibattito democratico. Visto che noi abbiamo avanzato un disegno di legge di iniziativa popolare sfruttando le possibilità concesse dall’articolo 71 della Costituzione, figuriamoci se ci lamentiamo se altri soggetti utilizzano prerogative costituzionali per dire che quel che noi proponiamo è sbagliato. Come Popolo della Famiglia siamo grati per l’occasione che abbiamo di offrire la nostra risposta alle critiche.

Il primo attacco è arrivato da un quotidiano storico, la Gazzetta di Parma. Il primo numero di questo giornale è datato addirittura 1735 e siamo davvero onorati di leggere del RdM su un foglio tanto vetusto. Scrivono i parmigiani in un pezzo firmato Fabrizia Dalcò: “A questi uomini che pensano che le donne debbano stare a casa a fare le mamme, bisognerebbe ricordare che sono le ragazze le migliori a scuola e che potrebbero essere proprio le ragazze a determinare un cambio di passo nello scenario economico e sociale: devono, però, vedersi garantite pari opportunità.
Un codice per le pari opportunità, in Italia, racconta di leggi per favorire il lavoro delle donne, per incentivarne la carriera, per promuovere e diffondere la cultura della condivisione del lavoro di cura fra donne e uomini: legge dello Stato, non fantascienza. E in quest’epoca di oscurantismo si deve sopportare l’idea di un reddito di maternità che ci fa ripiombare in un tempo (non troppo lontano) in cui le donne erano equiparate a fattrici. Si rassegnino lor signori: in quest’epoca le donne hanno ruoli pubblici, si autodeterminano, fanno figli oppure no, lavorano oppure no. Ma scelgono (o forse non sempre, data la sconvolgente realtà di una parità formale, ma non sempre sostanziale)”.

Forse ispirato dalla Dalcò e dai profumi parmigiani, sul reddito di maternità ha scritto anche Alfredo Caltabiano del Forum Associazioni Familiari dell’Emilia Romagna: “Il reddito di maternità è riconosciuto solo alle mamme italiane e, se s’inizia a lavorare, cessa automaticamente. Il lavoro diventa colpa: non ti consente di accedere al reddito. Il fatto di lavorare doppio (lavoro + lavoro di mamma) non è riconosciuto, ma scoraggiato. L’aspirazione di una donna a essere mamma e lavoratrice viene disincentivata. Se una mamma lascia l’attività lavorativa per fare la “mamma in casa”, dopo 8 anni cosa succederà? Chi l’assumerà, con tutti i cambiamenti nel mercato del lavoro? Si creerebbe una nuova categoria di mamme disoccupate che, terminato il periodo del reddito, non avrà più neppure copertura previdenziale. Inoltre, in quelle famiglie in cui, magari a seguito del licenziamento del padre, lavora solo la madre (non sono casi limitati), perché il marito non può usufruire di un analogo ‘reddito di paternità’?
Ai dubbi su queste discriminazioni, peraltro di dubbia costituzionalità, si aggiunge quello sull’utilità nelle politiche per la natalità. Le mamme lavoratrici, specie quelle che hanno un figlio e ne vorrebbero un secondo, non verrebbero incentivate. E sono loro il nocciolo duro su cui investire.
Il reddito di maternità, infine, resta politica una tantum, perché copre solo i primi 8 anni di vita di un figlio. Per gli altri dieci (18 se fa l’università)? E per chi i figli li ha già messi al mondo? Non ci pare questa la soluzione adeguata al problema. Ecco perché, nei prossimi mesi, il Forum delle Associazioni Familiari presenterà la sua nuova proposta fiscale, evoluzione del Fattore Famiglia che avrà l’obiettivo di avvicinare concretamente le politiche familiari in Italia a quelle dei Paesi europei più avanzati”.

I toni di Caltabiano sono diversi e decisamente più civili, ma la sostanza è quella della Dalcò. Entrambi, secondo noi del Popolo della Famiglia, commettono un errore di base: costruire una dicotomia tra “madri lavoratrici” e “mamme in casa”. Noi vogliamo, semplicemente, annullare questa categorizzazione ingiusta. La donna che lavora in casa per la crescita dei figli e della famiglia è a tutti gli effetti una donna lavoratrice, come quella che lavora alla cassa del supermercato o fa la commessa. Non c’è un lavoro di serie A se esterno alle mura domestiche e un lavoro di serie B, da denigrare se non da considerare valorialmente negativo, se esclusivamente dedicato alla dimensione familiare. Questo apartheid deve finire. La donna che lavora in casa deve avere un riconoscimento come lavoratrice e sul piano dei diritti ad ogni donna deve essere consegnata la possibilità concreta di scegliere. Questa è la rivoluzione rappresentata dal reddito di maternità: la scelta. Un fondamentale diritto in più per le donne. E inoltre, detto da cattolico a cattolico caro Caltabiano, un fenomenale strumento contro l’aborto economico, in grado di salvare decine di migliaia di bambini l’anno dalla mannaia della legge 194.

Mi incuriosisce che sia il Forum che una femminista parmigiana usino argomenti come “maschilismo” e anzi Caltabiano si spinge più avanti avanzando dubbi di costituzionalità perché non si prevede un “reddito di paternità”. Ruolo materno e ruolo paterno sono diversi e non sovrapponibili, specie nella prima infanzia. Se neghiamo questa evidenza apriamo autostrade ai teorici della omogenitorialità, questo è un tema che provo a spiegare fin dai tempi di “Voglio la mamma”, che un certo mondo cattolico alla moda non riesce a comprendere. Caltabiano dice che vogliamo impedire alla donna di essere mamma e lavoratrice. Noi non impediamo nulla. Facciamo scegliere. E in più affermiamo che mamma è lavoratrice.

La verità è che la proposta del Popolo della Famiglia è l’unica arrivata da anni a movimentare il panorama delle concrete iniziative legislative da non tenere chiusa nel ristretto ambito della convegnite cattolica, quella malattia per cui si individua un’emergenza, si organizza un convegno, al massimo si scrive un editoriale per Avvenire e poi siamo tutti con la coscienza tranquilla di aver fatto il nostro. Noi siamo andati decisamente oltre, noi abbiamo proposto una soluzione concreta e fattibile anche domani per affrontare radicalmente i drammi della denatalità e dell’aborto, delle famiglie fragili a figlio unico, mettendo al centro un nuovo grande diritto civile per le donne. Questo agita due categorie: femministe e cattolici pigri, che temono uno strumento che aumenti la libertà della donna, la vogliono ancorata agli standard proposti dal mondo. E infatti il Forum non propone alcuna alternativa, Caltabiano scrive che “nei prossimi mesi” arriverà una proposta fiscale che ripeterà la solfa del Fattore Famiglia. Che, come è noto, ogni governo di ogni colore ha sempre e semplicemente ignorato anche perché troppo complessa. Il reddito di maternità si può far approvare per decreto legge domani mattina e altro che misura “una tantum” (scrive anche questo Caltabiano), è un reddito vero che può diventare addirittura vitalizio e cambierebbe in meglio la vita delle donne italiane.

Accettiamo le critiche ma vogliamo leggere la pars construens, le controproposte. Siamo abituati al meccanismo della pars destruens, al fuoco amico e nemico, ma confortati dal sostegno delle mamme e dei papà, dei nonni e delle nonne, dei figli perché siamo tutti almeno figli, che a centinaia di migliaia hanno votato Popolo della Famiglia e per ora a decine di migliaia si accalcate in poche settimane ai banchetti del PdF aperti con grande sacrificio dai nostri dirigenti e militanti in tutta Italia per raccogliere le firme necessarie a consegnare la proposta di legge in Parlamento. Andremo avanti e il confronto democratico continuerà, sempre sul filo tra chi fa e chi adora solo parlare.