Mario Adinolfi: Perchè ci troviamo a Camaldoli

21 Settembre 2018 Mario Adinolfi
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, Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Cinquanta intellettuali cattolici il 18 luglio del 1943, dopo anni in cui la presenza politica dei cattolici in Italia era stata dissolta, si ritrovarono all’eremo di Camaldoli per immaginare una ri-partenza, un ri-cominciare. C’era stata l’esperienza del Partito popolare ma era durata pochissimi anni, fondata nel 1919 da don Luigi Sturzo, vittima di una scissione già nel 1922 con quelli che volevano orbitare davanti all’uomo forte di turno attratti, come spesso accade in politica, da chi detiene il potere. Finirono ovviamente per candidarsi con il listone fascista quegli scissionisti e nessuno conserva memoria del loro nome, eppure furono parlamentari e ministri fascisti dopo essere stati fondatori del Ppi con Sturzo. Il Ppi resistette, con enorme fatica perché don Luigi già nel 1923 fu costretto alle dimissioni da segretario, poi nel 1924 all’esilio. Nuovo segretario fu Alcide De Gasperi, i voti calarono da un milione a seicentomila, il listone fascista stravinse, si impose come regime e sciolse il Ppi. De Gasperi finì arrestato con la moglie, si fece anni di galera. Tutti i dati sembravano dire che fosse un perdente, che avesse ragione chi era andato a fare il ministro con Benito Mussolini o il senatore fascista. Poi arrivò Camaldoli.

Era il luglio del 1943 e la storia stava per ribaltarsi. Non in maniera serena, ma sotto le bombe, tra le macerie, con i nazisti a occupare un’Italia divisa. Tanto insicura quell’Italia che i cinquanta di Camaldoli andarono via, il Codice che sarebbe rimasto nella storia lo scrissero in quindici, tra cui il ventiquattrenne Giulio Andreotti, il ventisettenne Aldo Moro, il poco più che trentenne Giorgio La Pira, sotto la guida politica del più anziano Alcide De Gasperi. Dei quattro La Pira è il solo a non essere diventato presidente del Consiglio, ma è un venerabile della Chiesa cattolica. De Gasperi “appena” un servo di Dio. Tutti loro, come Sturzo d’altronde, si sono distinti nella lotta al comunismo e al nazifascismo, ai totalitarismi degli “uomini forti” di vario colore e ideologia. Il Ppi nasce per fronteggiare l’ondata socialista nel “biennio rosso” 1919-21, con l’Italia che rischiava di essere sedotta dalla neonata rivoluzione dei soviet; la Dc alle elezioni del 1948 salva l’Italia dal dover orbitare attorno al blocco di Mosca; più modestamente nel 1994 il rinato Ppi di Mino Martinazzoli evita la vittoria che sembrava annunciata della “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto permettendo con il suo 11% la rinascita dell’idea di un soggetto terzo cristianamente ispirato che non si ritrovasse nei grandi blocchi di sinistra e di destra. Si tratta di una strada originale, per certi versi solo italiana (nota infatti nei libri di politologia internazionale come “l’anomalia italiana”), per cui a un popolo profondamente legato alla religione cattolica corrisponde un soggetto politico che non rinuncia a rifarsi esplicitamente alla Dottrina sociale della Chiesa.

Noi ci ritroviamo a Camaldoli perché il Popolo della Famiglia è l’erede di questa anomalia italiana che ha un secolo di storia e non si è esaurita. Si credette esaurita la storia del Ppi quando Sturzo fu costretto alle dimissioni, quando fu esiliato, quando De Gasperi fu arrestato e il partito sciolto. Lo stesso si è scritto quando Moro fu ucciso dai comunisti combattenti delle Brigate Rosse e la Dc prima perse la presidenza del Consiglio (1981) poi finì per sciogliersi (1993). Infine si dice oggi che i cattolici italiani devono accettare l’irrilevanza politica certificata da questa diciottesima legislatura repubblicana, dove per la prima volta non esiste neanche un gruppo parlamentare che faccia esplicito riferimento all’ispirazione cristiana. Ci è stato spiegato che la società è irrimediabilmente secolarizzata e i temi che stanno particolarmente a cuore a noi (natalità, cultura della vita, politiche pro-family, principi non negoziabili) siano marginali e ormai di retroguardia. Sono proprio le macerie che avevano davanti agli occhi i cinquanta di Camaldoli che noi osserviamo oggi, sono macerie più morali che fisiche, ma la desolazione pare essere la stessa. Per questo noi ci ritroviamo a Camaldoli.

Su La Croce da molti anni ormai spieghiamo quanto sia determinante la politica nella costruzione di una morale sociale, di un costume, che riguarderà noi, i nostri figli, i figli dei nostri figli. La politica fa le leggi e come si è visto con la disgraziatissima diciassettesima legislatura repubblicana, con legge Cirinnà e divorzio breve e biotestamento si sono poste le basi per una trasformazione della società italiana. Io le chiamo “leggi-premessa”, sono solo basi a cui seguiranno le norme definitive: alla legge Cirinnà che è costretta a negare persino nel suo testo che una unione omosessuale sia una famiglia (fa infatti riferimento la norma all’articolo 2 della Costituzione, quello sulle “formazioni sociali particolari”, non all’articolo 29 che definisce la famiglia proprio secondo le indicazioni del Codice di Camaldoli) farà seguito la legge sul matrimonio omosessuale e sulla liceità dell’utero in affitto; alla legge sul divorzio breve farà seguito quella sul divorzio lampo senza separazione e sui patti prematrimoniali, che distruggerà definitivamente l’istituto del matrimonio trasformandolo in un banale contratto a termine; alla legge sul biotestamento farà seguito la legge sull’eutanasia, con Roberto Fico che ha già benevolmente ricevuto Marco Cappato e si è fatto consegnare centotrentamila firme a sostegno di una legge di iniziativa popolare per istituirla. C’è l’attacco all’obiezione di coscienza per i medici antiabortisti (il ministro Grillo li ha nel mirino da sempre), la liberalizzazione della prescrivibilità della triptorelina per bloccare la pubertà dei “bambini trans”, la pubblicità autorizzata dal governo alla pillola abortiva dei cinque giorni dopo, la distribuzione gratuita dei contraccettivi in Lombardia: tutte scelte prese dalla politica. La politica sta trasformando drammaticamente la nostra società in una direzione opposta a quella cristianamente ispirata e i cristiani non fanno proprio nulla. Perché? Sono spariti i cristiani dalla società?

No, in Italia, in quella che io considero la splendida “anomalia italiana”, se vogliamo analizzare i dati sulla vitalità del cristianesimo abbiamo ancora qualcosa di cui andare fieri. Partiamo dai numeri certificati da numerosi studi convergenti che riguardano i cattolici. Nonostante la indubbia secolarizzazione della società, sette milioni di italiani vanno ancora tutte le settimane a messa in venticinquemila diverse chiese disseminate sul territorio nazionale. Nessuno ha una rete così capillare e diffusa. Il 4 marzo scorso oltre il 50% dei quei sette milioni ha votato Pd e M5S, cioè i portatori delle politiche più evidenti contro la vita e contro la famiglia. Qualcosa non quadra. Lo dico sempre: il problema non è la società che si è secolarizzata, il problema siamo noi e il nostro rapporto con la verità, non riusciamo a farlo collimare più sul piano politico. Ci siamo dunque prima frantumati, poi dispersi, poi diventati irrilevanti. Il 4 marzo un po’ più del 3% di quei sette milioni di cattolici che vanno a messa tutte le domeniche hanno votato Popolo della Famiglia, cioè l’unico movimento che ha fatto delle istanze pro-life e della dottrina sociale della Chiesa motivo fondante di ispirazione per la propria proposta politica. Abbiamo compiuto un errore di prospettiva, abbiamo confuso questo 3% nel nostro mondo di riferimento con un 3% nazionale, che non abbiamo in realtà ottenuto. Volevano che, di conseguenza, diventassimo macerie anche noi, ci adeguassimo al contesto. Invece noi non siamo macerie. Noi siamo a Camaldoli. E in più di cinquanta.

Siamo talmente tanti che i pur capienti saloni dell’eremo non ci avrebbero potuti contenere tutti, abbiamo dovuto trovare spazi adeguati alle centinaia di militanti che stanno per arrivare in zona: Camaldoli è comune di Poppi e ringraziamo dunque gli amici di Poppi che ci hanno messo a disposizione due sale meravigliose per i lavori del sabato e della domenica, nel pomeriggio della quale poi ci sposteremo all’eremo per essere guidati dai monaci benedettini alla visita di questo posto ispiratore. Dopo un’estate travagliata (tranquilli, lo è stata per tutti i partiti limitrofi a quello dell’uomo forte di turno, è la fisiologia della politica, chi è molto potente attrae i più deboli: per questo nei sondaggi vedete crollare Fratelli d’Italia, Forza Italia e persino CasaPound, ora appaiata a noi, che invece siamo dati stabili) è davvero emozionante per me, che sul piano personale sono stato ferito da alcuni voltafaccia compiuti peraltro con ragioni penose e metodo umanamente vile, notare che gli amici che parteciperanno a questa terza festa nazionale de La Croce sono più della già bellissima festa dell’anno scorso a Riolo.

Il PdF riceverà da Camaldoli, grazie anche alla formula dell’intervento libero e dunque al contributo di tutti, la spinta per le sfide difficili che ci riguardano. Avremo le elezioni regionali a febbraio in Piemonte, Abruzzo, Basilicata e Sardegna, a seguire il 26 maggio voteremo per le europee. Il gruppo dirigente nazionale sarà affiancato in questo compito enorme da 220 membri di un coordinamento nazionale che si riunirà per la prima volta a Roma il 17 ottobre, per ricevere la ratifica dell’assemblea nazionale del movimento che terremo alle 12.30, dopo aver partecipato all’udienza del Papa in uno spazio di piazza San Pietro a noi riservato. Incontrerò personalmente Francesco in quella occasione con una ristretta delegazione di dirigenti del PdF e chiederemo una benedizione per il nostro difficile operato. Uomini di Chiesa hanno inviato messaggi anche per la festa di Camaldoli, sarò particolarmente lieto di leggere quello che ho appena ricevuto dall’arcivescovo Crepaldi. L’arcivescovo Ganswein, grazie al quale ho ottenuto la possibilità di incontro con il Papa, ha recentemente detto alla Camera che dopo questo “11 settembre della Chiesa” dovuto alle macchie che riguardano il clero, è il momento in cui devono emergere i laici coraggiosi. Apparteniamo noi a questa categoria? Abbiamo un dito del coraggio di chi si è ritrovato settantacinque anni fa a Camaldoli?

Usciremo dalla festa nazionale de La Croce con un manifesto politico e un documento di impegni, frutto di due giorni di lavoro. Non sarà evidentemente un “nuovo Codice di Camaldoli”, ma di certo sarà una mappa per realizzare un obiettivo chiaro che in questi primi anni di battaglia abbiamo affinato: dare all’Italia un soggetto politico autonomo cristianamente ispirato, nel solco di una storia centenaria, pronto a raccogliere le enormi sfide del nostro tempo. Che non sono se andare in pensione a 62 o a 67 anni, ma se i nostri figli saranno imbevuti o no di una cultura che li porterà a disfarsi dei loro genitori quando saranno considerati non più “produttivi”, se i nostri nipoti penseranno o no che è un orrore comprarsi un figlio e privarlo della mamma, se riusciremo o no a spiegare che la principale tragedia del nostro paese è che non nascono più figli, allora dobbiamo utilizzare la politica per far sì che non se ne uccidano novantamila l’anno, che sono necessari per far ripartire l’Italia e uscire da questo clima cupo di rabbia e morte che ci circonda ovunque. La nostra sfida è vincere spiegando il fascino della complessità, perché la vita e la politica ridotte a slogan da social sono uranio impoverito, la bomba nucleare della banalizzazione che rischia di ucciderci tutti perché smetteremo di pensare. Invece noi su internet, sì persino sui social, continuiamo a scrivere articoli così, lunghi e complessi, per spiegare cosa facciamo. Sperando che qualcuno, sempre qualcuno in più, scopra la voglia di unirsi a questa testuggine che sta procedendo per obiettivi precisi e concreti nella sua traversata del deserto. Non diremo mai che è facile, spiegheremo che è un percorso complesso. Per fortuna i moralmente fragili li abbiamo persi già per strada. Ora è tempo per chi ha gambe e fiato, per chi sa cosa aspettarsi e vuole dare qualcosa, non c’è nulla da prendere. Ma c’è una strada da percorrere insieme, come tre quarti di secolo fa, lì tra i boschi di Camaldoli.