Mario Adinolfi: Dite addio al centrodestra

11 Febbraio 2019 Mario Adinolfi
immagine mancante
Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Il centrodestra stravince le elezioni in Abruzzo nella formazione classica: Forza Italia, Lega, Alleanza Nazionale (oggi Fratelli d’Italia) e Udc. Candidato catapultato da Roma in base ad accordi prestabiliti a Roma, ma niente ferma la formula magica e il trionfo è schiacciante. Da venticinque anni, dalle elezioni politiche del 1994, questo schema ha attraversato la storia italiana riportando grandiose vittorie e per la verità poche, vere sconfitte. Bene, dopo un quarto di secolo guardate bene quel che è successo in Abruzzo e dite addio al centrodestra. Perché si è rotto il perno ed è nata una nuova egemonia.

In meno di un anno, dal 4 marzo 2018 a oggi, Matteo Salvini ha lavorato ad un solo obiettivo: emanciparsi da Silvio Berlusconi, renderlo politicamente marginale, far calare il sipario sulla sua centralità. Per questo ha accettato l’apparente ruolo subalterno nel governo gialloverde, dove la preponderanza parlamentare pentastellata poteva metterlo in difficoltà, piuttosto che puntare decisamente alla premiership di un governo di centrodestra con un incarico che avrebbe potuto pretendere soprattutto alla fine di quella logorante e infinita crisi della primavera 2018. Salvini decise che non ne poteva più quel giorno alla Vetrata del Quirinale quando Berlusconi fece l’ennesima scenetta, trovando insopportabile dover essere attore non protagonista, e all’uscita dal colloquio con Mattarella mise su un teatrino aggiustandogli il microfono in maniera affettatamente paterna e poi prendendoselo per dire peste e corna dei cinque stelle. Raccontano di una Giorgia Meloni platealmente furibonda subito dopo. Salvini rimase freddo, politicamente cattivo. E da quel giorno determinato a “far fuori il vecchio”.

L’obiettivo è compiuto e il centrodestra è finito oggi. In Abruzzo la Lega avrebbe vinto con Marsilio, cioè con Fratelli d’Italia, anche senza Berlusconi. In Abruzzo il 4 marzo la Lega aveva preso meno voti di Forza Italia, ora ne ha il triplo. Mai in una regione della circoscrizione meridionale la Lega avrebbe potuto sognare di prendere oltre il 27%, ora questo è un traguardo minimo in vista delle europee del 26 maggio. E Forza Italia, che in Abruzzo è sempre stata la principale forza politica del centrodestra, ora non riesce neanche ad avvinare la doppia cifra: il 9% finale è un viatico terrificante in vista della prossima competizione per Strasburgo.

Il fattore di crescita per Salvini è stato il colpo di genio di emanciparsi da Berlusconi accettando il rapporto apparentemente subalterno con Luigi Di Maio, per poi dominarlo in lungo e in largo. Uno che è riuscito a mettere all’angolo Umberto Bossi e Roberto Maroni nella Lega, evidentemente non ha avuto timore del giovane di Pomigliano d’Arco raccontato ormai in preda ad una crisi di nervi, con tanto di scenata al premier Giuseppe Conte nell’ultimo Consiglio dei Ministri. Salvini ha occupato la centralità della scena proprio “alla Berlusconi” e ha saccheggiato ai pentastellati anche l’aria che respirano. Così, con tutto il reddito di cittadinanza appena varata e strombazzato come propria conquista, i grillini in Abruzzo hanno dimezzato la percentuale e perso tre quarti dei voti in termini assoluti. Ecco l’altro motivo per cui potete dire addio al centrodestra: per Salvini la formula di governo con il M5S è un toccasana, che gli fa moltiplicare i voti intanto che il tempo e l’asfissia da consenso mancante non logorerà Berlusconi fino a costringerlo alla resa definitiva.

Salvini non ha puntato a essere “il delfino” di Berlusconi, perché ha sempre saputo che Berlusconi è incapace di immaginare propri eredi, per lui esiste solo Berlusconi e poi persone che “non hanno il quid”. Fini, Alfano, ora Tajani, tutti illusoriamente hanno atteso il passaggio del testimone e, quando non è avvenuto, hanno dato di matto con i primi due già spariti dai radar, il terzo costretto ad una campagna elettorale per le europee sul proprio nome che sarà per vivere o morire. Non proprio una condizione da leader. Salvini ha scelto la strada della progressiva consegna all’irrilevanza di Berlusconi stesso, scientemente puntando alla fine del centrodestra e alla nascita di una egemonia leghista che possa essere vincente facendo da sé. Serve per realizzare questo obiettivo un Carroccio che valga il 40% a livello nazionale, magari con la collaborazione del partito satellite Fratelli d’Italia. Se vai oltre il 27% in Abruzzo, questo risultato non è lontano. E anche per questo, dite addio al centrodestra nel giorno del suo più clamoroso trionfo, nel giorno di un 48%.

Criticità nella strategia salviniana? Ce ne sono molte. L’intesa di governo con il M5S ha stravolto la piattaforma di governo leghista. La pressione fiscale su famiglie e imprenditori si è oggettivamente alzata, con la liberalizzazione delle addizionali comunali e regionali, mentre il reddito di cittadinanza è una roba totalmente indigeribile al Nord. Anche la bandiera di “quota 100” è quel tipico provvedimento che veniva invocato dall’ala sinistra del Pd (era un pallino del fu ministro del Lavoro, Cesare Damiano) e dalla Cgil della Cantone, leader storica dei pensionati e pensionandi “rossi”. Si può dire che Salvini nell’azione di governo sia tornato ad essere il comunista padano delle origini, mantenendo solo l’attacco agli immigrati come dato caratteristico da leghista doc. Zero politiche per la famiglia, niente sulla disabilità, meno di niente per la scuola libera, addirittura un tentativo per fortuna abortito di raddoppiare le tasse al volontariato, nessun intervento concreto contro la denatalità, fanno del bilancio leghista di governo un cestino piuttosto scarno per offrire il picnic agli elettori il 26 maggio, in particolare agli elettori dello zoccolo duro leghista del Nord.

Ma si sa che questi sono tempi di “narrazioni” più che di fatti e Salvini come l’altro Matteo è un mago nel far apparire quel che non è. Come quell’altro Matteo alle europee farà il pieno e il traguardo del 40% non è fuori dalla sua portata. Poi inizierà la partita vera. Il grave errore tattico di Renzi fu non andare subito a elezioni politiche, fu il tentativo di forzare la mano su tutti gli organismi di garanzia fino a provare a stravolgere la Costituzione, rompendo peraltro con le basi politiche di riferimento, quelle che io chiamo la piazza bianca (attraverso la legge Cirinnà a cui i cattolici espressero ostilità con i Family Day) e la piazza rossa (attraverso il jobs act a cui l’ostilità fu espressa dalla Cgil, che conta ancora cinque milioni di iscritti). Dopo le europee vedremo cosa farà Salvini rispetto alla sua base di riferimento, anche qui composta da una piazza bianca e una piazza che anziché rossa è colorata di verde.

Di certo si apre uno spazio politico al centro, privo di soggetti in salute che sappiano rappresentare quel che nella storia politica italiana è sempre stato politicamente rappresentato: il ceto medio riflessivo composto da famiglie che richiedono attenzione ai propri diritti fondamentali con l’occhio rivolto al futuro dei propri figli. Questo spazio politico Salvini per natura non può occuparlo, lo sa e quindi sta provando in tutti i modi di cancellarlo. Non sarebbe un bene per il Paese. Ma si sa che a Salvini il bene del Paese interessa relativamente. Come per tutti i politici, prima viene il suo.