DIALOGO CON UN SENATORE RIFORMATORE

13 Aprile 2016 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Giorgio Tonini
è un senatore cattolico, democratico e riformatore. Una persona stimabile che conosco da decenni, tra le menti che hanno partorito la riforma costituzionale renziana. Non è stato sempre renziano, è noto per essere stato storicamente vicino a Walter Veltroni
, fa parte dei suoi fedelissimi. Vorrei raccontarvi a lungo le logiche del Partito democratico, ho contribuito a fondarlo, ne sono stato dirigente nazionale e parlamentare, ho persino sfidato proprio Veltroni per la leadership alle primarie fondative nel 2007, quindi ne conosco l’anima nel profondo. Ascriverei Tonini tra i “buoni”, tra coloro che avevano in mente un progetto non malvagio per la democrazia italiana: costruire una seria democrazia dell’alternanza fondata su due polarità che si sarebbero sfidate attorno a programmi e leader evidenti, legittimati da processi politici trasparenti che avevano il loro fondamento nell’intuizione dello strumento delle primarie. Poi, però, l’Italia è l’Italia: gli interessi dei “cattivi”, cioè di chi sguazza nelle sclerosi partitiche ordinarie e preferisce una politica caotica e irragionevole, in mano a classi dirigenti scadenti che hanno fatto diventare anche le primarie luogo del malaffare e dell’imbroglio, hanno prevalso. Del sistema bipolare tendenzialmente bipartitico immaginato nel 2007 non c’è traccia e il Parlamento ha continuato a dare pessima prova di sé acuendo la distanza tra elettori e eletti, consentendo l’affermarsi di un terzo polo populista che ha mandato ulteriormente nel caos il sistema. La soluzione immaginata dai “buoni” è la riforma costituzionale approvata il 12 aprile 2016 alla Camera e ora da sottoporre a ottobre a referendum confermativo. Qui è stata definita una pessima riforma e ho scritto che certamente farà diventare l’Italia “il paese più stabile d’Europa”, ma come sono stabili Cuba e l’Arabia o come è stata stabile la Libia di Gheddafi.
Questa presa di posizione non è piaciuta al senatore Tonini che mi ha inviato pubblicamente questo messaggio: “Mario, macchestaiaddi? Chi vince col 40% al primo turno o il 50+1 al secondo avrà 340 dep su 630. Almeno 240 eletti con le preferenze. Basteranno 25 dissidenti per far ballare il governo. Le istituzioni di garanzia, tra quorum alti e voto segreto restano ineleggibili senza un accordo con le opposizioni. Quindi lascia perdere la Libia o Cuba. Con la riforma avremo certamente un vincitore che è la premessa della stabilità. Niente di più”.
Al messaggio del senatore Tonini ho risposto con un altro messaggio pubblico: “Caro senatore, caro Giorgio, 340 eletti con premio alla lista e non alla coalizione produrrà inevitabilmente effetti da partito-caserma con le ricandidature legate alla fedeltà alla leadership. Due terzi del sistema restano eletti di fatto a lista bloccata e anche l’altro terzo aspirerà a quella comoda condizione dimostrandosi più fedele di un cane. Anche perché con le liste corte è l’ingresso in lista ad essere determinante e sappiamo, lo so io e lo sai te, come e da chi vengono decise le liste per le politiche in un partito a leadership forte. Vuoi una prova? Eravate tutti bersaniani quando Bersani era il leader e ora siete tutti renziani (quando mi spiegavate quale grave errore fosse sostenere Renzi ai tempi in cui eravamo entrambi parlamentari Giorgio nel 2012, ricordi?)”.
Riporto questo scambio tra me e Tonini perché anticipa in poche righe tutto il dibattito che ci sarà da qui al referendum. I riformatori ci diranno che la nuova Costituzione è benefica perché stabilizza il sistema e consente comunque il dissenso. Per contrastare questa argomentazione bisogna avere esperienza di come funziona un partito e, segnatamente, di come funziona il Partito democratico. Senza demonizzarlo, è inutile fare guerre di religione o comminare scomuniche. Semplicemente, bisogna descrivere i meccanismi. Io sono avvantaggiato per averlo vissuto, conosciuto da vicino e per essere stato sconfitto nel mio ideale di costruzione di un grande partito popolare di massa. Ho creduto che sostenendo il dinamico Matteo Renzi (e l’ho sostenuto quando io ero deputato e lui perdeva, non oggi in cui si sta a corte di un imperatore) avremmo mandato a casa la sinistra sclerotica che regnava nel Pd e avremmo fatto vincere gli ideali che fianco a fianco testimoniavamo al Family Day del 2007, quando Matteo era descritto alla mia destra. Mai avrei potuto immaginare che Renzi sarebbe stato quello che avrebbe iscritto il Pd al Pse, finendo ad assecondarne le politiche contro la famiglia e poi a varare una riforma costituzionale che non è europea, ha il sapore sudamericano senza neanche il contrappeso dell’elezione diretta. Chiunque conosca il Pd sa che vige un incredibile conformismo verso il Capo, retaggio della stagione del centralismo democratico. Persino la sinistra dem che non sopporta Renzi antropologicamente, ha votato senza un fiato una riforma costituzionale antitetica rispetto alla propria natura. Quando facevo il deputato renziano con Matteo eravamo in 12 su 400 parlamentari, perché Renzi perdeva e Bersani vinceva e faceva le liste. Gli eletti bersaniani che chiamavano Renzi “fascistoide” nel 2013 ora lo osannano in televisione con effetti da conato di vomito per chi sa quali erano le loro espressioni di vero e proprio odio nei suoi confronti ai tempi in cui l’attuale premier perdeva le primarie.
Non è una valutazione di natura morale, ma da porre in termini politici. Se i partiti funzionano così (e funzionano così) una riforma che assegna premio di maggioranza alla lista e due terzi di eletti in sostanziale forma di lista bloccata, cosa produce se non un sistema di obbedienti alla mercé di un Capo che non avrà che da far ratificare le sue decisioni a un Parlamento strutturalmente conformista e più che obbediente? Le procedure con cui, ad attuale costituzione vigente, sono state militarmente occupate la Rai e la Corte costituzionale con uomini di stretta obbedienza renziana come può non far suonare un campanello d’allarme? E con quella riforma costituzionale, sostanzialmente monocamerale, come si può accettare una legge elettorale che, caso unico al mondo, prevede sia lo sbarramento che il premio di maggioranza che la lista sostanzialmente bloccata?
Certamente ha ragione Tonini, il combinato disposto di Italicum e riforma di 60 articoli della Costituzione produrrà un Paese politicamente stabile. Ma l’obiettivo sarà centrato a spese della democrazia.
In sostanza, produrrà un regime.
Il tema del referendum di ottobre è questo, non è il sì o no a Renzi, secondo il modello di cui si già si tenta l’impostazione sui giornali attraverso le veline che arrivano da Palazzo Chigi. Il tema è molto già complesso e di fondo. Il tema è la scelta tra democrazia e regime, forse persino al di là della consapevolezza che i senatori riformatori e “buoni” come Tonini hanno della mostruosità che hanno partorito.