Mario Adinolfi: Lanciamo la sfida sui diritti

23 Novembre 2018 Mario Adinolfi
immagine mancante
Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

La proposta del Popolo della Famiglia sul Reddito di Maternità (RdM), oltre alle ragioni profonde e valoriali che abbiamo espresso in sede di presentazione presso la Corte di Cassazione, ha per noi un’altra valenza storica: lanciare la sfida sul tema dei diritti e dimostrare quanto siano inconsistenti (o meramente lobbistici) quelli fondati sui falsi miti di progresso che nella pubblicistica italiana vanno per la maggiore. Ho letto Monica Cirinnà sostenere la candidatura di Nicola Zingaretti a segretario del Pd affermando che “è l’uomo giusto per sostenere la stagione dei nuovi diritti”. Se penso a Zingaretti mi viene in mente il bando per l’assunzione di ginecologi al San Camillo “che non siano obiettori di coscienza”. Ecco la cifra stilistica di questi difensori dei “nuovi diritti”, oppressori in realtà dei diritti altrui, compreso il sacrosanto diritto all’obiezione di coscienza riconosciuto dalla legge con un bando che è pesantemente discriminatorio per i medici cattolici, dunque in palese violazione dell’articolo 3 della Costituzione che sancisce un diritto all’uguaglianza che non può essere violata in base alla fede religiosa. Insomma, dobbiamo avere chiaro questo quadro: i “nuovi diritti” sono in realtà falsi diritti che mirano all’oppressione di diritti naturali, popolari e costituzionali. Che vanno invece rafforzati.

L’esperienza che abbiamo fatto nei pochissimi giorni dalla presentazione del Reddito di Maternità ci hanno reso chiaro che interveniamo a piedi uniti nel terreno dei diritti, quelli che si considerano unici depositari dell’utilizzo di questa parola cominciano a avere reazioni scomposte. Ora, non c’è dubbio che il RdM fornisca alla donne un diritto che prima non avevano, una libertà in più, una opzione da esercitare o non esercitare. La proposte di legge del PdF riconosce novantaseimila euro alla donna che resta in casa a crescere il proprio bambino per i suoi primi otto anni di vita, proroga l’indennità di maternità se nascono altri figli, la rende vitalizia alla nascita del quarto figlio o se nasce un figlio disabile, in modo che sia riconosciuta alla donna che si dedica alla cura esclusiva dell’ambito familiare dello status di lavoratrice, non è più una donna di serie B il cui lavoro non viene in alcun modo riconosciuto. Questa opportunità rappresenta certamente un nuovo diritto che interessa e libera milioni di donne: le inoccupate, le disoccupate, coloro costrette dalla necessità a lavorare abbandonando i figli al quinto mese di vita, che finiscono suddivisi tra asili nido carissimi e nonni, se ci sono. Se la donna vuole continuare a lavorare ovviamente può tranquillamente continuare a farlo, quindi non viene tolto niente a nessuno, si fornisce solo alle donne una libertà in più, un diritto in più e un riconoscimento in più.

E allora perché le depositarie della parola “diritti” si sono tanto inalberate contro i diritti che deriverebbero dall’approvazione della legge sul reddito di maternità? Perché femministe e Cgil sono scattate come un sol uomo (è proprio il caso di dirlo) contro il RdM definendolo “proposta arcaica” o “legge che odia le donne”? Semplice: perché sanno che il RdM otterrebbe l’adesione entusiasta di una valanga di donne, facendo franare la terra sotto i loro piedi. Queste tiranniche depositarie della parola “diritti” hanno spiegato per decenni che erano i due i fondamentali diritti per cui le donne dovevano battersi: quello ad abortire e quello alla “emancipazione”, intesa principalmente dall’ambito familiare, dalla “schiavitù” dei figli e dal “marito padrone”. Decenni di predicazione ossessiva su questi presunti diritti hanno costruito una profonda infelicità sempre più riscontrabile nelle donne, costrette a tirare la carretta in lavori che nella stragrande maggioranza dei casi non amano, ossessionate dal decadimento del corpo per corrispondere a modelli fisicamente “performanti” da eterne giovani imposti da una certa cultura maschile, costrette a pensare a far figli sempre più tardi e a sposarsi ancora più tardi in nome della “realizzazione” e della “carriera”, con il risultato che milione di coppie vivono la difficoltà ad avere figli e sempre più spesso non ne hanno. Il reddito di maternità rende conveniente avere figli, anche per questo è rivoluzionario. Regala alle donne un diritto che non hanno mai avuto e per questo può essere definito in ogni modo ma certamente non con l’aggettivo “arcaico”. Anzi, è forse il primo esempio di diritto post-moderno, assolutamente figlio dei tempi e delle necessità della contemporaneità, prima tra tutte la tragedia denatalità che mina alle basi il futuro della nostra società.

Credo che sia giunta la stagione, in particolare per i cattolici impegnati nell’ambito pubblico e politico, di sostituire alla predicazione dei divieti (no al gender, no all’aborto, no all’eutanasia, no alle adozioni gay, no all’utero in affitto) la battaglia per i veri nuovi diritti, mettendo al centro proprio i diritti delle donne e in particolare delle donne madri. Dobbiamo coniare dal punto di vista normativo una serie di leggi e anche di prassi giurisprudenziali che chiudano la stagione degli equivoci in materia di diritti. Mi trovavo proprio poche ore fa in televisione con una parlamentare di Forza Italia che aveva presentato un progetto di legge sul diritto per i single (cioè per i gay) all’adozione dei bambini. I dati di chi conosce il pianeta adozione sono incontrovertibili: ogni anno poco più di mille bambini solo dichiarati adottabili e novemila coppie regolarmente sposate fanno richiesta di adozione. La politica non parte mai dalla concretezza delle condizioni e fa solo ideologia per ottenere visibilità. Ma se vogliamo parlare di diritti, altro che diritti dei single, qui il primo diritto è quello dei bambini che già sono stati sfortunati ad essersi ritrovati adottabili, ora gli vogliono negare pure il diritto ad avere una mamma e un papà? E del diritto delle coppie che intraprendono il percorso della domanda d’adozione, c’è il diritto di questi potenziali genitori a non essere devastati da questo percorso e ad avere risposte in tempi ragionevolmente brevi? Ecco i diritti da salvaguardare con norme apposite, altro che diritti dei gay.

Non c’è nessun diritto di gay o etero a affittare l’utero di una donna in stato di bisogno e di comprarsi il bambino. C’è il diritto di quel bambino, di quella donna a non essere considerate merci di una transazione di mercato. C’è il diritto del medico a mantenere fede al giuramento d’Ippocrate a non somministrare medicamenti che causano l’aborto o la morte. E c’è il diritto universale a nascere perché a nessun essere umano può essere negato il diritto alla vita, così come c’è il diritto del malato, del sofferente, dell’affaticato, del moribondo a essere curato. C’è una legge del 2010 sulle cure palliative ampiamente inapplicata, cinquecentomila persone in Italia ogni anno muoiono tra gravi dolori, solo il quaranta per cento sono casi oncologici, ma le cure palliative possono essere fondamentali per la dignità e la qualità della vita dei malati di Sla, di Alzheimer, di Parkinson e tantissime altre condizioni cliniche. Vogliamo dare piena applicazione (cioè risorse) allo spirito della norma del 2010 o vogliamo continuare solo a spacciare per diritto quello alla morte, con l’eutanasia e il suicidio assistito? E l’obiezione di coscienza di un medico e di un farmacista è o no un diritto da tutelare? Perché deve prevalere l’interesse della fabbrica della morte che non fa nascere bambini, quando è di bambini che abbiamo più che mai bisogno? E perché se parliamo di famiglia si parla sempre e solo delle necessità delle “famiglie arcobaleno”, quando ormai è statisticamente accertato che si sono unite civilmente grazie alla legge Cirinnà poco più di seimila coppie, pari allo 0.02% della popolazione italiana e che all’interno di queste coppie vengono cresciuti minori solo nel 2% dei casi, quando invece dei diritti di 29 milioni di persone regolarmente sposate che crescono faticosamente 15 milioni di figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti facendosi carico anche di 3.8 milioni di disabili non interessa niente a nessuno?

Il territorio su cui come Popolo della Famiglia ci vogliamo impegnare è la costruzione di una piattaforma di veri nuovi diritti che arrivano anche al diritto del minore di non vedere aggredita la sua fragilità da droga e pornografia, a quello dell’anziano ad una vecchiaia serena anche nei casi (sempre più frequenti per l’allungarsi della vita) di parziale o totale non autosufficienza, a quello delle famiglie alla libertà educativa (unico vero modo con cui estirperemo il gender dalle scuole). C’è molto lavoro da fare, molto da immaginare, c’è un mondo da mettere in crisi là fuori: quello di chi si considerava depositario della parola “diritti” e ne ha solo coniato di falsi. Noi immaginiamo diritti sempre connessi ad un reticolato di doveri e responsabilità, forse per questo sono più solidi, non destinati ad essere travolti ad ogni cambio delle mode correnti.