Mario Adinolfi: Una strada per liberi e forti

2 Luglio 2018 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Mettetevi comodi, non sarò breve. Mentre guardavo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Vincenzo Spadafora, sfilare garrulo al Pompei Pride sorreggendo lo striscione al fianco di Monica Cirinnà ammetto di aver rimpianto di non essere riuscito a portare immediatamente al primo colpo il Popolo della Famiglia in Parlamento e di conseguenza al governo, perché certo saremmo stati determinanti per la costruzione di una maggioranza. Il rimpianto derivava dal fatto che se il PdF fosse stato al governo e uno Spadafora avesse osato andare con i profanatori al Santuario della Madonna di Pompei, semplicemente, il minuto dopo il governo non ci sarebbe stato più. Ergo, ancor più semplicemente, con il PdF determinante al governo nessuno Spadafora avrebbe osato andare con i profanatori al Santuario della Madonna di Pompei.

Nei giorni in cui c’è stato e c’è chi insistentemente afferma che il Popolo della Famiglia non serve più a niente non avendolo condotto immediatamente al seggio parlamentare, dunque meglio acconciarsi a sostenere i nuovi potenti e il governo del Trentennio, io resto sempre più convinto del progetto pidieffino e provo a delinearlo per quello che è, per quello per cui l’abbiamo fondato nel marzo 2016, per quello per cui credo che abbia ancora lo stesso inalterato senso ventotto mesi dopo e nel futuro a venire.

Ripartiamo dalle definizioni. Cos’è il Popolo della Famiglia? Il Popolo della Famiglia è un soggetto politico autonomo di ispirazione cristiana, nel solco della storia del cattolicesimo politico avviato in Italia da don Luigi Sturzo, con base programmatica nella dottrina sociale della Chiesa. Non è dunque un movimento di destra né un movimento di sinistra, pone al centro della sua azione la difesa dei principi essenziali e quindi non negoziabili, oggi assaltati dai falsi miti di progresso: diritto alla vita, tutela della famiglia naturale, libertà di educazione. Chi milita nel Popolo della Famiglia considera fondamentali i temi che ruotano attorno alle questioni chiave dell’esistenza: nascita, amore, morte. Sono temi antropologici determinanti, non di secondo piano. Conta di più per ogni persona se ti faranno nascere, se avrai diritto a una mamma e a un papà, se non ti trasformeranno in una cosa acquistabile e quindi eliminabile, se non sarai ucciso al primo affacciarsi delle inevitabili fragilità umane, rispetto a se andrai in pensione a 63 o a 65 anni. Oggi, nel tempo in cui quattro nascituri vedono la vita e uno viene ucciso, in cui ci vogliono convincere che tutto è famiglia affinché niente lo sia, in cui ci spiegano il grande valore della libertà di suicidarsi e nel caso siamo impossibilitati a farlo perché comatosi ci ammazzano con la fame e con la sete, un soggetto politico posto a difesa della dignità della persona umana dal concepimento fino alla morte naturale, nelle sue relazioni familiari fondamentali, è non solo necessario ma anche estremamente moderno. Innova la tradizione novecentesca del popolarismo sturziano, inserendolo nel dibattito difficile e sostanzialmente tragico del ventunesimo secolo.

Accanto alla piattaforma valoriale fondamentale il Popolo della Famiglia non ha però tralasciato le altre questioni programmatiche, si occupa della vita concreta delle persone e ha varato una serie di proposte originali a partire dal reddito di maternità per contrastare le piaghe concrete della vita di tutti i giorni, con l’obiettivo di renderla più agevole in particolare per il contesto familiare. Da questo sono derivati prima i 26 punti di orientamento programmatico del 2016 e poi il programma elettorale per le politiche del 4 marzo 2018, analitico e ancora consultabile. Il nostro movimento si è poi caratterizzato anche per una elaborazione continua di temi e proposte, raccolte ogni giorno sul quotidiano La Croce, in libri presentati in tutta Italia, nel lavoro anche interattivo compiuto con la Pdf Tv.

Poiché siamo movimento politico ci siamo dovuti occupare, necessariamente, anche di organizzazione. In ogni angolo d’Italia sono spuntati circoli del Popolo della Famiglia che sono stati coordinati per rispondere all’esigenza di concorrere a ben cinque campagne elettorali in due anni tra le varie tornate amministrative e le politiche. Il lavoro è stato compiuto con totale abnegazione e ho dedicato personalmente oltre 400 giornate in questi 28 mesi per incontrare fisicamente i circoli, aiutare nella continua attività di raccolta firme, fornire le technicalities a persone che mai in vita loro avevano fatto politica. Perché un soggetto politico è questo: elaborazione di idee, proposta, organizzazione per la raccolta del consenso su questa proposta. Un lavoro che è stato compiuto da decine di migliaia di militanti in tutta Italia e che ci ha portato al traguardo di raccogliere 220mila voti alle elezioni politiche del 4 marzo 2018, sottolineati da analisti acuti come Aldo Cazzullo del Corriere della Sera come “il più sorprendente risultato” delle elezioni stesse.

Abbiamo insomma fatto nascere da zero quel che in alcuni ambienti si teorizzava da tempo, su cui si chiacchierava, si facevano interminabili seminari: un soggetto politico autonomo continuatore dell’esperienza del popolarismo sturziano. Lo abbiamo fatto nascere ovunque, da Torino a Palermo, da Padova a Catanzaro. In ogni singolo comune di questo paese una pattuglia di cittadini ha votato il 4 marzo per il Popolo della Famiglia. Un ciuffettino d’erba è spuntato ovunque, grazie al sacrificio e al lavoro di decine di migliaia di militanti, i famosi 43.455 che hanno firmato le nostre liste elettorali per consentirne la presentazione.

Con 220mila voti non siamo entrati in Parlamento, in termini percentuali ci siamo fermati allo 0.7% e qui per qualcuno è subentrata la frustrazione. In pochi, per la verità, perché la stragrande maggioranza dei militanti si è subito rimessa al lavoro per il traguardo successivo, le elezioni amministrative del 10 giugno. Si trattava di una tappa a cui ho guardato con grande apprensione, perché si trattava di trarre numeri determinanti. Mi ponevo personalmente la domanda: ma dopo il risultato del 4 marzo, il PdF sarà attraversato più dalla volontà di considerare quel risultato un trampolino di lancio o più dalla delusione di non essere entrati in Parlamento? La risposta è arrivata inequivocabile con i numeri: a Roma Guido Pianeselli ci portava all’1.83% nel municipio rosso di Eur-Garbatella, a Terni Diego IO Esposito ci faceva arrivare all’1.5%, a Imperia Nino Iraci all’1.7% (e a Camogli al 3.5%), a Imola Mirko De Carli con Filippo Martini all’1.2%, a Pontecagnano Raffaele Adinolfi all’1.6%, a Gravina di Catania Nicola Di Matteo al 2.22%, a Grottammare al 5.3% ed evito di sottolineare per non essere accusato di trionfalismo i dati di Feisoglio (37%), Roure (19%) e Venegono (9%).

In tutte le regioni avevamo piazze importanti dove misurarci e la risposta è stata una tenuta del consenso, in alcune realtà con una crescita rilevante e misurabile dovuta alla mobilitazione massima di dirigenti e militanti. A questo punto è diventato chiaro che il Popolo della Famiglia non si sarebbe dissolto da sé. L’invito a “fare come Giuliano Ferrara e Magdi Allam”, cioè a rompere le righe e rientrare in buon ordine, non poteva essere raccolto. Sono partiti dei meccanismi che erano stati ingenuamente annunciati da un articolo sul blog di Libertà e Persona (Francesco Agnoli, per capirci), che spiegavano come “dopo il 10 giugno sarebbe accaduto qualcosa di clamoroso nel PdF”. Insomma, chi aveva lavorato per mesi per far del male al Popolo della Famiglia, di fronte alla tenuta del movimento anche nella fase post-elettorale, facendo leva sulla frustrazione di chi non era riuscito a entrare subito in Parlamento utilizzando il PdF come taxi alla bisogna, ha cercato di produrre la dissoluzione del PdF minandolo dall’interno.

Così chi aveva passato la campagna elettorale a parlarci del colibrì, della pazienza del contadino, della cattedrale da costruire operando per secoli, ha improvvisamente scelto il giornale degli haters del PdF per spiegare che il PdF non serve più a niente, che bisogna sostenere il “governo di tregua per i cattolici” (quello che manda Spadafora al Pompei Pride), che la cattedrale non si può costruire più perché mancano le pietre e i monaci, insultando in un colpo solo le nostre idee e i militanti pidieffini che invece anche il 10 giugno hanno dimostrato di essere lì con sacrificio a edificarla. Con lui hanno preso congedo il fratello (inevitabile, ma mi è dispiaciuto molto, Massimiliano Amato ha la mia stima), un veronese che ha speso gli ultimi tre mesi a dirmi che dovevo cacciare De Carli, una che abbiamo candidato in tre regioni e in tutte e tre ho dovuto difendere i dirigenti dai suoi furibondi e insensati insulti (Di Matteo in Sicilia, Andreas Hofer in Trentino, Angela Ciconte in Calabria) e Alberto Agus in Sardegna. In una lettera piuttosto confusa costoro attaccano me con accuse tirate fuori a casaccio a copertura della verità: andava tutto bene finché speravano di trarre qualcosa immediatamente dall’esperienza nel PdF (sul metodo con cui hanno preteso le capolisture alle politiche, non hanno avuto nulla da eccepire), ora improvvisamente hanno scoperto l’antipatico despota. Non vale la pena di rispondere.

Visto che il capofila del gruppetto di transfughi dichiara di conoscere bene la storia di don Luigi Sturzo e del Partito popolare italiano, saprà anche che quando Mussolini andò al governo il Ppi subì una scissione. Ci fu chi immediatamente attratto dal potere voleva spiegare a Sturzo che bisognava sostenere il fascismo e così il Ppi tre anni dopo la fondazione vide un manipolo di finti popolari trasformarsi in fascisti, attratti dal governo che sarebbe stato del Ventennio. Gli scissionisti fecero per pochi mesi un loro piccolo raggruppamento, poi semplicemente si fecero assorbire nelle liste del Partito nazionale fascista. Sturzo resistette sulle sue posizioni e sbaglia il teorizzatore pentito della “pazienza del contadino” a dire che i tempi di Sturzo erano più facili. Erano estremamente più difficili, ma Sturzo ebbe coraggio e mantenne fede a quel suo appello che era per i “liberi e forti”, si dimostrò conseguente a quelle parole, libero e forte per davvero, non a chiacchiere, non a comizi cangianti. Quindi quelli finirono nel PnF, Sturzo fu caldamente invitato dalle autorità ecclesiastiche ad andarsene dall’Italia. Finì in esilio. Ma aveva ragione lui, ebbe pazienza e la cattedrale venne al fine edificata, nell’Italia repubblicana don Luigi Sturzo poté rientrare da senatore a vita, di quegli altri che s’affannarono a sostenere il vincitore del Ventennio nessuno ricorda neanche il nome.

Noi ci mettiamo sulla strada dei liberi e forti e per fortuna siamo tanti. Lo diciamo chiaramente: chi punta alla dissoluzione del Popolo della Famiglia non la otterrà, non per un puntiglio personale ma perché è un soggetto politico più che mai necessario e 220mila militanti ci chiedono di andare avanti anche a dispetto di qualche ambizione frustrata che cerca paraventi politici per giustificarsi. Noi andiamo avanti cercando anche di imparare dagli errori, avviando ora una gestione assai più collegiale del movimento con un organismo di coordinamento che raccolga le esperienze più importanti del territorio, confrontandoci come abbiamo sempre fatto ma con una linea chiara ed inequivocabile, votata in cinque consecutive assemblee nazionali del PdF: noi siamo radicalmente alternativi a Pd e M5S, siamo contrari agli inciuci, ne evidenzieremo le contraddizioni perché siamo nati per svolgere un ruolo preciso nell’agone politico.

Il 9 luglio prossimo Donald Trump nominerà il nuovo giudice della Corte Suprema americana, si modificheranno per decenni equilibri che nei decenni scorsi hanno prodotto il lento scivolamento della società statunitense verso una cultura diametralmente opposta ai desiderata dei pro-family e dei pro-life. A un certo punto un signore che non è certo un cristiano modello, partendo totalmente irriso e dato per senza speranza fin dalle primarie repubblicane, con la tenacia e la sagacia politica di consiglieri come Steve Bannon è arrivato alla Casa Bianca. Ora il 9 luglio quella vittoria politica che veniva data per impossibile genererà una vittoria dei pro-life che darà effetti per generazioni.

Sul Popolo della Famiglia oggi nessuno scommette se non i militanti del Popolo della Famiglia, i liberi e forti del terzo millennio, i “nascisti” direbbe Fabio Torriero. Tutti puntano forte su Matteo Salvini e il segretario nazionale che tre mesi fa diceva nei comizi “votare Lega è immorale” oggi da ex segretario nazionale scrive su La Verità che “ogni sottrazione di voti” alla Lega sarebbe immorale. Viene annunciata la costituzione di un’associazione nuova composta da transfughi del PdF collaterale alla Lega, come gli scissionisti del Ppi di Sturzo puntavano sul governante del Ventennio loro puntano su quello del Trentennio. C’è persino una tristissima logica in tutto questo, una troppo umana logica. Il PdF, consacrato al Cuore Immacolato di Maria, la logica troppo umana e triste la rifiuta. Preferisce predisporsi in laboriosa attesa di un tempo in cui le illusioni diventeranno delusione e la pazienza del contadino risulterà vincente rispetto all’impazienza dell’ambizioso frustrato.

Il Popolo della Famiglia resterà solido a presidio di ogni territorio. Oggi Marco Fasulo e la moglie Valeria hanno annunciato la presenza della lista del PdF alle regionali in Basilicata del prossimo autunno. Lo stesso faremo in Abruzzo. Poi prepareremo con calma le elezioni europee. Dimostreremo allora che il progetto del PdF è solido e in crescita, che nuovi mattoni e nuovi monaci sono arrivati per costruire la cattedrale. Il solo soggetto autonomo erede del popolarismo sturziano continuerà ad esistere ed è il Popolo della Famiglia, che discuterà della direzione da prendere per il proprio futuro fin dalla festa de La Croce a Camaldoli a settembre. Prima verrà nominato e si riunirà il coordinamento nazionale in rappresentanza del territorio e non un solo angolo di questo Paese sarà lasciato privo di una presenza di pidieffini liberi e forti.