PARTENDO DA UN FUMETTO DI ZEROCALCARE

29 Dicembre 2017 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Ho bisogno di attimi di ricreazione, di riposo mentale, così ho appena finito di leggere l’ultimo libro a fumetti di Zerocalcare “Macerie Prime”, regalo di Natale di Silvia. Sì, quello con le due tavole di pagina 109 in cui vengo raffigurato come contraltare polemico dell’autore da lui disprezzato, ma finisco per pronunciare contro lo stesso Zerocalcare una frase di cui sono dispiaciuto di non possedere il copyright: “Gesù è più furbo di te”. Il tema del libro non è originalissimo: generazione irrisolta si ritrova a fare i conti con la propria incompiutezza, allo stesso tempo vantandola come condizione esistenziale in cui si può ancora essere qualsiasi cosa, avvertendo però con l’andare degli anni un certo disagio. Niente di nuovo, roba piuttosto tipica a sinistra da circa mezzo secolo, dall’Eskimo di Guccini (“avere tutto per possibilità”) al nannimorettismo autarchico di Ecce Bombo. Zerocalcare pare proprio un Michele Apicella che va in Portogallo “a vedere un colonnello, si chiamava Otelo de Carvalho”, solo che va a Kobane a veder combattere i curdi contro l’Isis. Poi però torna a Rebibbia, il quartiere coperta-di-Linus, da suoi amici che ormai vanno per i quarant’anni e non combinano nulla, non si sposano, non fanno figli e se capita esprimono estremo disagio.
Sembra di vedere la fotografia scattata dall’Istat nel fumetto di Zerocalcare. Molti single (tra cui l’autore-protagonista), l’inevitabile coppia omosessuale, l’ultraquarantenne che non si impegna e si fa le canne, l’insegnante per caso privo di vocazione, il disagio sociale, una finestra aperta sulla povertà, una generazione che vive di espedienti. Ma al di là dei problemi economici o professionali, l’angoscia che prende alla gola ha una sua definizione precisa: inconsistenza.
Anche qui niente di nuovo, saranno cent’anni che balliamo attorno all’Uno, nessuno, centomila di pirandelliana memoria, all’essere che s’infrange in infinite rappresentazioni di sé ognuna diversa dall’altra e spesso confliggenti. Ma mentre cent’anni fa sembrava essere una scoperta a suo modo tragica, oggi nel suo manierismo da ventunesimo secolo diventa inevitabilmente farsesca. Non c’è la verità, non c’è l’impegno, non c’è neanche una reale dimensione sociale o politica, non c’è un noi: c’è un io spappolato che davvero si muove solo dentro un orizzonte di macerie. “Macerie prime”, appunto, come recita il titolo del libro.
Non riesco a non chiedermi come si possa vivere così a trentacinque o a quarant’anni, come non sorga una qualche spinta a “consistere”, a assumersi responsabilità, a “costruire su macerie” come finiva per cantare di notte anche lo stesso Guccini. Insomma, cavolo, dopo tante seghe mentali autarchiche persino Nanni Moretti finisce per sposarsi e avere un figlio (“Aprile”) temere che muoia (“La stanza del figlio”) e sentirsi Papa per porsi domande sì generiche ma almeno sui fini ultimi del senso dell’umano (“Habemus Papam”). Un filo iperbolica come evoluzione, ma insomma persino un egotico come Moretti attorno ai trent’anni capisce che qualche domanda più evoluta occorre iniziare a porsela: “Ma non hai pietà tu di me?”, grida il suo Apicella in Bianca e poi viene don Giulio de La Messa è finita, che perde la fede e con essa la mamma (suicida), la progenie (la sorella abortisce) e forse persino la ragione visto che il film si chiude con lui che annuncia di essere destinato a un luogo “dove il vento fa diventare pazzi”. Moretti gira La Messa è finita trentatré anni fa, più giovane ancora del trentacinquenne Zerocalcare. L’impressione è che l’involuzione della contemporaneità abbia prolungato una giovinezza stolta anche degli intellò nostrani, in cui ormai dobbiamo annoverare anche i disegnatori di fumetti, data la landa desolata della produzione intellettuale italiana.
Ma l’interrogativo che si pone non è libresco, anche se da un libro di fumetti parte. Davvero non è più interessante sforzarsi di rintracciare la verità, che tutti sappiamo esistere, piuttosto che rifugiarsi in questa infantile e solipsistica caccia all’io molteplice? Insomma, non avrà davvero ragione Sant’Agostino che assegna il risolversi del conflitto umano con l’essere solo nel momento in cui l’Io trova come porto Dio e vi attracca non rassegnato, ma volentieri piuttosto e lì riposandosi? Non sarà tempo di chiuderla con il pirandellismo farsesco e stabilire che per un giovane (?) i 35 anni sono l’età giusta per “consistere” e abbandonare il comodo crogiolarsi nell’indeterminatezza del “tutto può ancora accadere”?
Abbandonare l’inconsistenza. Ecco l’obiettivo che dovremmo porci, noi tutti, ogni giorno. E dopo averlo posto, sforzarci di vederlo proposto agli altri, in particolare ai giovani che altrimenti vivranno sempre in condizione sradicata, da canne esposte ad ogni vento. La radice invece, che garantisce saldezza e nutrimenti per la giusta e naturale crescita, va riconosciuta e preservata. Dentro la scoperta della radice c’è anche una conseguente esigenza di radicalità, che avverto sempre più forte nelle riflessioni dei più sensibili e non solo nei giovani. Ecco, la scoperta di un gusto per una “radicalità consistente” e non generica potrebbe essere un buon antidoto all’inconsistenza sradicata che viene proposta invece da alcune fotografie della realtà, che vanno da Zerocalcare fino al rapporto Istat.
La mia idea di radicalità consistente, è noto, ruota attorno alla Parola di Cristo. Lo trovo il messaggio più potente, convincente, scorretto fino alla crudeltà e per questo sostanzialmente vero. Io vi trovo la Verità. Gli atti conseguenti, compreso l’impegno politico a sostegno della vita e della famiglia naturale, sono dentro un percorso razionale che consiglio. Non sono ingenuo e non ho titoli per fare il predicatore, quindi mi aspetto che tale proposta di radicalità consistente sia da molti irrisa e non considerata. Ma vi assicuro che nella condizione di inconsistenti sradicati non si vive bene a lungo, si finisce a rotolare tra le macerie, uscendone inutilmente sfiancati. Ogni vita merita un destino che sia migliore di così, che sia più di Zero.