TORNARE PROTAGONISTI

27 Dicembre 2017 Mario Adinolfi
immagine mancante
Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Il 27 dicembre 1947 usciva in Gazzetta Ufficiale la Costituzione della Repubblica italiana, frutto davvero duraturo del lavoro dell’Assemblea costituente eletta nel 1946, con protagonisti i cattolici che esprimevano la maggioranza relativa degli eletti destinata a diventare maggioranza assoluta alle successive elezioni politiche del 18 aprile 1948. Il cattolicesimo politico di Alcide De Gasperi e del giovane Aldo Moro seppe essere egemone culturalmente, pur nell’incontro con le solide culture del comunismo, del socialismo, del liberalismo italiani appoggiate su figure enormi come quelle di Palmiro Togliatti, Pietro Nenni, Sandro Pertini e Benedetto Croce. A settant’anni esatti da quel giorno si può ben dire che la Carta costituzionale italiana ha saputo far da cornice a stagione storiche completamente diverse, fornendo regole di sistema che hanno garantito la tenuta democratica nonostante gli scenari politici mutassero radicalmente: l’Italia degli Anni Cinquanta democristianissima, il primo centrosinistra degli Anni Sessanta, il compromesso storico con i comunisti e l’Italia sull’orlo del baratro degli Anni di piombo che costarono la vita a Moro, la stagione del pentapartito e il Pci che supera la Dc alle elezioni europee successive alla morte di Berlinguer, l’Italia di Tangentopoli, l’arrivo del sistema maggioritario e di Berlusconi, la democrazia dell’alternanza con Prodi, la triste stagione del Porcellum e il comparire dal nulla sulla scena del M5S e del grillismo. Un’Italia politicamente e istituzionalmente sempre diversa (proporzionale, a democrazia bloccata, maggioritaria, bipolare, tripolare, oggi forse multipolare) non ha mai cambiato Costituzione. Chi ha provato a modificarla radicalmente ha fatto danni e alla fine perso nel confronto con la volontà popolare, come ad esempio il 4 dicembre 2016 che ha segnato l’inizio della fine di Matteo Renzi con la sconfitta al referendum e il suo mancato rispetto dell’impegno assunto pubblicamente a lasciare la politica. La Costituzione del 27 dicembre 1947 scritta da De Gasperi, Moro, Togliatti, Nenni, Pertini e Croce ha vinto, quella riscritta dalla Boschi ed Alfano ha perso. Abbastanza naturale che finisse così.
Ho sempre intimamente rifiutato l’espressione “Seconda Repubblica”, perché sono un laureato in Storia del Diritto italiano e proprio sulla “questione della riforma costituzionale in Italia”. I miei studi mi hanno convinto che si possa declinare il cambiamento di fase di una struttura repubblicana (è accaduto in Francia, dove sono arrivati alla Quinta Repubblica) solo a partire da una sostanziale modifica costituzionale che da noi non c’è mai stata. Convenzionalmente si declina come Seconda Repubblica quella che si apre con la legge maggioritaria nota come Mattarellum e il contemporaneo avvento del berlusconismo, che nel 2018 compirà un quarto di secolo. La Seconda Repubblica ha avuto come caratteristica quella della fine dell’egemonia politica del partito “cattolico”. Non che la Democrazia Cristiana fosse un partito confessionale, anzi alla Dc vanno ascritte anche delle responsabilità importanti sul terreno dei cedimenti “mondani”, ma senza dubbio con lo scioglimento della Dc nel 1993 una stagione di protagonismo si conclude e si apre un triste periodo di consecutive scissioni che approdarono infine all’irrilevanza. I cattolici, scegliendo la strada di “stare nei partiti” senza avere più una casa, secondo un meccanismo descritto dagli storici come diaspora, hanno finito per non contare più nulla.
La 17esima legislatura repubblicana che domani si chiuderà con lo scioglimento formale ad opera del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, verrà ricordata come un cambio di passo. Tanto poco hanno contato i cattolici, tanto si sono piegati alle logiche dei partiti e delle coalizioni in cui hanno militato, che quella che si conclude è la prima legislatura anticristiana dei sette decenni di vicenda costituzionale italiana. Da cultura politica egemone il cattolicesimo politico è diventato la cultura politica da espellere dal quadro istituzionale. La produzione normativa di questa legislatura è stata un continuo insulto ai valori cristiani, dal divorzio breve votato all’unanimità da tutte le forze politiche fino alle unioni gay e all’oltraggio finale della legge sul “fine vita”, cioè sull’uccisione dei malati per fame e per sete, considerata ultima assoluta emergenza da questo Parlamento prima dello scioglimento. Intanto la disoccupazione è oltre l’11%, quella giovanile al Sud sfiora il 50% e consegna giovani braccia armate alla criminalità organizzata, il debito pubblico esplode per mance e mancette, la denatalità batte ogni anno il record negativo, cinque milioni di italiani sono poveri, 1.582.000 famiglie (soprattutto quelle numerose) non arrivano a fine mese. Però l’emergenza è fare la legge sul “fine vita” cancellando l’obiezione di coscienza per i medici o legalizzare la cannabis terapeutica per preparare la liberalizzazione delle droghe o far sì che la pillola dei cinque giorni dopo possa essere acquistata senza ricetta medica, facendone esplodere il consumo.
Ora c’è da porsi una domanda. La fine dell’influenza dei cattolici in politica ha rappresentato un bene per il Paese? L’Italia anticristiana messa in scena dai parlamentari di questa ultima legislatura, tra lobby Lgbt dominante, ricorsi surrettizi all’utero in affitto per legittimarlo e inni alla morte per disidratazione dei malati, è un’Italia in cui la gente sta meglio? O forse tutta questa sbornia piena di supposti “nuovi diritti civili” è puro fumo agli occhi per provare a dire agli italiani che possono continuare a stare malissimo ma devono essere felici perché ci sono le unioni gay?
I numeri come sempre dicono cose precise. I cattolici detengono ininterrottamente la presidenza del Consiglio dei ministri dal 1948 al 1981: trentatré anni in cui l’Italia passa da paese rurale che deve ricostruire sulle macerie a quarta potenza industriale del mondo. Siamo un paese fondato sulla famiglia, con il più alto tasso di natalità dei Paesi occidentali, con un ottimo grado di scolarizzazione, una sanità che funziona e diritti persino eccessivi (si andava in pensione nel pubblico impiego con 15 anni, sei mesi e un giorno di servizio). Quando arrivano i “laici” al governo (il primo sarà il repubblicano Spadolini, poi verrà la stagione di Craxi) l’Italia ha un debito pubblico eredità dei governi a guida democristiana che è al 60% del Pil. Alla fine degli Anni Ottanta esploderà, la Seconda Repubblica lo renderà travolgente, oggi siamo al 127% del Pil alla quota mostruosa di 2.300 miliardi di euro. Erano 2.000 miliardi di euro quando la legislatura è cominciata, questi hanno speso a buffo altri trecento miliardi di euro per far stare l’Italia con le pezze al sedere.
Io personalmente credo, è più che noto, che la stagione della diaspora cattolica “nei partiti” abbia dimostrato tutti i suoi limiti e sia giunta a compimento. Ora è tempo di mettere un deciso stop, dopo due decenni, alla forza centrifuga e di riattivare un forza centripeta su cui costruire la prospettiva del domani per salvare l’Italia dal baratro. Dovranno farlo i cattolici secondo lo schema consueto del rifiuto del partito confessionale, ma della declinazione di una identità precisa che attiri la collaborazione di tutte le persone di buona volontà. Il progetto del Popolo della Famiglia è in sostanza questo. Tornare a progetti di governo concreti, che ho provato a declinare nella Proposta per l’Italia contenuta in O capiamo o moriamo (capitolo 14), ma che siano saldamente ancorati a un orizzonte valoriale non negoziabile e per questo capace di condizionare, non di essere condizionato.
La sfida che declineremo a partire dall’assemblea nazionale del 30 dicembre al Centro Congressi Cavour è questa. La presenza fin dalle prossime elezioni politiche, come abbiamo già sperimentato in diverse tornate amministrative di “allenamento”, di un simbolo autonomo sulla scheda elettorale sia per la Camera che per il Senato, sta a significare il ritorno di una soggettività politica dei cattolici aperta, laica ma pienamente identitaria, perché se noi torniamo protagonisti sta meglio il Paese. Settant’anni dopo, ci sentiamo eredi di una gigantesca tradizione repubblicana che aveva il bene comune al centro del proprio agire e che a partire da questo sapeva essere egemone. Come ha detto Gianfranco Amato, il percorso sarà lungo ma ogni cammino parte con un primo passo. Confidiamo di avere gamba, idee, uomini e programmi per tornare da subito protagonisti costruendo una proposta radicalmente alternativa alla politica anticristiana che abbiamo visto applicare dalle norme approvate dal Parlamento di questa legislatura che finalmente viene sciolto. Ora o i cattolici tornano protagonisti attraverso il Popolo della Famiglia o quello appena concluso sarà solo il primo tempo di un film dell’orrore che sarà compiuto con il varo dell’eutanasia, del suicidio assistito, del matrimonio “egualitario”, della droga libera, della cancellazione del diritto all’obiezione di coscienza per i medici antiabortisti, dell’utero in affitto alla Nichi Vendola. Sono già pronti, è già tutto scritto. Servono una cesura e una novità. Si innescano votando Popolo della Famiglia alle elezioni politiche del 4 marzo 2018.