IN MORTE DI GIANROBERTO CASALEGGIO

12 Aprile 2016 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

Mi è venuto in mente Mosè. Proprio alla vigilia dell’approdo dei pentastellati al governo del Paese, alla loro Terra Promessa (governare Roma è governare il Paese e Virginia Raggi è secondo tutti i sondaggi la favorita nella corsa al Campidoglio) l’inventore della partito della democrazia elettronica che ha preso una banda di signori nessuno e li ha trasformati in aspiranti statisti, muore a meno di 61 anni. Di Gianroberto Casaleggio si può avere l’opinione che si vuole. Certamente è stato un genio della politica.
Casaleggio ha capito quando nessuno neanche lontanamente poteva intuirlo (tranne un gruppetto di “direttisti” romani che nel 2001 corsero per il Campidoglio sotto le insegne della chiocciola di internet @ e il nome Democrazia Diretta) che il web non avrebbe solo disintermediato la modalità con cui acquistiamo azioni, libri o viaggi. Il web era destinato a disintermediare anche la politica. Quelle carriere stratificate in decenni dei professionisti del Parlamento, che tante pesante incrostazioni portavano con sé, potevano essere spazzate via dal primo dilettante allo sbaraglio capace di raccogliere la schifezza di trenta preferenze da candidato al consiglio comunale di Pomigliano d’Arco (è l’identikit di Luigi Di Maio). Casaleggio ha visto la voglia delle persone di essere direttamente protagoniste e lo strumento per illuderle che davvero lo fossero: internet. Ha capito prima di tutti che il modello del cittadino direttamente protagonista che rifiuta il politico di professione come intermediario tra la società e le istituzioni, poteva essere vincente. E ha lavorato per farlo diventare vincente davvero.
Cosa mancava all’intuizione di base? Un leader carismatico, che fosse universalmente noto e che si prestasse al progetto. E poi una struttura di partito, apparentemente iperdemocratica, nei fatti leninista, dove le decisioni che sembrano prese da tutti in realtà sono state prese sempre e solo da due persone: lui stesso, Gianroberto Casaleggio appunto, e quel leader carismatico individuato in Beppe Grillo. Il vero colpo di genio di Casaleggio è stato andare ad aspettare in camerino un tizio che aveva appena distrutto a colpi di mazza un computer nell’ultima scena del suo spettacolo e convincerlo a fare il contrario. Beppe Grillo si è convinto a mettere il computer al centro dell’azione politica, a moltiplicare attraverso il web i meet-up (le sezioni virtuali del partito), a costruire i grandi rituali collettivi dei V-Day, le raccolte di firme per il “Parlamento pulito”, le prime liste alle amministrative nei comuni. Infine l’enorme capolavoro politico del ventunesimo secolo italiano: presentare una lista di totali sconosciuti alle elezioni generali del 2013 e trasformarla nel primo partito italiano, mandando in frantumi il quadro bipolare in cui il Paese aveva navigato per due decenni dopo il crollo dei partiti tradizionali.
Casaleggio è riuscito a fare tutto questo senza apparire, senza neanche mai candidarsi, sfuggendo qualsiasi tentazione di ribalta, rifiutando il contatto con i media. In questo è stato e resterà, assolutamente, unico nella storia della politica italiana e forse internazionale. E’ riuscito anche a non litigare mai con Beppe Grillo e francamente è difficile comprendere come due caratteri così diversi abbiano potuto così perfettamente convivere ed anzi integrarsi.
A chi scommetteva sul M5S come fenomeno transitorio, una sorta di moda destinata a scomparire, Casaleggio risponde lasciando come eredità un partito che è l’unico ad oggi ad essere una reale insidia per Renzi e le prossime amministrative ne daranno prova. Restano le enormi contraddizioni della creatura di Casaleggio: l’idea che funzioni tutto molto bene nella fase distruttiva mentre la dimensione del governo della comunità non si attagli alla macchina costruita insieme a Grillo; la sensazione di un enorme conformismo interno ai pentastellati, con i meccanismi di espulsione dei dissidenti che hanno negato la libertà di pensiero a molti nuovi e vecchi dirigenti del partito; il sospetto che un movimento nato contro l’establishment si sia fatto esso stesso establishment e viva volentieri una sorta di ruolo da “altra faccia del renzismo”, dove chi ha massimizzato la potenzialità distruttiva sul vecchio sistema della proposta grillina è stato alla fine proprio Renzi con la sua rottamazione; per chi è cattolico pesa anche la marginalizzazione che è stata compiuta all’interno del M5S della non minimale area cristianamente ispirata, sostanzialmente calpestata in occasione del dibattito sulle unioni omosessuali e infine oltraggiata con l’orrendo spettacolo di Grillo che simula una blasfema diffusione di eucaristia a base di grilli morti; l’impressione che una vera classe dirigente autonoma del M5S non sia ancora nata, ma siano in campo solo degli automi esecutori materiali dei voleri dell’autore del Progetto Gaia.
Ora Gianroberto Casaleggio non c’è più, Beppe Grillo si è quasi defilato, il direttorio pentastellato dovrà affrettarsi a crescere in autorevolezza o finirà per perire. Quel che resta e resta sui libri di storia è la visione di un signore che parlava poco, ma perché qualcosa aveva capito: la piramide solidamente stratificata del potere politico tradizionale poteva essere rovesciata utilizzando uno strumento che i potenti proprio non sapevano capire. Il web. La rete, che Casaleggio ha proposto come una sorta di corpo mistico e vero e proprio fine ultimo da perseguire, mentre invece va considerato come mero strumento pieno di potenzialità inespresse ma anche di contraddizioni.
Casaleggio non vedrà la sua creatura governare e chissà se poi qualcuno dei suoi ci riuscirà sul serio. Umanamente, mi dispiace davvero per lui. Quella soddisfazione se la meritava.