Mario Adinolfi: Sulla cruciale questione delle armi

18 Luglio 2018 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Mi dichiaro subito non pregiudizialmente contrario alla riforma dell’articolo 52 del codice penale, appena atterrata in Parlamento. Poiché però la modifica delle norme sulla legittima difesa è elemento normativo carico di premesse e conseguenze, vorrei poter approfondire l’argomento senza iscrivermi immediatamente alla solita logica curvarola dello schieramento per ragioni ideologiche.

La Lega propone una riforma all’americana: se entri nella mia proprietà con intenti ostili ho il diritto di spararti. Negli Stati Uniti è considerata questione di assoluto buonsenso, principio intangibile, coronato dal ben noto Secondo Emendamento della Costituzione a stelle e strisce, per cui ogni cittadino ha diritto a possedere un’arma. Anzi, per stare al testo del dettato costituzionale “il diritto dei cittadini di tenere e portare armi non potrà essere infranto”. Chiaro, limpido, cristallino. Tu fai irruzione nel mio appartamento? Io ti uccido e nessuno può neanche incriminarmi. La Lega propone una riforma dell’articolo 52 del codice penale che va in questa direzione.

Sono subito comparsi dissidi con il M5S, che invece non sembra entusiasta del provvedimento. Intanto il ministro Bonafede avoca a sé la competenza in materia, l’ha fatto ufficialmente in Parlamento dove ha altresì dichiarato: “In nessun modo la realizzazione dell’obiettivo riformatore, per come concepito dalla maggioranza, potrà portare alla liberalizzazione delle armi in Italia, la detenzione e il porto delle quali risultano disciplinate da disposizioni normative rigorose sulle quali il Governo non avverte alcuna esigenza di intervenire, trattandosi di leggi che rappresentano, peraltro, strumenti irrinunciabili nella lotta alla criminalità”.

Salvini in realtà, essendo a capo del ministero dell’Interno, può dare una bella sterzata in favore della concessione più lasca del porto d’armi a chiunque ne faccia richiesta per “legittima difesa” e indubbiamente se dovesse essere approvata una legge che consente di sparare a chi entra ostile in casa tua, come si può poi negare al cittadino l’arma necessaria a mettere in pratica quel che la legge consente? Le conseguenze appaiono, insomma, assolutamente logiche e avrebbe ragione Salvini a rivendicarle.

Come dicevo, non sono pregiudizialmente contrario alla riforma dell’articolo 52 del codice penale, ma appunto mi preoccupano le conseguenze. E le premesse, come l’intesa stretta l’11 febbraio scorso nel corso della fiera degli armaioli Hit Show a Vicenza oltre che con il comitato D-477 (una sorta di National Rifle Association, la potentissima associazione americana di possessori di armi, ovviamente in salsa nostrana) con tanto di patto firmato da Salvini “sul mio onore”, che non racconta niente di buono. Di certo comprendo anche che il comparto della produzione delle armi in Italia sia un comparto industrialmente rilevante, siamo notoriamente i più importanti produttori d’Europa e tra i più grandi al mondo. Ma non mi sento completamente a mio agio sapendo che il governo del nostro paese sigla patti scambiando voti con la tutela degli interessi della lobby delle armi.

Ci sono poi alcuni rilievi molto pragmatici a cui da anni faccio riferimento nei miei interventi pubblici sull’argomento dove anche in televisione mi sono sentito rimbrottare: “Vorrei vedere se ti entrassero in casa tre rapinatori e minacciassero tua moglie e le tue figlie…”. Obiezione chiara, logica. Comporta come conseguenza l’ammissione che se avessi a disposizione un’arma l’userei ben volentieri per proteggere la mia famiglia dagli assalitori della nostra abitazione. Il punto che io ho sempre provato a sottolineare è questo: siamo sicuri che dal confronto armato tra un cittadino non abituato al conflitto e una banda di criminali, la spunterà il cittadino? O piuttosto il tentativo di autodifesa armata del cittadino non aumenta le probabilità che la sopraffazione da parte dei violenti si concluda con esiti cruenti se non tragici?

Sapete bene che quando vengo attraversato dagli interrogativi, cerco conforto nei numeri. E i numeri sono chiari, li conosco bene trascorrendo ogni anno svariati mesi negli Stati Uniti, avendo dunque nel sangue quella cultura peraltro inscalfibile rispetto al principio ferreo della legittima difesa, carico di premesse e conseguenze. Le premesse sono i colossali interessi della lobby delle armi, visto che in media ogni cittadino americano ne possiede una: 310 milioni di abitanti negli Stati Uniti, 300 milioni di armi in circolazione. Chiunque ha diritto a possederne per legittima difesa, persino i minori possono usarle per esempio nelle battute di caccia, se accompagnati da adulti. E veniamo alle conseguenze. Ultimo dato disponibile, relativo al 2016: oltre 38.000 morti negli Stati Uniti per armi da fuoco, il 60% sono suicidi, il 2.7% sono omicidi in stato di legittima difesa, tutto il resto omicidi tout-court e terrificanti stragi di cui la cronaca americana è piena. Confronto con l’Italia: da noi nel 2016 ci sono stati 397 omicidi, l’arma più usata è quella da taglio, in 130 casi sono omicidi causati da arma da fuoco. Un migliaio i suicidi con lo stesso metodo, su circa 4.300. Le armi che circolano in Italia, comprese quelle in mano alla criminalità organizzata dunque illegali, sono stimate in 7 milioni. Forse non servivano i numeri, bastava il buonsenso: in una nazione dove la media è un’arma da fuoco per ogni cittadino, i morti da arma da fuoco sono più di 100 al giorno. In Italia dove c’è un arma ogni nove abitanti, i morti sono 3 al giorno. E l’Italia è la maglia nera d’Europa, per via della diffusione di mafia, camorra e ndrangheta. Negli altri Paesi europei i dati sono ancora inferiori.

Particolare rilevanza ha per me il tema del suicidio, anche per via di dolorosi trascorsi personali. Come Popolo della Famiglia ci siamo battuti in maniera molto netta contro il testamento biologico, anticamera all’eutanasia all’italiana. Anche in quella normativa abbiamo analizzato premesse e conseguenze, oltre alla lettera del testo. Abbandonare l’ammalato, il ferito, l’addolorato senza voce alla soppressione ci è sembrato e ci sembra un atto disumano. Qualche giorno fa a Salvini si è rivolto Luca Di Bartolomei, il figlio di Agostino, indimenticata capitano della Roma che si è ucciso con un colpo di pistola. Secondo Luca la presenza di un’arma da fuoco ha reso definitivo un momento di buio del padre, certamente depresso. Salvini ha risposto dicendo che chi vuole suicidarsi trova il modo per farlo, anche senza armi da fuoco a disposizione. Per la precisione ha detto: “Si butta giù da quinto piano”. Vero, chi è estremamente determinato a farlo lo fa, come Mario Monicelli, come mia sorella. Ma i numeri ci dicono che se ci sono armi da fuoco in ogni casa, come negli Stati Uniti, ci sono ventunomila suicidi con l’uso di queste; in Italia ce ne sono mille. Come per l’eutanasia, se uno strumento di morte viene messo a disposizione, nel momento della difficoltà e del dolore, in un tratto di strada buio che pare essere senza luce, questo sarà usato. In assenza di uno strumento immediato, certo, altri possono essere trovati, ma per vie più complesse. Il punto è che la morte non va agevolata, va combattuta. Questa è la cultura della vita che portiamo avanti come Popolo della Famiglia e vale per l’aborto e l’eutanasia come per la pena di morte e le diffusione delle armi: li combattiamo perché gli strumenti che uccidono le persone non possono che essere combattuti da chi si proclama pro-life. Altrimenti diventa macchietta, ossimoro, mero esecutore ideologico di ordini altrui.

Mi auguro che la discussione attorno alla riforma dell’articolo 52 del codice penale si allarghi a premesse e conseguenze, con il necessario approfondimento. Se la legittima difesa deve essere riformata, lo si faccia in maniera accorta e intelligente, altrimenti consegneremo il nostro Paese ad altri strumenti mortiferi di cui sinceramente non si sente il bisogno.