COSA FARE PER NON PERDERE ANCORA

15 Dicembre 2017 Mario Adinolfi
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, Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Con l’approvazione della legge sul “fine vita”, cioè una cupa legge di morte, i cattolici italiani infilano l’ennesima clamorosa sconfitta addirittura con una legislatura agli sgoccioli, quando bastava fare un po’ di sano e vero ostruzionismo per ottenere un esito diverso. All’inizio della legislatura i cattolici hanno incassato senza fiatare e praticamente senza fare opposizione la legge 55/2015, quella sul divorzio breve: appena 19 voti contrari alla Camera, 11 al Senato. Tre anni sono stati occupati dal varo della legge 76/2016, nota come legge Cirinnà, approvata nonostante i due Family Day del 20 giugno 2015 e del 30 gennaio 2016, con i politici eletti nel centrodestra a cui il portavoce del FD si era affidato ad essere protagonisti del voltafaccia e del tradimento decisivo in Parlamento. Ai tempi supplementari, praticamente a legislatura finita, arriva l’oltraggio di questa legge che ucciderà per fame e per sete che viene approvata, come scrivono i giornali, “grazie all’opposizione blanda del centrodestra” che non ha voluto dare battaglia vera alla proposta targata Pd-M5S e infatti i voti contrari sui 950 parlamentari sono stati 37 alla Camera e 71 al Senato.

La giustificazione di chi non capisce di politica a questo disastro è: eravamo pochi, i numeri erano sbilanciati, non si poteva ottenere nient’altro. Non è così. Chi conosce la politica sa che essa vive di ruolo decisivo svolto da partiti che con un pacchetto relativamente piccolo di voti possono incidere moltissimo. Concretamente: sia per l’approvazione della 55/2015, che della 76/2016 che per questa orrenda legge di fine 2017, bastava che la componente degli eletti nel centrodestra anche solo minacciasse di aprire la crisi di governo (per capirci, Maurizio Lupi e compagnia) che quelle leggi sarebbero immediatamente saltate. La scelta di Alfano e Lupi, eletti con Berlusconi e ora uno costretto a non ricandidarsi e l’altro a tornare da Berlusconi per uno scranno, è stata quella collaborazionista. Quando Alfano e Lupi non bastavano sono arrivati in soccorso altri eletti nel centrodestra, il gruppo di Denis Verdini, i cui senatori sono stati determinanti sia per il varo della legge Cirinnà che per quello del biotestamento.

Che lezioni si trae da queste vicende? La più ovvia: siamo destinati a continuare a perdere se continueremo a ripetere lo stesso errore, cioè quello di affidare la rappresentanza politica dei cattolici che credono nei principi non negoziabili all’ambiguità di una coalizione che semplicemente non coltiva i nostri stessi valori e li baratta come fossero merce sull’altare della politica politicante. Nel 2013 i cattolici di questa fatta hanno in massima parte votato per Berlusconi, per Alfano e per la Lega. Ora o si prende atto che Berlusconi in Pascale, per sua stessa ammissione, crede che i valori omosessualisti siano “una battaglia per i diritti di tutti” e infatti manda Renata Polverini a sfilare ai Gay Pride; che la nuova versione degli alfanoidi alleati di Berlusconi, cioè Maurizio Lupi e l’ineffabile ex ministro della Famiglia Enrico Costa a cui si aggregheranno quelli di Idea e lo straordinario Capezzone più Stefano Parisi nella mitologica costruenda “quarta gamba” del centrodestra, nasce già con l’obiettivo di dare i voti necessari al permanere degli attuali equilibri di governo; che la Lega in Veneto con Zaia (sostenitore della legge sul “fine vita”) stanzia i fondi per la “rettifica del sesso” cioè per i trans, con Maroni annuncia il baratto tra legge sull’omofobia e legge sull’autonomia, con Salvini annuncia come “primo provvedimento in consiglio dei ministri” la legalizzazione della prostituzione, come richiesto da un grande sostenitore del leader del Carroccio, il trans turco Efe Bal; che quest’ultima proposta è sostenuta con grande forza da Fratelli d’Italia e da Giorgia Meloni, che si candida a completare un ventennio da parlamentare, ma nei precedenti quindici anni in cui è stata per cinque anni eletta voluta dal suo padre politico Gianfranco Fini, per cinque anni vicepresidente della Camera, per cinque anni addirittura ministro, non si ricorda una sola proposta che fosse una sul diritto alla vita o sulla famiglia; o si prende atto che fare nel 2018 le stesse scelte politiche del 2013 equivale ad esporsi agli stessi rischi, perché sostenere un centrodestra strutturalmente ambiguo sui principi significa far entrare in Parlamento centinaia di deputati e senatori disposti al compromesso sulle leggi di principio, o davvero non si capisce nulla di politica. E sorge allora il sospetto che a qualcuno piacciano i vecchi equilibri in cui si perde sempre, pur di salvaguardare alcune stantie rendite di posizione.

Cosa fare per non perdere ancora? Semplice. Buttare a mare tutta la paccottiglia francamente impolitica e inefficace fatta di petizioni on line, gruppi di chat su whatsapp, aggregazioni virtuali ma in realtà inesistenti, che ci fanno sentire tanto bene perché sembra che facendo due cose su una tastiera stiamo cambiando il mondo, mentre intanto ci stanno sfondando. Tutto molto bello, ma tutto troppo “cattolico”, tutto già visto e tutto terribilmente inutile con l’aggravante di alleggerire la nostra coscienza tramite una rappresentazione recitata pure male. Siamo tanti, siamo tantissimi, guarda quanti like, guarda quante adesioni on line, a noi non ce la si fa, dai ritroviamoci tutti davanti al Colosseo o davanti al Senato. Quanti siamo veramente? Un numero oscillante tra venti e quaranta. Il virtuale è, per l’appunto, virtuale. Il reale è organizzazione territoriale, pesantissima e faticosissima attività di costruzione di relazioni vere tra persone a partire dal quartiere o paese in cui si vive concretamente, capacità di fare rete ma non in rete, nella vita reale.

Qui viene il passaggio successivo. Solo da una mobilitazione reale, che affronta tutta quella fatica reale e i rischi connessi, nasce un popolo incidente. Poter incidere in una realtà complessa come quella della politica di italiana di oggi, dove contano solamente i rapporti di forza, necessita una conoscenza non banale e non ingenua dei meccanismi della stessa. Perché la politica si è rifugiata nell’approvazione delle leggi pessime che abbiamo elencato e che segnano una sconfitta epocale di noi cattolici in questa legislatura? Perché sulle questioni serie, le vere e proprie tragedie in atto nella società italiana (disoccupazione generale, crescita che non c’è, debito pubblico ai massimi, povertà per cinque milioni di persone, istruzione degradata, disoccupazione giovanile ai picchi soprattutto nel Meridione, criminalità organizzata dominante, immigrazione, denatalità) la politica di destra, di centro e di sinistra che ha totalmente perduto l’anima, non è in grado di fornire uno straccio di vera risposta. E allora vai con la legislatura dei “nuovi diritti”, copiati da ordinamenti giuridici barbari che noi inseriamo acriticamente nel nostro, danneggiandolo pesantemente proprio sul “fronte dell’anima”. Ma quella roba costa poco, garantisce un plauso quasi unanime sul piano mediatico, fortemente condizionato dalla massoneria internazionale e dal fiume di denari di soggetti come George Soros, ed allora è fumo perfetto da gettare negli occhi degli italiani per non far vedere loro la tragedia in cui sono immersi sul campo dei problemi veri del Paese.

E quindi la pianificazione dei “nuovi diritti” per la prossima legislatura è già scritta. Si comincerà dalla legge sull’omofobia, che se approvata cancellerebbe d’incanto la praticabilità democratica ai movimenti prolife che dovrebbero difendersi da miriadi di denunce in tribunale (e fatevelo dire da chi già è stato oggetto di questa intimidatorie “attenzioni”: anche se poi in tribunale si vince sempre, alla quarta denuncia viene voglia di lasciar perdere). Dopo la legge sull’omofobia, ovviamente derivante dalla politica delle larghe intese centrodestra-centrosinistra implicita all’approvazione del Rosatellum, arriveranno la cancellazione del diritto all’obiezione di coscienza per medici antiabortisti e farmacisti che non vogliono vendere la pillola dei cinque giorni dopo. Poi partirà la litania del “matrimonio egualitario” con annessa cancellazione dell’ennesima porzione della legge 40, precisamente l’articolo 6 comma 12, quello che vieta l’utero in affitto. E l’intergruppo parlamentare per la droga libera, che già conta 224 adesioni di deputati e senatori d’ogni colore guidato dall’ex finiano Benedetto Della Vedova, credete che non ritornerà all’attacco? Il divorzio breve poi non basta, hanno già scritto la riforma chiamata “divorzio lampo”, mutuata dal modo con cui ci si lascia nelle unioni civili gay grazie alla legge Cirinnà. Una pacca sulla spalla e la famiglia salta. La piattaforma politica è tutta già scritta, i larghintesisti sono all’opera. E il gender, altro che nelle scuole, ce lo ritroveremo stampato pure sulla carta igienica dei cessi pubblici, ultimo strumento mediatico ancora non invaso dalla propaganda lgbt finanziata dai fondi pubblici.

Se non vogliamo tutto questo, se vogliamo opporci efficacemente a tutto questo, se non vogliamo essere travolti nella prossima legislatura non da tre ma da trenta leggi infami, dobbiamo organizzare razionalmente la nostra resistenza, renderla determinata e determinante. Si parte, come detto, dal territorio e dall’organizzazione fisica in ognuno degli ottomila comuni di questo nonostante tutto meraviglioso paese. Si superano il più possibile le divisioni e i personalismi idioti: siamo tutti lampadine fulminate, chi scrive più di altri, i giudizi morali tra noi lasciamoli a Nostro Signore e ci guadagniamo tutti. Organizziamo una proposta politica semplice, comprensibile a tutti, efficace. Su quella proposta politica alternativa chiediamo il consenso alle prossime elezioni politiche. In Parlamento puntiamo ad ottenere gli eletti decisivi, quelli che in questa legislatura hanno tenuto in piedi un governo barattando i principi con le poltrone. Prepariamoci a fare il contrario, a imporre la nostra agenda e a bloccare con quelle decine di parlamentari determinanti qualsiasi ulteriore norma contro la vita e contro la famiglia.

Ecco, questo è il progetto politico denominato Popolo della Famiglia, l’alternativa all’esistente perché l’esistente non ci piace e ha prodotto disastri che si sono codificati in leggi e le leggi fanno costume. Se non vogliamo essere travolti da altre leggi così, con l’effetto di vedere un intero popolo sradicato rispetto alla ancora ben piantata nel terreno radice cristiana, dobbiamo darci da fare ma sul serio, non con i click sui social network. Persino Rovazzi nella sua ultima canzone irride chi ha “questa convinzione che un mi piace può aiutare”. Ma che siamo meno svegli di Rovazzi? C’è da portare fisicamente nelle strade d’Italia, in tutte le strade d’Italia, la proposta del Popolo della Famiglia, il suo simbolo, i suoi uomini e le sue donne. Nove italiani su dieci non ci conoscono, tra coloro che ci conoscono la percentuale di consenso è altissima, supera il dieci per cento. Ovviamente questo vuole dire che su cento persone comunque novanta ci osteggiano, quindi niente paura se subiamo insulti e critiche anche sul personale, è fisiologico in una battaglia del genere. Ma se tutti gli italiani conosceranno la proposta alternativa del Popolo della Famiglia, altro che un milione di voti. Possiamo puntare a prenderne anche due o tre. Ognuno deve trasformarsi in antenna ripetitrice di un messaggio semplice e chiaro: non accettiamo la cultura della morte, vogliamo far ripartire l’Italia investendo sulla vita e sulla famiglia naturale, ribaltando l’agenda politica della legislatura appena conclusa. Chi ci sta si rimbocchi le maniche e dia una mano a questo percorso non per giudicare questo paese ma per salvarlo.

Noi partiamo sabato 30 dicembre dall’assemblea nazionale del Popolo della Famiglia alle ore 11.45 al Centro Congressi Cavour di via Cavour 50/a. Chi vuole fare la storia si unisca a noi. A chi piace lo status quo, nessun invito: ripetete pure l’errore del 2013. Ma poi non lamentatevi se lo stesso errore produrrà gli stessi esiti. Questo è il tempo del cambiamento profondo. Lo si fa a marzo mettendo una croce sul simbolo del Popolo della Famiglia, lo si fa fino a marzo sostenendone l’organizzazione e il radicamento sul territorio. Sarà una fatica enorme, poggia tutta sulle nostre spalle, ma se questa battaglia non la combatteremo noi non la combatterà nessuno.
Di chi sarà la Vittoria, lo sapete già.
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