SE IL WEB DEUMANIZZA LA PERSONA

14 Settembre 2016 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

La triste vicenda di Tiziana Cantone è raccontata sui media in queste ore con i soliti toni indignati di circostanza e una capacità giornalistica nulla di fare seriamente luce attorno alle ragioni e alla responsabilità di chi ha condotto una bella ragazza di 31 anni a impiccarsi dopo un anno di linciaggio da parte dei social network. Tutti a scrivere: è stato il web. Ma chi è “il web”? E cosa insegna a tutti noi questa storia? Come si può evitare un nuovo caso Tiziana Cantone? A questi interrogativi si può provare a proporre qualche risposta.
A uccidere la Cantone non è stato “il web”, non sono stati “i social network”, non è stato “whatsapp”. A portare Tiziana alla tragica decisione di porre fine alla sua vita impiccandosi è stato il concatenarsi di una serie di eventi, attorno ad ognuno dei quali ci sono responsabilità individuabili di persone individuabili. L’errore originale è stato evidentemente l’invio del video hard con la propria performance sessuale ai cinque “amici” su whatsapp. I cinque sono persone identificabili e già identificate dai magistrati che hanno aperto un fascicolo sul caso Cantone con l’ipotesi di reato di istigazione al suicidio. Uno di costoro ha trasmesso il video attraverso i canali del porno via web. A quel punto alcune pagine dei social network molto spregiudicate con il gusto dell’orrido hanno deciso di avviare una campagna sfruttando questo video e crocifiggendo la povera Tiziana. Tra queste, su Facebook si è fatta notare più delle altre la pagina di Welcome to Favelas, un luogo da 540mila followers, che sul trash e le immagini irrispettose di persone prese a bersaglio ha fondato il suo business rappresentato dalla vendita di gadgettistica in nero (vanno forte adesivi e magliette del simbolo di Welcome to favelas, un fucile mitragliatore AK 47). Come funziona W2F? Semplice, al fianco della pagina principale, sempre su Facebook, ci sono pagine segrete in cui si entra solo per invito, non raggiungibili con una ricerca sui motori Fb. Una di queste è Welcome to Favelas Dance Estate, 113mila followers, dove si decidono le campagne da portare avanti, si ordina ai “militanti” gli obiettivi da colpire e le pagine da andare a “sporcare” con i propri materiali. Nei gruppi segreti di Welcome to favelas è partita la decisione di crocifiggere Tiziana, sulla pagina principale si è operato affinché il video diventasse virale con il tormentone: “Stai facendo il video? Bravo”.
Tutto questo avrebbe massacrato Tiziana Cantone ma non sarebbe bastato se a far da detonatore non fosse arrivata una radio tradizionale, la radio più ascoltata in assoluto in Italia, che è Radio Deejay, il cui capo Linus ora sparge lacrime di coccodrillo in memoria di Tiziana, ma che ha quotidianamente massacrato la povera ragazza fino a renderle impossibile l’esistenza. Tiziana aveva dovuto abbandonare il suo paese, il suo lavoro, la famiglia, addirittura il proprio nome. Aveva cambiato identità e aveva vinto anche la causa presso la lenta giustizia italiana, che aveva ordinato pochi giorni fa la rimozione dei contenuti lesivi della sua dignità. Troppo tardi, qualcosa era definitivamente franato nell’anima di Tiziana Cantone e si è portato via la sua giovane vita, la sua bellezza, attaccata al foulard al quale si è impiccata.
Chi sono i responsabili allora? Molto semplice. Non i “social network”, ma Facebook Italia con i suoi dirigenti e i suoi solerti impiegati che bloccano le pagine di Alessandro Benigni, Danilo Leonardi, Filippo Fiani, Andrea Rossi perché sono cattolici e difendono la famiglia naturale, ma invece lasciano prosperare Welcome to Favelas e il suo infame business di adesivi e magliette imperniato sul dileggio delle persone, sulla quotidiana bestemmia, sugli insulti più vergognosi. Durante Stampa e Vangelo abbiamo denunciato l’ultimo post che Welcome to Favelas ha pubblicato per deridere la Cantone addirittura dopo il suo suicidio: novemila “mi piace”, centinaia di commenti di una volgarità rivoltante. Hanno capito che la nostra denuncia li avrebbe resi obiettivo facile dell’inchiesta della magistratura e vigliaccamente hanno rimosso il post: è l’omaggio che siamo riusciti a far rendere alla memoria di Tiziana. Almeno lo sputo sul cadavere caldo lo abbiamo fatto sparire dal web. Massimiliano Zossolo, il profilo che appare essere admin di Welcome to favelas, si è lamentato del fatto che abbiamo citato nomi e cognomi, ha fatto un post contro di me sia sulla pagina personale che su quella pubblica, ha fatto pubblicare una foto di me mentre rientro a casa riprendendo tutto il portone in modo che sia identificabile: un vero e proprio messaggio di minaccia fisica. Ma il suicidio di una ragazza pochi giorni dopo la fine delle vacanze estive apre in me ferite troppo profonde perché io riesca a non essere durissimo con chi l’ha provocato e con chi non ha avuto neanche la decenza di tacere una volta che la tragedia si era perpetrata.
Altro responsabile è il garante per la privacy, Antonello Soro, già presidente dei deputati del Partito popolare e ora mandato a svernare con fior di stipendione affinché vigili sulle dinamiche che hanno portato alla morte di Tiziana. Purtroppo Soro non ha idea di chi sia Tiziana Cantone, la dirigenza di Facebook, Welcome to Favelas, Welcome to favelas Dance Estate, Linus, Radio Deejay. Conosce me, sa che sul piano personale lo stimo e sa anche che su questa vicenda non farò sconti. Se vuole tardivamente fare il suo lavoro ordini subito la chiusura stabile e definitiva di Welcome to Favelas da parte di Facebook e li strigli ben bene, magari facendo una telefonata anche a Linus spiegando che le persone non si prendono per il culo con una violenza che toglie via la pelle, a meno che non siano personaggi pubblici, e che delle lacrime di coccodrillo non sa che farsene. Antonello Soro di mestiere fa il dermatologo e sa almeno cosa vuol dire “togliere via la pelle”. Lo faccia contro i responsabili di questo scempio e il resto lo faccia la magistratura.
Poi c’è quello che possiamo fare noi: impedire che il web sia il luogo che deumanizza. Dietro ogni profilo c’è una persona, c’è una storia, c’è un percorso, una vicenda spesso intrisa di sofferenza. Ce ne dimentichiamo nei meccanismi violenti del web, dove si diventa solo “icone” di un gioco perverso in cui anche i burattinai di questa violenza riescono a deumanizzarsi, a perdere sembianza diventando così irresponsabili, dicendo che in rete è colpa di tutti, cioè colpa di nessuno. Invece no, è persona la vittima e sono persone i carnefici, con nome e cognome. Questi ultimi spesso ricchi o con la volontà di arricchirsi sulla pelle delle persone. Non consentiamolo e onoriamo così la memoria di una persona che non ce l’ha fatta a reggere tanta violenza, nonostante avesse addirittura cambiato nome e identità per sfuggire a questo gioco perverso che alla fine l’ha travolta.