Mario Adinolfi: I paralleli che ci offre la storia

18 Aprile 2018 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Il 18 aprile 1948 il 92% degli italiani aventi diritto al voto si recò alle urne per salvare l’Italia dal rischio comunista affidandosi alla Democrazia Cristiana e ad Alcide De Gasperi. Il 18 aprile 2018 la prima legislatura in cui non ci sono più gruppi parlamentari di chiara ispirazione cristiana si apre con un presidente della Repubblica cattolico che si affida a un presidente del Senato cattolico per vedere se i pentastellati anticristiani che rimuovo i manifesti prolife dalle città in cui governano sono disponibili o no a guidare un nuovo governo rimuovendo il veto che riguarda il nome forte dell’ultimo quarto di secolo, quello di Silvio Berlusconi. La storia ci offre spesso interessanti paralleli, occorre ragionarci, perché come scriveva Antonio Gramsci è vero che la storia è maestra di vita, ma il problema è che non ha scolari. La conoscono in pochi, i cattolici contemporanei forse meno di tutti e questo è all’origine dei loro guai.

Quando De Gasperi ottenne la valanga di voti del 18 aprile 1948 apparve preoccupato: “Mi aspettavo che piovesse, non che grandinasse”, disse allarmato in famiglia. La fotografia è quella di un leader attorno a cui l’Italia si raccolse perché esprimeva senso di responsabilità accantonando ogni tentazione retorica. Cattolico ma mai clericale, quando chiese udienza a Papa Pio XII perché benedicesse una figlia che aveva deciso di prendere i voti, Papa Pacelli gliela rifiutò. Alla Chiesa non è mai piaciuta l’idea che il laicato cattolico si organizzasse in partito politico di dichiarata ispirazione cristiana: rimproverò aspramente don Luigi Sturzo per l’appello ai Liberi e Forti del 18 gennaio 1919 che diede vita al Partito popolare italiano, lo costrinse all’esilio in Francia nel 1925, cercò di impedire la nascita della Democrazia cristiana, quando nacque provò a imporle l’alleanza con i missini postfascisti alle elezioni di Roma e De Gasperi rifiutò l’operazione (di qui l’udienza negata in Vaticano). Però, nel momento decisivo, solo la presenza di un partito organizzato popolare e di massa come la Democrazia cristiana salvò l’Italia dalla morsa del Pci di Togliatti che ci avrebbe condotti sotto l’imperio di Mosca e la Chiesa di Pio XII fece di tutto per far vincere quei laici cattolici raggrumati attorno alla leadership di De Gasperi, che aveva il merito di avere pazienza e lungimiranza, non si faceva agitare dalla difficoltà della quotidianità, era in questo un vero uomo di fede.

La stagione del 18 aprile 2018, dell’incarico alla Casellati, di Mattarella che le dà quarantotto ore di tempo per vedere se esiste una maggioranza possibile tra pentastellati e centrodestra, per vedere insomma se Salvini e Di Maio si mettono d’accordo prima delle regionali del Molise, sembra raccontare davvero un quadro umanamente, politicamente e storicamente ben più gramo. Con ogni probabilità la Casellati non potrà fare altro che certificare un fallimento: il 72% degli italiani è andato a votare per affidare il ruolo di prima coalizione a un centrodestra raffazzonato e il ruolo di primo partito a un movimento sconclusionato, con la sensazione che manchino del tutto non dico gli statisti, ma almeno i politici degni di questo nome. Forse la coincidenza con il dato della sparizione dei cattolici organizzati, pur nella presenza ancora di cattolici singoli nei luoghi chiave del potere, non è del tutto casuale.

I politici del 18 aprile 1948 avevano davanti un compito immane: ricostruire l’Italia dalle macerie fisiche e morali della guerra mondiale e della guerra civile, dar da mangiare a milioni di affamati, coordinare le risorse per la rinascita con i denari piovuti con il Piano Marshall senza perdere sovranità, saper dare una prospettiva di crescita a una legalità costituzionale repubblicana che era ai suoi primi vagiti e dunque fragilissima, eleggere un presidente della Repubblica che fosse fotografia di una sforzo il più possibile unitario, svolgere un ruolo determinante in un quadro internazionale in tumultuosa evoluzione dall’equilibrio assai instabile. Si rimboccarono le maniche e ce la fecero, De Gasperi morì dopo un quinquennio di governo che instradò l’Italia nella direzione giusta, i suoi successori crearono le condizioni del boom economico e di quello che la storia ricorda come “il miracolo italiano”. Dal 1946 al 1949 l’Italia conobbe una primavera demografica straordinaria, con oltre sei milioni di bambini nati nonostante le condizioni economiche, sanitarie, abitative, di sopravvivenza anche nella banale necessità quotidiana di sfamarsi fossero da paese devastato quale effettivamente eravamo dopo il tragico conflitto bellico. Il percorso di quella Italia capace di darsi governanti all’altezza venne certificato dal Fondo monetario internazionale nel 1986 quando il nostro paese venne proclamato quarta potenza economica mondiale dopo i giganti Usa, Urss e Regno Unito.

I politici del 18 aprile 2018 fanno fatica a fare un governo, espongono punti programmatici risibili che puntano a un solo obiettivo: ottenere la poltrona da premier. Luigi Di Maio ripete ossessivamente di aver ottenuto undici milioni di voti come candidato alla presidenza del Consiglio e che dunque lui deve andare a Palazzo Chigi. Semplicemente, non è vero. Se conoscesse la Costituzione entrata in vigore nel 1948 o almeno la legge elettorale entrata in vigore nel 2018, saprebbe che in nessun modo i cittadini italiani hanno indicato un candidato premier. La Casellati certificherà questo elemento entro venerdì o lo riferirà a Mattarella che così sancirà l’ennesimo fallimento di una classe dirigente inguardabile. Intanto il World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale, quello che oggi sui giornali avete trovato titolato con un “rivisto al rialzo il tasso di crescita dell’Italia”, in realtà certifica che l’Italia cresce la metà dell’Eurozona (1.1% previsto nel 2019 contro il 2% secco) e che in Europa siamo all’ultimo posto, scavalcati pure dalla Grecia. La ragione? Secondo il Fmi, che ci accomuna come Paese a rischio a Messico e Colombia, a zavorrarci sono l’enorme debito pubblico e “il trend demografico negativo”. Cioè siamo all’ultimo posto come crescita economica perché non facciamo più figli e ti credo visto che dal 1978 con l’introduzione della legge 194 ne abbiamo uccisi sei milioni. Ci mancano sei milioni di giovani che avrebbero potuto tenere su l’Italia. Invece stiamo affondando da decrepiti.

In tutto questo il 18 aprile 2018 è il giorno in cui Tom Evans, un padre, viene accolto a Roma da un altro padre, Papa Francesco. La cultura della morte nordeuropea confligge con la cultura della vita italiana, quella che i cattolici del nostro paese nonostante tutto ancora rappresentano (complimenti a Benedetta Frigerio per il lavoro svolto e alla Bussola). Insomma, possiamo essere ancora l’approdo di una speranza. Questo è l’augurio a cui voglio abbandonarmi nel giorno in cui i paralleli storici tra il 1948 e il 2018 sembrano disperanti. Abbiamo rappresentato grandezza nel passato, possiamo rappresentare speranza nel futuro. Non arrendiamoci, non prevarranno: continuons le combat.