Mario Adinolfi: il quadriennio di Donald Trump

7 Novembre 2018 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Le elezioni di midterm del 6 novembre 2018 segnano un ulteriore tassello del mosaico di vittorie inattese targate Donald Trump. Non date retta a chi vi racconta le storielle su come i democratici siano in ripresa perché hanno ora la maggioranza alla Camera o hanno eletto la giovane socialista Ocasio Cortez o due deputate islamiche o il governatore gay del Colorado. Quelle sono, appunto, storielle. La Storia l’ha fatta Trump non solo mantenendo la maggioranza al Senato (perché la partita politica era tutta e solo sul Senato), ma ampliandola significativamente: ora non basterà più il McCain (pace all’anima sua) di turno che cambia bandiera per mettere a rischio la Casa Bianca. Ora al Senato non si muoverà foglia che Donald Trump non voglia, il tutto nonostante una campagna davvero ossessiva di tutti i media contro il presidente in carica, campagna che dura da un quadriennio, da quando cioè Trump decise di concorrere alle primarie repubblicane nel 2015 ottenendo l’ostilità immediata di tutti i giornali che lo chiamavano “the fool” (in sostanza “il buffone”) e lo accreditavano di una percentuale di consensi tra l’1% e il 2% della base repubblicana, che secondo loro sarebbe andata a votare in massa per Jeb Bush o per il giovane Rubio o per Romney. Trump li ha letteralmente fatti a pezzi, ha costretto l’establishment repubblicano a riconoscergli la nomination nell’estate 2016, poi ha sbaragliato la Clinton (e Obama) nel voto di due anni fa. Anche lì, nonostante tutti i sondaggi lo dessero per perdente e non ci fosse testata di lignaggio o rete televisiva (Fox esclusa) che non tifasse esplicitamente per i democratici.

Ma perché Trump vince sempre? Semplice. Perché gli americani gli credono. Agli americani non interessa proprio nulla delle ricette da avvocato intersex della Ocasio Cortez, dei nativi americani eletti, delle prime due donne islamiche diventate deputate, delle ricette economiche da soviet di Bernie Sanders e del governatore gay del Colorado. Questa è roba che funziona a New York, nella ricca Boston, a Los Angeles e nella liberal California. Ma l’America non è Washington, dove risiedono la maggior parte degli inviati dei giornali italiani, alcuni con l’attico a Manhattan e il loft a Beverly Hills, abituati a raccontare gli Usa come fa Giovanna Botteri per la Rai, senza mai muoversi dallo studio e sempre con un cromakey a far da finto sfondo. Se l’America la ami e la attraversi e parli con la cameriera che ti inonda di sciroppo d’acero i tuoi pancakes mattutini in un freddissimo cafè di Denver o con chi rivoltola alla griglia i tuoi hamburger in uno strano fast food di Philadelphia, se insomma ti metterai in sintonia con il proletariato quello vero, con i rednecks dell’Ohio e con le ispaniche che rifanno un milione di letti al giorno a Las Vegas parlando tra loro senza mai usare una parola d’inglese, ti accorgerai che Trump non solo ha vinto le elezioni di midterm, ma continuerà a vincere e otterrà facilmente il secondo mandato nel 2020.

Questa è la vera notizia che emerge dalle elezioni americane. Nonostante tutte le chiacchiere dei giornali sul “gradimento del presidente” e sulla presunta vittoria democratica nel midterm, la sola limpida verità è che se oggi si rivotasse per la presidenza, Trump sarebbe rieletto. Ha ottenuto il seggio senatoriale in tre Stati dove l’uscente era democratico e l’ha ottenuto lui, Trump in persona, andando a far campagna lì perché nel 2016 erano Stati che avevano votato per lui. E hanno continuato a farlo. Se questo trend si manterrà fino al 2020, visto anche che i democratici non hanno la più pallida idea su chi contrapporgli se non l’ipotesi del miliardario Bloomberg, per Trump sarà una rielezione comoda fino al 2024. Questa è la sola, unica, vera notizia che emerge dalle elezioni midterm del 6 aprile 2018.

Perché Trump vince? Semplice: la gente con lui al governo sta meglio. I provvedimenti incisivi sono stati pochi, ma con effetti monstre. Il Tax Cuts and Jobs Act del 2017 ha prodotto un colossale taglio di tasse per famiglie e imprese. Le famiglie si sono ritrovate improvvisamente più ricche, il salario minimo orario è salito a 15 dollari e moltissime grandi aziende hanno riconosciuto bonus da migliaia di dollari ai propri dipendenti. Il governo prevedeva una crescita del 3% e ora questa crescita è oltre il 4%, Wall Street ha macinato un record dopo l’altro, la disoccupazione è scesa a livelli statisticamente non rilevabili. Il 3% che viene assegnato è una quota non rilevante, negli Stati Uniti chiunque abbia seriamente voglia di lavorare, trova lavoro. I tecnici parlano unanimemente di condizione di “piena occupazione”. La politica dei dazi, l’uscita da accordi commerciali come quelli del Nafta, l’applicazione della dottrina “America First” ha prodotto un surplus del 9% della bilancia commerciale, con un’impennata delle esportazioni: ancora una volta gli esperti che dicevano che con la politica dei dazi gli Stati Uniti avrebbero subito ritorsioni che avrebbero pesato sulla bilancia commerciale, non avevano capito niente. Trump ha solo difeso i prodotti americani applicando condizioni di reciprocità dove subiva danni pesanti. In sostanza due anni di dottrina Trump hanno prodotto meno tasse, famiglie e imprese più ricche, crescita quadrupla rispetto a quella italiana, piena occupazione, impennata della produzione industriale e dell’export. E vi chiedete il perché Trump da quattro anni non perde mai?

In Italia il governo gialloverde ha fatto una finanziaria enorme da 36 miliardi, meramente elettorale e non strutturale, che mantiene i livelli di crescita attorno all’uno per cento e non incide sulla disoccupazione, che nel segmento giovanile è di molto superiore al 30%, con punte del 50% al Sud. Invece di rispondere con politiche miranti alla crescita, si è scelto di battere la strada dell’assistenza varando il reddito di cittadinanza. Il carico fiscale su famiglie e imprese resta invariato, mentre Trump ha operato tagli della pressione fiscale per 1.500 miliardi di dollari. Avete capito bene: 1.500 miliardi di dollari. L’operazione ha prodotto una impennata del deficit, come accade pure con la manovra economica gialloverde. La differenza è che le politiche trumpiane hanno generato anche un picco di crescita da economia cinese e dunque il rapporto debito/pil resta trenta punti inferiore rispetto a quello italiano.

Due anni di governo di Donald Trump hanno innescato un ciclo economico virtuoso (e tralascio l’operato sul piano dei temi etici, dal defund per le attività internazionali delle cliniche abortiste di Planned Parenthood, alle nomine di due giudici della Corte Suprema pro-life che modificheranno la giurisprudenza americana in materia per i prossimi decenni) che fa star meglio i cittadini americani. Che lo vogliono presidente nonostante ciò che dicono di lui tv e giornali di New York, di Washington e di Los Angeles. Perché l’America non è a New York, a Washington e a Los Angeles. Questo presidente che sarà ricordato per anomalia e grandezza alla stregua di Ronald Reagan, con i suoi enormi personali difetti e le sue bizzarrie, è in realtà uno dei più grandi statisti di cui gli Stati Uniti d’America abbiano potuto mai beneficiare. I litigiosi e imbarazzanti governanti italiani, sempre alla ricerca di un consenso da rincorrere con politiche viziose e non virtuose, prendano esempio e imparino qualcosa. Altrimenti con le sole chiacchiere a caro prezzo che hanno messo sul piatto non andranno lontani e saranno travolti, esattamente come è accaduto a coloro che li hanno preceduti. Le chiacchiere da selfie su instagram e da diretta Facebook non valgono nulla. Servono fatti e in Italia se ne sono visti pochi e quei pochi pure sbagliati. In America, tra i frizzi e i lazzi di chi crede di capire e invece capisce davvero poco, “the fool” da quattro anni partendo da uno striminzito 1% continua a vincere. Perché le elezioni del midterm americano hanno avuto un uomo solo al comando, la sua zazzera è di biondo tinta, il suo nome è Donald Trump.