Civili e incivili

4 Settembre 2017 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

La vicenda del suicidio assistito in Svizzera di un ingegnere sessantaduenne di Albavilla, fisicamente sano ma depresso, ha provocato un dibattito totalmente inutile tra chi predica la “libertà di uccidersi” e chi la nega per valutazioni religiose o antropologiche. La “libertà di uccidersi” per la verità non è in discussione, è un dato del reale. Mai così tanti, purtroppo, l’hanno utilizzata: nell’ultimo triennio di cui abbiamo i dati Istat (2011-13) si sono ammazzate nel nostro paese 12.877 persone, quattro su cinque sono maschi. Si tratta dunque di circa quattromilatrecento suicidi l’anno, una persona ogni due ore in Italia si toglie la vita. Vogliamo discutere se esiste o meno la libertà di uccidersi? Discussione risolta: esiste, in tutta evidenza. La discussione deve necessariamente essere un’altra: l’ordinamento giuridico deve incoraggiare chi aiuta le persone a suicidarsi o decisamente scoraggiare punendole? In Svizzera le incoraggiano e lasciano addirittura che si sviluppi in un orrendo crescendo questo commercio dell’abbattimento dei sofferenti tramite fornitura di una dose di Pentobarbital da 13 euro con un ricarico mostruoso che porta le tariffe fino a quindicimila euro. In Italia quel commercio, semplicemente, lo vietiamo. La domanda è molto semplice: qual è l’ordinamento più civile? Quello svizzero va considerato come progresso o come regressione infernale? E non è forse infinitamente più avanzato un ordinamento che vieta che si faccia commercio del dolore estremo dei sofferenti? Far avanzare una cultura necrofila produce inevitabilmente l’aumento dei suicidi. Ne siamo felici o sarebbe più civile promuovere una cultura della vita che assista davvero i sofferenti come l’ingegnere di Albavilla, limitando dunque il più possibile il numero dei suicidi? Sono queste le domande e occorrono risposte chiare.