Mario Adinolfi: Ragionare sulla disfatta a sinistra

25 Giugno 2018 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Qualcuno forse ricorda l’11 maggio 2016, giorno in cui alla Camera il governo guidato da Matteo Renzi ottenne il voto definitivo di approvazione della legge Cirinnà. Bene, quel giorno oltre al governo del Paese il centrosinistra deteneva il controllo di 18 regioni su 20 e di tutte le grandi città. Era un giorno di due anni fa, non di un secolo fa. Domenica 24 giugno 2018 la sinistra ha perso persino il controllo di Imola, che ha conosciuto solo amministrazioni rosse dal 1945: settantatré anni di incontrastato dominio finiti nella polvere, dopo aver perso oltre al governo nazionale anche tutte le grandi città da Roma a Torino, alle regioni in cui si è votato dal Friuli al Molise, avendo ridotto il Partito Democratico che all’elezione nazionale antecedente a quell’11 maggio 2016 aveva ottenuto il 41% dei voti, ad un Pd marginalissimo oggi soffocato nell’irrilevanza del suo 18%.

Divorzio breve, unioni gay e legge sul biotestamento sono i “risultati concreti” che Renzi e Gentiloni in campagna elettorale hanno sbandierato per provare a dare sostanza alla loro azione di governo, lo hanno ripetuto senza sosta, ci sono decine di interviste in cui Maria Elena Boschi dichiara: “Vero, potevamo fare di più, ma abbiamo approvato le unioni gay, un passo fondamentale di civiltà che da trent’anni il mondo Lgbt provava ad ottenere”. Esatto, per trent’anni tutti i governi hanno respinto la proposte che a partire da quella del 1987 targata Franco Grillini venivano depositate in Parlamento.

Mi si dice sempre: se la sinistra, a livello italiano e anche a livello internazionale, perde ovunque la colpa non è dei “diritti civili” ma del suo non saper rispondere ai nuovi bisogni della cittadinanza. Posso essere parzialmente d’accordo. Ma dopo aver visto crollare persino Pisa, Massa e Siena spero davvero che qualcuno a sinistra riconosca quel che non si può non riconoscere: essersi ancorati a programmi che hanno identificato la sinistra con la piattaforma dei falsi diritti civili, aver scelto come priorità il “matrimonio” gay contro ventinove milioni di italiani regolarmente sposati a cui non è stato dato nulla, avere parlamentari ed esponenti di primo piano che sbandierano il loro diritto a affittare gli uteri delle donne e acquistarne i figli, essere ossessionati dall’eutanasia anziché dalla cura, aver reso debolissima la tenuta della famiglia introducendo il divorzio breve e proponendo quello lampo, ha avuto che conseguenza un elemento evidente: non ha contribuito ad aumentare i consensi.

Ecco, potete anche dire che le ragioni della crisi della sinistra sono altre, ma certo non potete negare che provare a “modernizzare” la società scegliendo il versante antipopolare di una cultura contro la famiglia naturale e contro la vita, in cui le “conquiste” sono nuove modalità per abortire bambini e uccidere sofferenti, bene questo tipo di piattaforma non porta voti. E, date retta, non porta lontano: la sinistra deve profondamente ripensare se stessa e sganciarsi definitivamente da quell’essere diventata una succursale ideologica del partito radicale, altrimenti le percentuali di approdo saranno quelle del partito radicale e la lucidità quella conseguente ad una bella fumata di marijuana libera consumata in gruppo.

La piattaforma Lgbt, quella nichilista abortista e eutanasica, l’idea di coltivare ogni stramba forma di falsa “autodeterminazione” trasformando semplicemente i desideri in diritti conduce al disastro. Potrei anche esserne felice, ho previsto questi esiti fin da quando scrissi Voglio la mamma con tanto di copertina rossa e sottotitolo che cominciava con le parole “da sinistra”, ma so che la sinistra domina cultura e comunicazione di questo paese, ne governa ancora i tic linguistici e vorrei davvero liberare almeno l’Italia da questa dittatura di un politically correct che gli italiani con il loro voto dal 4 marzo ad oggi hanno platealmente gettato nel cestino. La sinistra cambi, cambino i toni dei giornali, i programmi in televisione, gli sceneggiatori delle fiction, le ambizioni dei Saviano, i direttori dei settimanali che distinguono l’umanità in “Uomini e no”, proponendo come uomo il nero sindacalista intonato ai vecchi mantra terzomondialisti, negando invece persino la caratteristica di umanità all’avversario politico. Ecco, quando ho visto Marco Damilano, peraltro un cattolico, sbandierare quella copertina dell’Espresso oggettivamente oscena, pur non essendo io un fan di Salvini (e questo mi viene persino rimproverato) non ho potuto non pensare che il vecchio strumento stalinista accecava definitivamente chi stava producendo disastri uno dopo l’altro, senza riconoscerli. Negare addirittura la caratteristica di essere umano all’avversario politico è, alla fine, figlio di quella visione antropologica che è al fondo del collasso della sinistra italiana: aver trasformato le persone in cose, acquistabili con l’utero in affitto, eliminabili con l’eutanasia, negate della loro dimensione di umanità se avversari politici, in un triste passato uccisi a colpi di pistola e di mitraglietta (quanti cattolici sono morti, per via di questa confusione ideologica, nella stagione del terrorismo).

Noi come Popolo della Famiglia lo abbiamo promesso e siamo stati conseguenti: la sinistra principale responsabile delle leggi contro il matrimonio, contro la vita, contro la famiglia stessa andava abbattuta democraticamente e così è stato. Abbiamo dato il nostro contributo a questo risultato con i 219.645 voti raccolti il 4 marzo sul simbolo del PdF e siamo stati parte attiva anche nelle vittorie ai ballottaggi di domenica 24 giugno, a Imperia e a Terni, a Massa e in qualche modo anche a Imola, dove il nostro candidato autonomo alla carica di sindaco lo abbiamo tolto al Pd, provocando l’avvio della frana che dopo tre quarti di secolo ha chiuso una storia che è stata, appunto, di pensiero unico.

D’accordo, forse le ragioni della fine della sinistra in Italia e nel mondo saranno pure altre. Ma di certo l’adesione alla piattaforma lgbt, antifamilista, dei cosiddetti “nuovi diritti civili” non ha portato un voto. Anzi, probabilmente, ne ha tolti. I padri di quel voto dell’11 maggio 2016 sono stati tutti pesantemente puniti. In due anni, spazzati via ovunque. Evidentemente, ce ne siamo ricordati. L’Italia respira. Ora la sinistra rifletta, su se stessa e sulle proprie priorità, abbandonando la strada dei falsi diritti e riavvicinandosi ai diritti veri degli ultimi, degli indifesi: il bambino che non può gridare il suo desiderio di nascere, la donna in stato di bisogno che non deve essere costretta ad affittare il proprio utero, l’affaticato e l’addolorato e il malato che devono essere curati e non uccisi, la famiglia in difficoltà che deve essere aiutata a restare unita e non a frantumarsi, i giovani che devono poter coltivare l’idea che il valore più alto e bello, il progetto che più conta nella loro vita è amarsi e avere dei figli, con la maternità al centro di un sostegno pubblico che sconfigga la denatalità, cancellando l’aborto. Stare invece con due ricchi architetti gay che vogliono tanto comprarsi un bambino affittando l’utero di una donna povera, stare con chi vuole uccidere i malati e i vecchi, non porta lontano.